COSTA-GAVRAS, UN LIBERTARIO IMPEGNATO.
 







di Antonio NAPOLITANO




A proposito di cinema "engagé" René Prédal scrive nel suo "Cinema, cent’anni di storia" (1996) di una "diffusa fiction di sinistra" che, alla fine degli anni ’60, lancia sul mercato il "thriller politico" di successo. E lo qualifica "atto a tranquillizzare  la coscienza assicurando uno spettacolo apprezzato, al contempo, dal vasto pubblico".
Con un criterio a nostro avviso discutibile, egli inserisce in questa corrente anche il regista Costa-Gavras.
Costantino Gavras è nato ad Atene nel 1933, e dall’età di diciotto anni ha vissuto a Parigi, diplomandosi in letteratura alla Sorbona e seguendo poi i corsi dello IDHEC.
Dopo aver lavorato alcuni anni come aiuto regista di Y.Allegret, R.Clair e J.Demy, nel 1965 debutterà da autore in proprio con un "polar" "Vagone-letto per assassini", cui segue un film meglio strutturato "Il tredicesimo uomo" (1967) con M.Piccoli, B.Cremer e Ch.Vanel. E la storia di un raid  del "maquis" contro i
nazisti, assai ben congegnata  e con scene di  guerriglia fuori dal cliché  spettacolare e iperpatriotico.
Due anni dopo, all’avvento al potere dei colonnelli in Grecia, egli trascrive per lo schermo il libro di V.Vassilikos "Z-l’orgia del potere".
In esso descrive la macchinazione  che ha portato all’assassinio del parlamentare d’opposizione G.Lambrakis  a Salonicco, alcuni anni prima.
Il regista pone in primo piano l’integerrimo giudice (J.L.Trintignant) che indaga sul delitto senza timori reverenziali e con assoluta imparzialità.
L’azione è incalzante, ritmata dall’ottimo montaggio dei segmenti narrativi (merito anche della sceneggiatura di J.Semprun che sarà spesso al fianco di Costa-Gavras).
Oltre a quella di Trintignant vale parecchio la partecipazione di attori quali Irene Papas, J.Perrin e F.Périer.
Nonostante le riserve di alcuni recensori, l’opera è premiata a Cannes (le cui giurie erano allora, di ben altro livello di
competenza!). E otterrà, pochi mesi dopo, anche l’Oscar per il miglior film straniero.
Nel 1970, si ha "La confessione" con Y.Montand, S.Signoret e G.Ferzetti ed è l’odissea staliniana subita da Artur London da parte del governo comunista cèco, dopo il colpo di stato del’48.
L’uomo di sinistra Gavras non si fa irretire qui da nessun fideismo e affonda il suo obiettivo negli ingranaggi di un sistema satrapico uso a spacciarsi  per "democratico e popolare".
L’immedesimazione dei due grandi attori francesi nei loro rispettivi ruoli è ammirevole, forse anche perchè, dopo il ’68 di Praga, essi stessi hanno vissuto il tormento di aver creduto ai "domani che cantano" all’ombra cupa della falce e martello.
E realizzando, infine, che solo la "verità può essere realmente rivoluzionaria"(F.Lassalle).
Per Grazzini, nel film "si celebra il cinema come specchio della storia e monito per la coscienza".
Nel 1973, "L’amerikano" è la biografia di un agente della CIA
(Y.Montand) dal comportamento odioso e che cadrà in un’imboscata dei Tupamaros, insorti nella vessata Uruguay del tempo.
Si può registrare ancora una volta l’imparziale sdegno dell’autore contro tutti i machiavellismi da qualsiasi parte organizzati. E la vicenda è tessuta di spunti acutissimi ma scevri di effetti a buon mercato.
Ben motivato sarà il Palmares assegnatole a Cannes, a conferma di un talento ormai maturo.
Nel 1975, "L’affare della sezione speciale" verrà a trattare di un caso di collaborazionismo nella Francia occupata dai tedeschi (il famigerato processo di Riom).
Anche se l’impostazione porta di nuovo il timbro dell’indipendenza, l’ordito risulta scarsamente curato e, perfino, approssimativo e con diverse lacune.
Dopo quattro anni di silenzio Costa-Gavras adatta per lo schermo un romanzo intimista di R.Gary "Chiaro di donna" con Romy Schneider e Y.Montand.
È l’incontro tra due persone dalle rispettive famiglie fuori sesto. C’è una ridondanza di
dialoghi che pare soverchiare le immagini; il che conferma che la vera attitudine del regista e quella al reportage drammatizzato relativo alla cronaca  politica.
Infatti, nel 1982, ad essa  felicemente fa ritorno con "Missing" prodotto negli USA e con J.Lemmon e S.Spacek, del tutto idonei ai ruoli di genitori del ragazzo americano scomparso in Cile dopo il colpo di stato di Pinochet.
La vicenda suggerisce che probabilmente egli era stato testimone involontario di certi intrighi della  CIA in quel paese.
L’incalzare degli avvenimenti è in sintonia col l’intensificarsi del tormento nell’animo dei due anziani in cerca del figlio.
Di nuovo, e giustamente, il film viene premiato col Palmares d’oro a Cannes (ex aequo con "Yol" del turco Y.Guney).
Meno persuasivo si rivelerà "Hanna K." (1983) che si svolge in Israele. Nel racconto non riesce a dipanarsi il groviglio delle circostanze politiche con quelle umane dell’avvocatessa, personaggio reso appena
credibile dall’unica interprete di un qualche nome, Jill Clayburgh.
Anche nel successivo "Consiglio di famiglia" (1986) il tutto si risolve in una satira piuttosto superficiale di un ambiente dell’alta borghesia, seppure -a tratti- divertente.
"Betrayed" (1988) verrà, invece, a riportare l’attività di Gavras ad un livello superiore. Mostrando sullo schermo una truce questione da Ku-Klux-Klan nello stato del Colorado, egli  riesce a centrare varie componenti intime  di quella sindrome razzista che ha portato alla uccisione di un cronista solo perchè ebreo.
Poi, con "Music box" del 1990 il realizzatore greco-francese va a smuovere un’antica brace, un residuo di un crimine nazista ben dissimulato per anni ed anni.
Col senso di una suspense mai banale, conduce lo spettatore ad appassionarsi ad una vicenda assai problematica. Perciò, non stupisce la "sorpresa" della sequenza finale (nè l’"Orso d’oro" al festival di Berlino 1990).
Un apologo alquanto sarcastico
sarà "La piccola Apocalisse" (1993) che, nella recensione acutissima di T.Kezich, è registrata comme "un pamphlet contro quegli intellettuali che hanno cambiato bandiera... ma continuano a nutrire certe illusioni e, perciò il film non piace agli eredi del ’68”.
Di nuovo in USA, nel ’97 Gavras con "Mad City" svolge il caso di un guardiano che non bada ai mezzi per riavere il suo posto al Museo. E ne approfitta un cronista di "nera" (D.Hoffman) per tornare sulla breccia della notorietà.
Nel 2002, il regista ritorna in Francia  dove gira "Amen" tratto da "Il Vicario" di R.Hochuth.
È il noto libello teatrale contro il Vaticano accusato di indifferenza verso gli ebrei, tra il ’39 e il ’45.
Lo stile è ancora ben calibrato ma il contenuto polemico è fatto di quella materia ancora "sub iudice" di storici ed esperti.
Infine, nel 2005, c’è un thriller, scarsamente amalgamato "Cacciatori di teste" e  con un cast di attori di diverse nazionalità che appaiono spaesati da
quella trama  di estrema vendetta di tipo "elisabettiano", alquanto anacronistica.
Il bilancio delle numerose opere del regista, fatta la somma algebrica, mostra insomma che, dove egli ha seguito il suo temperamento, Gavras ha saputo ben configurare certe tragedie politiche della nostra epoca, senza preconcetti di alcuna sorta e senza dogmi, da "engagé"  ma autentico libertario.
E ne ha diagnosticato le cause attraverso uno scrupoloso rispetto dei fatti, spaziando in varie zone del pianeta e smascherando le sopraffazioni da qualunque parte provenissero nonchè le degenerazioni di certe pur nobili ideologie.
Un impegno, quindi, senza partito preso, da "umanista contemporaneo" come si è letto nella motivazione di uno degli importanti premi da lui conseguiti e che ne hanno segnalato meriti e capacità non trascurabili né transeunti.