Giappone, il premier si è dimesso: è iniziata l’era dell’alternanza
 







di Sara Volandri




Certo, la valanga di voti che, dopo oltre cinquant’anni anni di ininterrotto esercizio del potere, ha travolto il partito liberaldemocratico giapponese (Lpd) era stata ampiamente annunciata da tutti i media. Come lo erano le dimissioni del premier Taro Aso, puntualmente rassegnate ieri mattina con un dimesso discorso alla nazione. Quasi un atto dovuto le sue parole di addio: «E’ stata una sconfitta pesantissima e credo che dobbiamo rifletterci bene. Da parte mia mi assumo tutta la reponsabilità di questo risultato».
Eppure, la vittoria del partito democratico (Pdj) di Yukio Hatoyama, che ha conquistato 308 seggi su i 450 disponibili alla Camera bassa (il ramo più importante del parlamento nipponico), ha il sapore dell’avvenimento storico. Al di là delle complicate scelte politiche ed economiche che la nuova maggioranza sarà chiamata a compiere, una nuova era sembra irrompere nel paese del Sol Levante. Almeno nelle sue logore e inadeguate
istituzioni. Gli esperti lo chiamano in maniera un po’ didascalica «Sistema 2009», a sottolineare come le elezioni legislative di domenica siano state lo spartiacque tra il Giappone del passato e quello che si avvia ad affrontare le sfide del terzo millennio; un sistema che dovrebbe ruotare attorno all’inedita idea dell’alternanza tra i partiti al potere.
Solo le urne però ci diranno se nei prossimi anni (il primo appuntamento sono le elezioni per la Camera alta del 2010) il voto dei giapponesi sarà veramente più libero e mobile rispetto agll’ultimo mezzo secolo interamente monopolizzato dal Lpd, o gli antichi vizi di questa democrazia sui generis continueranno a viziare la vita politica del Paese. Tra le novità di questa tornata elettorale, oltre alla disfatta del centrodestra e all’affluenza altissima (circa il 70%), c’è senz’altro la presenza femminile: sono 54 (circa l’11%) le deputate elette domenica, una media ancora scarsa rispetto ai paesi occidentali, ma comunque un record
assoluto per il patriarcale Giappone.
Intanto Hatoyama, di fatto un primo ministro in pectore , è già al lavoro per formare la nuova maggioranza di governo, un’operazione che deve essere realizzata in tempi brevi proprio per marcare la differenza con l’esasperato politicismo dei suoi predecessori, più di una volta impantanati nella guerra tra bande dentro il Lpd per determinare le liste dei ministri: se Hatoyama riuscisse a varare l’esecutivo in una settimana questo sarebbe un bel segnale di discontinuità. E’ probabile che verranno coinvolti anche i partiti minori dell’opposizione, dai socialdemocratici, al Partito del popolo. Sarà invece altamente improbabile la partecipazione del partito comunista (Pgj), che con i suoi nove seggi, oltre a confermare i numeri del 2005, sarà l’unica opposizione di sinistra presente alla Camera bassa, con un’attenzione particolare rivolta alle politiche sociali del nuovo governo il quale dovrà trovare delle ricette del tutto nuove per far uscire il
paese da una crisi economica dagli effetti devastanti. A cominciare dalla una disoccupazione giunta al 7% e un potere d’acquisto declinante per quasi tutte le classi sociali. Hatoyama ha promesso che si occuperà delle fasce più deboli della popolazione, che aumenterà i salari, che darà un nuovo impulso alla crescita economica, che ridurrà gli sprechi e sorveglierà la corruzione dei funzionari. Per dare corpo a quelle che per ora appaiono come le solite promesse elettorali, verrà creato un organismo ad hoc che si chiamerà National Strategy Office, una sorta di consiglio che avrà la supervisione su economia e politiche strategiche allo scopo di verificare l’attuazione del programma. Per quel che riguarda la politica estera, non dovrebbero esserci sostanziali cambiamenti di rotta. Se durante la campagna Hatoyama aveva assunto toni critici nei confronti dell’occidente, evocando una politica di riavvicinamento con i Paesi asiatici e augurandosi la fine dell’egemonia statunitense, ieri, nella sua prima uscita pubblica dopo il voto, ha corretto il tiro: «Non sono un antiamericano, anzi sono convinto che l’alleanza tra Giappone e Usa prospererà con la nostra leadership».