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BERLUSCONI, NON SONO UN SANTO |
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di Federico Garimberti
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"Non sono un santo, speriamo lo capiscano anche quelli di Repubblica". Silvio Berlusconi ricorre all’ironia per affrontare il caso D’Addario. Il riferimento alle registrazioni pubblicate dall’Espresso, pur se implicito, è palese. E arriva proprio nel giorno in cui il gruppo guidato da Carlo De Benedetti formalizza la decisione di passare alle vie legali, depositando l’esposto già annunciato contro il presidente del Consiglio per aver invitato gli imprenditori a non fare pubblicità sui giornali che hanno un atteggiamento "catastrofista" sulla crisi. Quando arriva a Urago D’Oglio, per la cerimonia di inaugurazione dell’autostrada che collega Brescia, Bergamo e Milano (Brebemi), il Cavaliere appare di buon umore. Prende spunto da una parola utilizzata dal presidente della Lombardia, Roberto Formigoni, per affrontare la vicenda relativa alla escort di Bari: "Il presidente a vita della Lombardia - chiosa - ha usato per descrivere il territorio la parola antropizzato. Non è una bella parola. Ci sono un sacco di belle figliole e di imprenditori". Scattano gli applausi e Berlusconi non resiste: "Io non sono un santo, lo avete capito, speriamo lo capiscano anche quelli di Repubblica...". In ogni caso, "nel 2012 (quando l’autostrada dovrebbe essere inaugurata, ndr) noi saremo ancora qui, come può l’Italia fare a meno di noi?", sorride rivolto alle maestranze. E’ la versione ’soft’ del Cavaliere, che si mostra più stanco che preoccupato della vicenda. Fatto sta che qualche ora più tardi, arrivato a Roma per la direzione del Pdl, Berlusconi torna sull’argomento. E davanti a deputati e senatori riuniti a Montecitorio ribadisce la sua convinzione: quello che è emerso o che emergerà avrà poca o nessuna influenza sugli elettori. Gli "attacchi personali", dice, "non mi toccano": quello che conta è "l’azione del governo". Il resto sono solo "tentativi di farmi fuori" di chi non ha "altre critiche da fare". Questa "campagna", profetizza, si "ritorcerà" contro chi l’ha orchestrata. Un boomerang, in sostanza, per la sinistra e per i giornali a lei vicini, perché "chi attacca, da cacciatore è diventato cacciato, ha perso credibilità e voti". E questa appare come la versione più dura. Berlusconi discetta di politica estera, di azione del governo, di maggioranza. Poi, torna sul tema: "A casa mia non vengono solo veline, ma anche capi di Stato e di governo", è la sua scherzosa premessa. Quindi, sempre sul filo dell’ironia e fra le risate dei presenti, aggiunge: "Abbiamo lasciato i telefonini a tutti perché fin quando sarò presente io non possono accadere cose ineleganti perché io sono una persona di buon gusto, di cultura e di eleganza". Infine, più serio, lancia l’affondo: "Lasciamo ad altri queste robe miserevoli e di bassissimo livello che non mi feriscono assolutamente" perché "sono assolutamente convinto che gli italiani non siano quegli sciocchi che la sinistra vorrebbe dipingere". Quanto alle accuse dei legali dell’Espresso, di cui dice di non essere informato, il Cavaliere fa spallucce. L’esposto è relativo alle dichiarazioni del 13 giugno nelle quali, secondo il gruppo editoriale, il presidente del Consiglio a Santa Margherita Ligure ha "istigato gli industriali a boicottare e interrompere gli investimenti pubblicitari". Le affermazioni del premier, spiega l’avvocato dell’Espresso Carlo Federico Grosso, "costituiscono un attacco senza precedenti che può avere effetti economici molto rilevanti". Le ipotesi di reato prospettate nell’esposto-querela sono la diffamazione, l’abuso di ufficio e la manipolazione del mercato" in sede penale e "la concorrenza sleale e il boicottaggio" in quella civile. Accuse che il Cavaliere respinge: "L’ho già spiegato alla grande" come è andata, comunque "adesso vedrete...", premette ai cronisti che gli chiedono in proposito. Poi, ai parlamentari del Pdl, dice di aver semplicemente spiegato alle imprese che non si può dare pubblicità a chi provoca la caduta della domanda. Ma questo, taglia corto, "non è aggiotaggio". Ansa |
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