Italia divisa: Sud Europa e Centro del Mediterraneo
 







di Rosario Amico Roxas




Sostenere l’unità nazionale e festeggiarne i 150 anni, è impresa, invero, ardua e di difficoltosa comprensione, specialmente se si vuole negare la realtà di un linea di fuoco che si ostina a confermare l’esistenza di un Nord  opulento e un Sud piagnone, in perenne attesa di elargizioni.
Una simile importazione fa riferimento ad un passato anche recente, al presente, che si vorrebbe identificare come immutabile, ma non si perita di guardare al futuro e alle potenzialità che rimangono inespresse.
All’esercizio di potere attuale una simile impostazione fa comodo, perché risolve i problemi legati ai consensi elettorali e al mantenimento di uno status quo, che ha fornito illusivi risultati politici a discapito dei risultati economici, sociali e culturali , materializzati  in quel 61  a  0  che premiò accordi malavitosi in cambio di consensi.
Che l’Italia sia profondamente divisa è un fatto innegabile; che l’unità che
andremo a festeggiare nella ricorrenza del 150° anniversario, sia stata più una annessione che una convinta adesione, è altr’e tanto  storicamente accertato.
Occorrerebbe che tale divisione, che è geografica e culturale, trovasse una più corretta identificazione, in grado di fornire, anche, prospettive differenziate in quanto  più aderenti alla realtà.
Quel Nord, ampollosamente identificato come volano nazionale, in realtà non è altro che il Sud d’Europa e ingloba la Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli e Venezia Giulia e porzione della Liguria e dell’Emilia.
La parte centrale tra il residuo della Liguria e dell’Emilia, la Toscana, l’Abruzzo, il Molise, e il Lazio, non ha una identità ben precisa, perché non sta più con "il Sud d’Europa" e non sta ancora con il Mezzogiorno e il Nord del Mediterraneo.
Quello che in atto viene indicato come il Sud d’Italia in realtà è il centro del Mediterraneo, geograficamente inserito come sponda europea nel grande
lago interno che collega Asia, Africa ed Europa; rallentato, frenato, impedito nella realizzazione della propria vocazione da una centralità del potere che ne mortifica il potenziale per esaltare l’economia del "Sud dell’Europa", come se fosse destinata a durare nel tempo.
Anche l’immigrazione più o meno clandestina, torna utile all’irrigidimento delle norme che dovrebbero controllare i flussi migratori.  Avviene la miserabile politica dei vili che sanno essere forti con i deboli  e debolissimi con i forti. Sappiamo benissimo che il preteso respingimento legalizzato perché imposto dalla Lega (pena la caduta del governicchio Berlusconi), colpisce appena il 12% del flusso migratorio, mentre l’88% arriva dalle frontiere ridotte un colabrodo per inefficienza e per opportunismo.  Si guarda con terrore all’ipotesi dell’islamizzazione dell’Europa, e se ne esaltano le radici cristiane, senza tenere in alcun conto della più pericolosa immigrazione cinese. Mentre i musulmani
cercano e desiderano l’integrazione, e manifestano la disponibilità ad eseguire tutti i lavori che  gli italiani non sono più disponibili a fare, i cinesi non desiderano alcuna integrazione, formano un mondo a parte, creano i loro quartieri, parlano uno dei loro 180 impenetrabili dialetti della loro già impenetrabile lingua. Si differenziano anche tra di loro, portandosi appresso antiche rivalità tribali, con lotte e guerre interne della quali non riusciamo mai a conoscere gli esiti.
Fatto eclatante, poi, è la loro mortalità, che sfiora lo zero, come se il destino avesse loro riservato il dono dell’eternità.
La verità e che i loro  morti li fanno sparire, mentre arriva un altro cinese che ne prende l’identità. Comprano di tutto, depositi, magazzini, appartamenti, ville, terreni, ma non certo come investimento immobiliare bensì come conquista del territorio, realizzando una "cinesizzazione" di fatto. Basta guardare il gran numero di negozi che costantemente si aprono
proprio in quel Sud d’Europa, per valutarne la portata. Gli abitanti della neo-inventata Padania sono illusoriamente ben felici di vendere, perché ritengono di fare affari nell’incassare denaro in quantità superiore al reale valore, ma non si rendono conto che stanno vendendo la propria identità sociale e culturale; altro che dialetto padano nelle scuole, fra pochi decenni si ritroveranno a studiare il cantonese o il mandarino, il dialetto di Pechino o il dialetto di Shang-Hai, reciprocamente incomprensibili.
L’immigrazione mediterranea potrebbe ottenere risultati molto positivi, sia per gli emigranti che per le regioni mediterranee, a condizione che avvenga una retrocessione verso l’economia del lavoro, abbandonando quell’economia della finanza che suonerà il "degueillo" ai sogni di grandezza padani, per trasformarli in incubi.
La divisione che è stata imposta dall’economia di mercato tra produttori e consumatori, sarà l’elemento mortificante che trascinerà l’economia 
fittizia  della finanza nella palude del fallimento, ridisegnando la nuova realtà nella quale saranno i precedenti produttori che diventeranno consumatori, ma impossibilitati anche a consumare per mancanza del corrispettivo necessario.
Gli extra-comunitari che arrivano in questo naturale centro del Mediterraneo, andrebbero utilizzati (non sfruttati) nel lavoro produttivo, specialmente nel campo alimentare, innanzitutto per rendere autosufficiente il territorio, affrancandolo dalla dipendenza delle porcherie che il "Sud d’Europa" ci invia, quindi promuovendo la commercializzazione delle eccedenze.
L’integrazione non sarebbe che il primo passo verso una più dinamica attuazione della centralità mediterranea, attraverso partenariati misti con annessa delocalizzazione produttiva nelle zone di provenienza degli  emigranti, con un immenso bacino sia di utenza che di manodopera  (Africa settentrionale, sub-sahariana e Centrale, e Vicino e Medio Oriente: oltre un miliardo
di abitanti !); quelle utenze e quella manodopera che al "Sud d’Europa" manca e mancherà sempre più, fino alla impossibilità di produrre a livello competitivo, penalizzati anche dalla invadenza, stupidamente trascurata, dell’invasione cinese.