Quante musiche?

 







di Rosario Ruggiero




Come dal seme viene fuori il tronco dell’albero e dal tronco i rami e da ogni ramo altri rami, e su ogni ramo foglie e foglie, e tra le foglie i frutti e dai frutti i semi da cui, poi, tante altre piante, in una meravigliosa proliferazione senza fine, così dal primo suono emotivamente percepito venne fuori la musica, fu divisa in musica vocale e musica strumentale, quindi vennero gli stili ed i generi, e fu la musica degli egizi, degli antichi greci e degli antichi romani, il canto gregoriano, l’ars antiqua e l’ars nova, il contrappunto, la melodia accompagnata, la dodecafonia, i madrigali, i mottetti, i canoni, le fughe, i preludi, le toccate, le villanelle, le sonate, le sinfonie, il melodramma, le danze, la musica da film, la musica terapeutica, la musica leggera, le canzoni di protesta, il rock, il jazz, il funky, la musica pop, il rap e via via in una espansione sempre più sorprendente, veloce ed incalcolabile.
Quante musiche! Ma perché
tante? Perché, come la Terra è ammantata da suoni e silenzi, così il mondo intellettuale dell’uomo è pieno di musica che gli orna la vita e lo coadiuva nelle più svariate attività. Musica per conciliare il sonno, per coordinare i movimenti del ballo, per curare disturbi fisici e mentali, per far sentire unito un popolo, per pregare, per marciare, per sottolineare sequenze cinematografiche, per veicolare messaggi pubblicitari, persino per la soneria del proprio telefono. Infinite finalità, infinite musiche e, necessariamente, infiniti giudizi, tutti diversi se giudicare significa valutare l’idoneità di qualcosa rivolto al conseguimento di un opportuno scopo. Se alla musica si chiederà enfasi trascinante, ci sarà una certa graduatoria di merito e quindi di preferenze, se si chiederà invece ripiegamento mistico la graduatoria sarà un’altra, ed ancora un’altra se le si chiederà ricordi nostalgici. Il giudizio sulle qualità estetiche non coinciderà necessariamente con quello sulla capacità di rievocazione affettiva, quello sulla capacità di rievocazione affettiva non coinciderà necessariamente con quello sulla capacità aggregativa, e così via.
Giacché, però, l’approvazione di una musica viene spesso sancita semplicemente con l’aggettivo “bella” e la disapprovazione con l’aggettivo “brutta”, ecco nascere una sistematica incomprensione tra gli individui, anche, a volte, abbastanza aspra. E mentre alcuni cercano di giudicare un brano musicale in base al suo valore strettamente estetico e quanto più possibile oggettivo, altri giudicano una musica relativamente a ciò che a loro serve. Ecco allora sbocciare clamorose discrepanze di giudizio, null’altro che malintesi, quasi sempre inconsci, non di rado forieri delle più accese controversie. I ragazzi si struggono per le canzoni dell’ultimo idolo della musica rock, gli emigrati per gli antichi canti dei loro paesi d’origine. Spesso entrambi sono ben lontani dalla valutazione squisitamente artistica.
Sì, perché la mente
umana è incline a trasformare l’utilità o la nocività di qualcosa in sentimento. Un piatto di pasta, buono o cattivo, per una persona affamata diviene un “bel” piatto di pasta, per una persona sazia fino alla nausea sarà “disgustoso”. L’utilità affettiva, fisica, economica o più ampiamente sociale di un individuo può generare, nel cuore di un altro, uno straordinario sentimento d’amore. Così, in una società che dà più importanza ed autonomia al giovane che al bambino, gli adolescenti quanto prima desiderano essere considerati non più bimbi, certa musica viene presentata come la musica dei giovani, che piaccia diviene allora la cartina al tornasole dell’essere giovani. Per l’individuo che vive quel periodo della sua esistenza in cui non è ben chiaro quanto sia ancora bambino o già un giovane, ma pure quel periodo in cui non si sa ancora quanto sia giovane o già non lo sia più, il gradimento di quei suoni diventa segno di appartenenza ad un gruppo, diventa sentimento, appaiono “belli” e l’individuo si compiace di ascoltarli, ancor più di condividerli con altri, specialmente in occasione di affollatissimi concerti pubblici. Gli interpreti di quella musica vestono in un certo modo ed hanno atteggiamenti divergenti dalle ordinarie aspettative di un genitore. In un periodo della vita in cui l’individuo è alla ricerca di una sua libertà ed individualità che lo porta non di rado a rapporti conflittuali, palesi o nascosti, nei confronti dei genitori, quegli interpreti divengono simbolo vivente di una autonomia dall’autorità dei genitori, diventano per qualche verso un modello, vengono visti con sentimento, diventano “belli”.
Sono due ipotesi di interpretazione psicologica e sociologica di certi comportamenti, forse entrambe vere, forse entrambe sbagliate. Ciò che è certo è che durante il concerto rock, all’iniziare di ogni canzone, al suo primo riconoscerla, si scatena un boato di applausi, ed altri sonori segni di approvazione, da impedire l’ascolto della musica. Lo
scopo? Forse di ogni rumoroso spettatore è quello di far capire a tutti gli altri che il brano è già conosciuto, gradito e approvato, che si è quindi giovani. Forse. Quello che però è certo è che è assai improbabile che se veramente volessi godere di una canzone me ne impedirei l’ascolto rumoreggiando. Se volessi vedere al meglio qualcosa di sinceramente bello sgranerei forse gli occhi, non me li coprirei certo. Se volessi ascoltare qualcosa di sinceramente bello tenderei l’ascolto, non me lo comprometterei con urla e rumori.
L’indole nostalgica ascolta invece con attenzione la musica che le riporta immagini passate, e spesso in solitaria contemplazione. Ma se quelle passate immagini ritornassero attuali e presenti nella sua vita l’ascolto di quella stessa musica perderebbe quell’aura di compiaciuto struggimento interiore. L’emozione non era allora peculiarità insita in quella musica ed assoluta, ma sovrapposizione occasionale soggettiva. La bellezza artistica, diversamente, poggia
su valori quanto più eterni ed oggettivi, e non conosce perciò l’usura del tempo. Il primo sgorbio lontanamente verosimigliante di un figlioletto potrà commuovere anche fino alle lacrime il sensibile genitore così come la prima semplice melodia a malapena strimpellata sul pianoforte da ditini piccini di una giovanissima mano paffutella, ma la Cappella Sistina e la nona sinfonia di Beethoven restano, e resteranno eternamente, un’altra cosa.