Il cattolicesimo di Ratzinger
Con umiltà,ateo, per grazia di Dio.
 







di Rosario Amico Roxas




Il cristianesimo genuino si rifugia nei cuori e nelle coscienze dei credenti genuini; fuori dalle coscienze e dai cuori c’è l’assedio minaccioso del "cattolicesimo dei politici" e "del cattolicesimo degli atei" che negano il diritto di cittadinanza al "cattolicesimo dei cattolici".
A questo ignobile assedio oggi partecipa attivamente anche "il cattolicesimo di Ratzinger", il più pericoloso, perché indossa gli abiti del Vicario di Cristo, mentre Cristo non c’entra niente, è stato emarginato, isolato, messo da parte come un suppellettile diventato inutile e superfluo.
Ratzinger, dall’alto del trono di Pietro, propaganda e vorrebbe imporre la sua personale visione di un Cristo diverso, dissolutore della soggettività umana, come improvvisata risposta al nichilismo e al relativismo, entrambi combattuti a parole, servendosi del peggior relativismo e del peggior nichilismo. Con le risposte provenienti dal più alto seggio della cristianità, viene
riproposto, sotto mentite spoglie, un ritorno a quel neo-positivismo che riduce la sfera umana e umanistica nella oggettività del processo evolutivo, intrinsecamente deterministico.
Dopo decenni di manovre occulte svolte da cardinale inquisitore (condanna della teologia della Liberazione, elaborazione e stesura del Nuovo Catechismo, traduzione della Pacem in terris, storicizzazione della divinità di cristo nel "Gesù di Nazaret, esaltazione del razzismo selettivo nel "Senza radici" a quattro mani con il razzista Marcello Pera Ratzinger) ha iniziato a mostrare i suoi veri intendimenti con quel volumetto a quattro mani "Senza radici" nel quale ha coniugato il pensiero cattolico cristiano universale, con quello ateo, razzista di Marcello Pera.
In questo volume scritto a quattro mani nel 2004, il Cattolicesimo viene inteso come religione "europea", non universale, così come le parole di Cristo vengono pietrificate dentro la cultura occidentale che dovrebbe nutrire le radici del
cristianesimo, a prescindere dai frutti che tali radici hanno prodotto.
Da parte di Ratzinger l’europeismo del cattolicesimo trae origine dalla cultura stessa dell’autore che risente profondamente di retaggi pangermanici, mentre l’avallo offerto da Pera offre il sostegno di un apparato laico che tale non è, perché inteso a servire la Chiesa per potersene servire, diventandone, abusivamente, il portavoce laico.
Ne viene fuori un cattolicesimo monco della universalità, selettivo, dialettico, osservatore di una minima parte dell’umanità che sarebbe destinata a ergersi al di sopra del resto del mondo.
Cadrebbe in errore anche Giovanni Paolo II quando afferma nuove e diverse interpretazioni dei Vangeli affermando che non sono cambiati i Vangeli ma che solo adesso stiamo imparando a comprenderli. Non sono, queste, affermazioni  genuine del papa polacco, sembrano piuttosto scritte dallo stesso Ratzinger come custode estremo del radicalismo della Congregazione per la Fede,
retaggio medievale della Controriforma e dell’Inquisizione.
Così il cristianesimo si autoreferenzia nella elaborazione della dottrina, rinnegando 2000 anni di storia che hanno visto la fede in Cristo mantenersi viva e vitale nel cuore dei popoli.
Cercando la radice di un cristianesimo dialettico, si tacciono i frutti che tale cristianesimo ha prodotto; frutti amari, dolorosi, perché privati del nettare dell’umanesimo e della universalità.
Il cristianesimo è cresciuto e crescerà fin tanto che i cristiani "saranno dati in pasto ai leoni"; la pretesa del duo Ratzinger-Pera è di capovolgere la storia e "dare i leoni in pasto ai cristiani", chiamandoli a combattere il  relativismo e il nichilismo che loro stessi alimentano.
L’identificazione di questa epoca con il cristianesimo di Ratzinger, risulta essere il grande equivoco dei nostri giorni, in quanto l’itinerario da seguire risulta essere totalmente inverso, cioè quello di valutare quanto il cristianesimo di
Ratzinger  riesca ad adeguarsi alle esigenze del mondo contemporaneo, pur senza rinnegare le tradizioni  cristiane, ma, anche, senza ripiombare nell’oscurantismo medievale e nell’integralismo dell’Inquisizione, nonché esaminare quanto l’interpretazione di Ratzinger coincida con il genuino insegnamento di Cristo.
Non possiamo nemmeno attingere alla protezione dei santi, per capire e cercare la retta via; infatti
i santi sono diventati preda dei potenti che ne monopolizzano la protezione:
  a.. San Padre Pio proteggerebbe il clan Mastella.
  b.. San Gennaro benedirebbe i clan camorristici, schierandosi con quello più forte.
  c.. San Nicola di Bari, ha il suo gran da fare  a destreggiarsi tra le variegate cosche della Sacra Corona Unita.
  d.. San Francesco di Paola è rigorosamente nel cuore della ’ndragheta calabrese.
  e.. Santa Rosalia di Palermo piangerebbe  il cattolicissimo Cuffaro condannato a cinque anni per
complicità in «mafia personalizzata», includendo anche Carlo Vizzini, anch’egli inquisito per fatti mafiosi, ma componente della Commissione anti-mafia.
  f.. Santa Agata di Catania  affiderebbe  alla mafia  la sua onorata processione, salvando l’amministrazione comunale dalla bancarotta provocata dal prediletto sindaco.
  g.. San Cristoforo proteggerebbe i viaggiatori, ma trascurerebbe di stimolare i controlli di sicurezza necessari, come accaduto a Viareggio.
  h.. Santa Maria Goretti rivive il suo martirio paragonata alla ministra showgirl   Mara Carfagna.
Ci fermiamo qui per evitare ulteriormente questa dissacrazione.
Per ritrovare le radici di questo Occidente, esautorando le radici cristiane in quanto queste ultime non possono essere monopolio di genti o di razze, occorre ritrovare il perduto soggettivismo, trasformato in individualismo selettivo che si colloca ai vertici delle società, al di sotto del quale insiste la massa
amorfa di quanti devono subire il loro destino di obbedienza, sia nella vita sacra e confessionale  che in quella profana, civile e sociale.
Il soggettivismo da esaltare è quello dell’uomo che si pone a fronte del mondo, ma non riesce ad identificar visi totalmente, mantenendo una riserva etica che salvaguarda la trascendenza nella quale si proietta. Il cristianesimo di Ratzinger si caratterizza in una immanenza radicale, che arriva al tentativo di storicizzare la divinità di Cristo, infatti i n quel suo anti-vangelo che è "Gesù di Nazaret", fin dalla introduzione chiarisce gli intenti, prioritariamente dottrinali e molto meno spirituali; scrive infatti nella introduzione a pag. 11
  a.. Il metodo storico -proprio per l’intrinseca natura della teologia e delle fede- è e rimane una dimensione irrinunciabile del lavoro esegetico.
  b.. ....(omissi)
  c.. Se dunque la storia, la fatticità, in questo senso appartiene essenzialmente alla fede cristiana,
quest’ultima deve esporsi al metodo storico. E’ la fede stessa che lo esige.
Ma così emerge il relativismo della interpretazione storica, nonché il positivismo dei fatti coniugato forzatamente con la metafisica dello spirito. Viene trascurata l’indiscutibile differenza tra storia e fede: la prima opera dell’uomo e la seconda dono di Dio.
La demolizione della soggettività operata da Benedetto XVI, fatta per esaltare la dipendenza dall’autorità ( per questo piace tanto a questo presidente del consiglio, che si piega  -e non solo materialmente-  in ipocriti baciamano), finisce con l’annullare l’individuale distinzione tra "interno ed esterno", in quanto aderente ad un meccanismo di rispondenza tra apparati sensoriali, che suggeriscono comportamenti positivisti, informazioni funzionali, tutti mirati alla sopravvivenza e all riproduzione; per tutto ciò che di interno potrebbe risultare desiderato, interviene il potere a indicare e risolvere il metodo.
L’impatto con questa
esaltazione del senso comune e del senso pratico non distingue il credo religioso, per questo viene indicata l’inalienabile radice cristiana dell’Europa, come carattere antropologicamente distintivo, assimilabile ai tratti somatici distintivi delle razze.
Viene, implicitamente, esaltata l’abitudine a non pensare, a non riflettere, a non credere, a non sperare, che viene presentata come il culmine del nuovo progresso che riduce l’uomo alla stessa stregua delle formiche o delle termiti, impostando l’intera vita senza un perché, sostenuta solo dall’istinto di sopravvivenza.
Anche la scienza non lascia spazio al voler pensare, al voler riflettere, al voler credere, al volere sperare, e ci indica, impietosamente quali molecole stimolino il pensiero, la ragione, la riflessione, la fede, la speranza e l’amore, ma non ci dice PERCHE’ abbiamo pensato, creduto, sperato, amato.
L’aiuto per tornare a credere, a pensare.ad amare non può darcelo nessuno, violentati come siamo dalla pretesa
onnipotenza del nuovo pragmatismo, che svuota l’uomo, ma riempie le cantine della Coscienza con gli ultimi ritrovati dell’inutile progresso.
Le parole non esprimono più sentimenti profondi in grado di commuovere, esaltare, illudere (forse), ma in ogni caso vivere.
Non possiamo cercare aiuto nei nuovi mentori del vero, in quegli opinionisti tuttologi condizionati dal conformismo e dal servilismo verso il potere.
La storicizzazione della fede, implicita nel tentativo di storicizzare la divinità di Cristo,  non eleva una superstizione in certezza, ma scardinare tutto il contenuto culturale sul quale è cresciuto l’Occidente. La strada che Ratzinger vuole dare alla cultura della fede è quella indicata dal "pensiero nordico", in senso geopolitico, che si contrappone alla tradizione mediterranea, quella delle grandi religioni monoteiste, che non si pone nemmeno il problema di perdere la trascendenza a vantaggio di una pagina di storia.
Così si ripropone il problema di Dio e
della sua configurazione, che nel pensiero nordico è scientista, probabilistico, pratico, mentre nella cultura mediterranea si è sempre nutrita del rapporto con il sacro, con il mistero.
Proprio dentro questo equivoco si innesta anche l’ultimissimo incontro tra i due sovrani assoluti: Ratzinger e Berlusconi, che si incontrano sul terreno del positivismo, delle apparenze, dove non è l’uomo a fare da sfondo.
Sfugge, a entrambi i sovrani la profonda differenza che esiste tra l’essere umano e l’essere vivente.
L’essere umano muore, ma spesso si tratta di morte provocata dai mali che l’uomo stesso provoca, mentre l’essere vivente non muore, si trasforma, senza possedere la rappresentazione della propria fine. L’uomo, invece, percepisce il senso della sua fine, o almeno dovrebbe, come momento supremo in cui viene messo in discussione tutto ciò che ha fatto.
Torna imperioso il problema di Dio, e non per chiarire se si tratta di superstizione o fantasia o invenzione, quanto
piuttosto indagare se l’uomo può fare a meno del sacro, se può convincersi ad essersi autoprodotto, o di essere il frutto della emergenza di un processo naturalistico, financo storicizzato e in quanto tale, privato definitivamente del sacro.