Perché non credo alla buona fede delle parole.
 







di Rosario Amico Roxas




L’Avvenire insiste sul preteso rigore esercitato nel giudizio circa lo squallore che circonda la vita pubblica e privata di questo presidente del consiglio, ma non risulta credibile, o, quanto meno, non rappresenta l’ufficialità della Chiesa, che rimane riservatissima, favorendo la strategia dell’oblio che dovrebbe far dimenticare agli italiani la povertà etica.
Ma la memoria ci riporta alla mente ciò che si vorrebbe fosse dimenticato. E non intendo riferirmi agli affari pubblici e privati del presidente del consiglio, di quelli ci occuperemo con insistenza certosina; mi riferisco a taluni comportamenti che non sono stati emendati, compiuti dallo stesso pontefice Benedetto XVI.
Non mi riferisco alla Lectio magistralis di Ratisbona, al connubio culturale con Marcello Pera, all’ampolloso funerale riservato alla salma di Pinochet, o alla chiusura della porta della Chiesa di San Giovanni Bosco a Roma, sbarrata davanti la salma di Piergiorgio Welby, o, ancora alla spettacolarizzazione del battesimo di Magdi Allam la notte che per i cattolici avrebbe ricordato la Resurrezione di Cristo, tutti questi eventi è giusto ricordarli e diventerà anche doveroso.
Ma altri momenti vorrei rispolverare dalla nebbia dell’oblio, come quella scampagnata nei giardini vaticani con W. Bush, evento mai accaduto con nessun capo di Stato in visita diplomatica al Vaticano. Ma più grave fu la prima visita di Berlusconi al pontefice, anticipata imprudentemente con l’affermazione dello stesso pontefice, in seguito alla vittoria elettorale, secondo la quale "finalmente si respira aria pulita". Galvanizzato dall’aria pulita che il pontefice gli riconosceva intorno, si presentò in Vaticano con una grossa croce in oro tempestata di brillanti e pietre preziose, mentre si profondeva in un ardito baciamano che nessun protocollo prevedeva per un incontro ufficiale.
Ora nel tesoro vaticano si aggiunge quella croce a testimonianza che un giorno un certo Berlusconi andò in visita al pontefice ed elargì quel dono, a spese dei contribuenti. Ma si tratta di una croce con brillanti, ma Cristo non c’è; l’immagine di Cristo non si coniuga né con l’opulenza del dono né, tanto meno, con l’indegna persona che quel dono portò, come simbolo del suo personale potere, non certo come icona di sofferenza, di dolore, e di testimonianza che diventa amore, solidarietà, comprensione, modestia.