Ributtati per strada col manganello
 







di Daniele Nalbone




L’Università comanda, la Prefettura e il Comune di Roma eseguono. Ecco i responsabili dello sgombero dell’ex ospedale Regina Elena, dal luglio del 2007 occupato da oltre 250 nuclei familiari in emergenza abitativa dopo cinque anni di colpevole abbandono.
Intorno alle 6 di ieri mattina, con un’operazione di polizia che una volta sarebbe stata definita da "stato cileno" ma che oggi possiamo chiamare di "ordinaria amministrazione", il prefetto Pecoraro e il sindaco Alemanno hanno deciso «di ripristinare una situazione di legalità». Come? Chiudendo al traffico via Regina Elena, un’arteria fondamentale per viabilità, e le vie limitrofe all’ex ospedale, circondando l’intera struttura e facendo irruzione nei corridoi, sfondando le porte dove dormivano famiglie con bambini, persone anziane, donne incinte.
«Alcuni di noi erano in piedi dalle 4» ci racconta unasignora di fede islamica «per preparare la colazione, visto che siamo nel periodo del Ramadan
e dopo il sorgere del sole non possiamo mangiare né bere» quando le forze dell’ordine, rigorosamente manganello alla mano, hanno sfondato le porte delle stanze. «Eravamo a tavola. Ci hanno fatto alzare, ci hanno chiesto i documenti e alcuni di loro hanno addirittura aperto il nostro frigorifero, mangiato le nostre cose» si sfoga un’altra signora, prima di salire su un bus dell’Atac per essere (de)portata in un centro di assistenza abitativa temporanea.
Intanto fuori dal Regina Elena iniziano ad arrivare, in solidarietà, compagni da tutte le occupazioni di Roma: «la stagione precedente si era chiusa con le manganellate ai manifestanti che protestavano contro il Piano Casa fuori dalla Regione Lazio. Quella nuova si apre con un’operazione militare contro famiglie in emergenza abitativa per riconsegnare uno stabile abbandonato da anni nelle mani di chi lo ha ridotto in condizioni fatiscenti» sottolineano i portavoce di Action, Coordinamento cittadino di lotta per la casa e Comitato
obiettivo casa, responsabili dell’occupazione dell’ex ospedale.
Quando sono entrati nell’ex Regina Elena, gli occupanti hanno trovato decine di macchinari per le Tac abbandonati, centinaia di sacche di sangue per le trasfusioni gettate nei ripostigli, letti e mobilio nuovi di zecca accantonati negli angoli. Ma come se niente fosse il rettore de La Sapienza, Luigi Frati, ha spiegato che «i malati di leucemia e altri tumori sono sistemati in topaie (cioè, in ospedali pubblici, ndr ) perché il Regina Elena è occupato». Come dire: se la gente viene ricoverata in ospedali fatiscenti (mentre viene chiuso, ad esempio, il restaurato San Giacomo) la colpa è degli estremisti di sinistra che ne hanno occupato uno abbandonato, al tempo, già da cinque anni. Sulla stessa linea anche il prefetto Pecoraro che ha spiegato come «le operazioni di sgombero dell’ex Regina Elena sono state disposte su richiesta del rettore de La Sapienza per consentire l’avvio dei lavori di ristrutturazione degli
edifici in disuso, non più differibili in quanto (e qui sta la chiave di tutto, ndr ) il loro mancato avvio avrebbe fatto perdere i finanziamenti pubblici ottenuti dall’Università». E allora Comune e Prefettura hanno spiegato di essersi messi al servizio del rettore Frati e, all’alba, hanno trasferito con la forza 252 famiglie in "residence" sparsi in tutta Roma, relegando due, tre nuclei familiari in una stanza, a diversi chilometri dal municipio in cui i bambini, fra pochi giorni, avrebbero dovuto iniziare la scuola. Dopo cinque ore di assedio, intorno alle 12 sono state fatte uscire anche le ultime sessanta persone, attivisti di Action che si erano asserragliate nelle stanze del primo padiglione. Attraverso le finestre, chi passava per viale Ippocrate poteva assistere a scene non degne di uno stato civile: madri con bambini in braccio attaccate alle ringhiere delle finestre che venivano tirate via dalla polizia, gente in lacrime, persone con le mani alzate in segno di resa davanti alla polizia che interveniva con scudi e manganelli.
Alla fine dell’operazione, le circa trecento persone accorse hanno trasformato il presidio in un corteo per le vie della zona universitaria fino a raggiungere Porta Maggiore dove per circa mezz’ora è stato bloccato il traffico, creando gravi ripercussioni alla circolazione.
Sciolto il corteo, i movimenti hanno appuntamento alle 16 in Campidoglio dove centinaia di manifestanti in presidio hanno costretto il capo gabinetto del sindaco, Marco Lucarelli, a concedere un incontro per far luce sulla situazione. Presente, oltre a una delegazione dei movimenti, l’assessore alla Casa, Alfredo Antoniozzi. Ma mentre all’interno del Campidoglio si discuteva, fuori dodici ragazzi dei movimenti si sono arrampicati, tramite un’impalcatura, sul tetto dei Musei Capitolini. «Come alla Innse, sino alla vittoria! Casa subito». Questo il testo dello striscione calato dall’alto mentre sulla piazza del Marco Aurelio i vigili del fuoco aprivano un
telone. «Non scenderemo» spiegano dal tetto i ragazzi tramita un megafono, «finché questo Comune non si prenderà le responsabilità dello sgombero dell’ex Regina Elena. Siamo pronti a passare qui la notte». Difficilmente, dalla piazza, si crede alla teoria per la quale l’operazione sia stata ordinata dal rettore de La Sapienza: «questa è opera del duo Maroni-Alemanno e delle loro politiche securitario-fasciste». In fondo, come ha commento il sindacato RdB-CUB, «il semplice fatto che il Comune di Roma si presti a queste operazioni, deportando i cittadini in emergenza abitativa in centri assolutamente inidonei, dimostra l’allineamento alla politica del governo: le deportazioni in città in parallelo ai respingimenti dei migranti in mare?».
Ora più che mai è necessario «che la Regione Lazio approvi al più presto una legge sul diritto all’abitare» spiegano dalla segreteria regionale del Prc «partendo dai contenuti dell’iniziativa popolare, promossa dai movimenti e dalla carovana "Città
Bene Comune", sulla quale stiamo già raccogliendo le firme».