Democratici subalterni alla destra se preferiscono Craxi a Berlinguer
 







di Vittorio Bonanni




Dossettiano, comunista fin dal 1958, berlingueriano e oppositore della Svolta della Bolognina, diessino fino alla guerra del Kosovo sostenuta dal governo D’Alema e da allora membro della presidenza dell’Associazione per il Rinnovamento della Sinistra, Giuseppe Chiarante è uno degli esponenti più autorevoli del vecchio gruppo dirigente di Botteghe Oscure. E’ ancora un uomo di sinistra, un intellettuale che pur ritenendo necessari cambiamenti e adeguamenti alla nuove fasi che la Storia ci propone non ha mai pensato che bisognasse gettare il classico bambino con l’acqua sporca, intendendo per bambino la forza comunista più forte e avanzata del mondo occidentale e per acqua sporca quel blocco sovietico crollato vent’anni fa. E soprattutto non ha mai pensato che Bettino Craxi, eletto segretario del Psi nel 1976 nel famoso congresso del Midas, travolto poi all’inizio degli anni ’90 (1992-94) dalle inchieste di Mani Pulite, potesse diventare per gli eredi del Pci ora leaders del Pd, un simbolo, un uomo che, come ha detto i giorni scorsi Veltroni, aveva capito la società di allora a differenza del povero Berlinguer, sempre in ritardo secondo lui nella comprensione dei fatti.
Chiarante, non è certo la prima volta che all’interno dell’ex gruppo dirigente comunista, poi Pds, Ds e ora Pd si tenta di legittimare Bettino Craxi a scapito di Enrico Berlinguer. Basti ricordare il contenuto del libro di Piero Fassino "Per passione", uscito nel 2003 che fece dire a Giorgio Bocca, che per inciso, comunista non è mai stato: «Una preghiera, Fassino e compagnia: scrivete pure i vostri libri, scoprite pure il riformismo, ma il paragone fra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi, questo no». Una preghiera, quella del giornalista ex partigiano, rimasta inascoltata vero?
Direi di sì purtroppo. E comunque sono rimasto stupito nel leggere nel Corriere della Sera le dichiarazioni dell’ex sindaco di Roma nel corso della presentazione del libro di Stefano
Rolando, ( Una voce poco fa. Politica, comunicazione e media nella vicenda del Psi dal 1976 aI 1994 ndr). Parole che rivalutano Craxi elogiandone la modernità e presentando un Berlinguer arretrato e incapace di comprendere le novità e i problemi che si ponevano nel nostro Paese. Sono rimasto stupito soprattutto per un motivo: perché vedo, in questo che considero un gravissimo errore di valutazione, le basi di un vuoto di prospettiva culturale ed ideale circa il rinnovamento del Paese che spiega anche la debolezza della politica del Pds prima e del Partito democratico poi nel corso di questi anni e la sua incapacità di far fronte al prorompere del berlusconismo che invece è il vero erede di quella visione della modernità che aveva Craxi e contro cui Berlinguer così fermamente si era battuto.
In che misura Craxi ha anticipato la modernità berlusconiana?
Sul piano delle questioni istituzionali e statali aveva una visione della politica che ruotava intorno al tema della
governabilità, del decisionismo, dell’esigenza di dare al governo un potere che non fosse troppo limitato e controllato da assemblee rappresentative. Era in sostanza la politica che tendeva alla conquista del potere e all’occupazione dello Stato che poi si traduceva, attraverso le alleanza di governo necessarie a compiere un’operazione politica di questo genere, nella spartizione del potere, sia a livello di comando statale, sia nel sottogoverno, sia negli enti economici pubblici. Uno scenario che portò inevitabilmente la vita politica italiana a quel processo di degrado che culminò in Tangentopoli.
Veltroni dovrebbe ricordare che contro questo processo si scagliò Berlinguer affrontando il tema della questione morale che, come diceva giustamente nella famosa intervista che rilasciò a Scalfari, non era semplicemente una questione di lestofanti che rubassero quattro soldi. Era invece un’idea degenerata della democrazia, era un’idea che i partiti, anziché rappresentare i cittadini
alla ricerca dell’orientamento del Paese, avessero essenzialmente l’obiettivo di conquistare posizioni di potere. Con tutto l’intreccio tra affari e politica che si determinava quando si trattava di sottogoverno, apparati pubblici o enti economici. Con quella progressiva corruzione che portò alla prima grave crisi della democrazia italiana dall’epoca della caduta del fascismo, che fu appunto Tangentopoli che provocò la fine della cosiddetta Prima repubblica.
Uno scenario che Berlinguer aveva già previsto con largo anticipo...
Certamente perché il suo discorso a questo riguardo era di un decennio prima, esattamente del 1981. Li vedeva questi pericoli, li denunciava, indicava la strada di un rinnovamento dei partiti e della politica secondo e ritornando a quello spirito che aveva animato la Resistenza, cioè lotta per la riconquista e lo sviluppo della democrazia come strada necessaria per evitare questa degenerazione.
Abbiamo visto come ha inciso negativamente il concetto
craxiano di modernità sulla politica. Che cosa è successo invece dal punto di vista socio-economico?
C’era l’idea di uno sviluppo della società italiana affidata alle regole del mercato ma che avesse come modello una crescita di tipo consumistico, tipica del capitalismo più avanzato. Una crescita fondata sui consumi artificiosamente indotti, ben espressa dalle affermazioni di Craxi sulla "Milano da bere" che ha poi portato alla crisi che stiamo vedendo ora nel mondo e in Italia. Una crisi espressione di questa crescita che è praticamente senza obiettivi di civiltà validi, che non riesce a garantire neppure una cooperazione tra i popoli che risponda ai problemi della disuguaglianza e della miseria di grandi continenti e che si è fondata sul rigonfiamento delle risorse finanziarie, in larga misura artificioso, determinando così la caduta a cui oggi assistiamo. Veltroni dovrebbe ricordarsi quanto più moderna era la visione dello sviluppo che aveva Berlinguer. Penso al discorso
sul’austerità. Se lo si va a leggere prima di tutto si trovano intuizioni anticipatrici di grandissimo valore che certo non si trovano in Craxi. Cioè tutta la messa in guardia contro il pericolo di dissesto ecologico cui un capitalismo senza regole stava conducendo l’umanità. A questo Berlinguer contrapponeva l’idea di uno sviluppo che potenziasse le capacità di governo a livello mondiale ma che soprattutto mirasse ad un uso austero e sobrio delle risorse, proprio con la consapevolezza che le risorse non sono infinite.
Che futuro può avere un partito come il Pd che rischia di collocare nell’album di famiglia Craxi piuttosto che Berlinguer?
E’ questo l’aspetto più grave dell’intera vicenda, non una frase piuttosto che un’altra. Mutamenti di questo genere significano perdere una radice ideale e politica insieme che caratterizzava un grande partito democratico che si poneva l’obiettivo del rinnovamento del Paese e di avanzamento civile, e che non a caso fece di Berlinguer uno degli
uomini politici italiani certamente più conosciuti nel mondo e a cui guardavano con rispetto anche persone con un orientamento politico molto diverso. Perdere queste radici significa ridursi ad essere un partito subalterno alle tendenze in atto ed incapace di rappresentare una vera alternativa al berlusconismo.