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MANOEL DE OLIVEIRA: ALTI E BASSI DI UN REGISTA DI 100 ANNI |
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di Antonio Napolitano
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L’anno scorso, Manoel de Oliveira nato a Oporto l’11 dicembre 1908, ha ricevuto il Palmarès di Cannes per il complesso della sua attività cinematografica iniziata quasi ottant’anni prima. Infatti, è nel 1931 che dirige il cortometraggio "Douro, ansa fluviale" descrizione della vita dei naviganti sul fiume portoghese. Esordio accolto con scarso successo di critica, anche se un recensore gli riconosce "un qualche afflato di poesia realista". Ancor prima di quella data Oliveira ha studiato recitazione con Reno Lupo e ha lavorato come attore (di secondo rango) in alcune cose del muto e del primissimo sonoro. In più, nella pur provinciale Oporto, ha avuto modo di conoscere opere di Murnau, Dreyer, Dovgenko, e di Capra e J.Ford. Tra il 1932 e il 1941, girerà quattro o cinque cortometraggi che paiono risentire l’influenza di R.J.Flaherty e della scuola sovietica, per l’uso di sineddochi visive di forte espressività. Il 1942 è l’anno di "Aniki-Bobò" sulla vita di un gruppo di ragazzini oportesi. Il film ha in sè acute e tenere annotazioni sulla scia del cinema di Zavattini - De Sica circolante in quegli anni, anche in alcuni paesi europei. Il regista, però, dovrà attendere parecchi anni per realizzare, nel 1956 "Il pittore e la città", sui quadri del concittadino A.Cruz, abile nel ritrarre i vari aspetti del suo quartiere. Altri sette anni passeranno prima di realizzare il documentario "Atto di primavera" (1963) che riprende con la macchina da presa la rappresentazione di un "Mistero" sulla passione di Cristo. L’anno seguente, Oliveira gira "La caccia" (1964) un apologo in stile buñueliano sulla gratuita malvagità dell’uomo. Per lui è l’occasione per esercitarsi nell’uso del colore. Nel 1972, "Il passato e il presente" rivela toni bergmaniani ed è la prima sua opera a circolare in Italia: fino ad allora il regista era poco o nulla conosciuto all’estero. E’ facile rilevare che nel primo quarantennio di attività c’è un abbondante manierismo nel suo curriculum, anche se -pian piano- gli stilemi altrui vengono ben metabolizzati e trasposti nel suo discorso personale tra il rigido e il meditativo. Nel 1975, egli presenta a Pesaro "Benilde o la Vergine madre" che conferma il raffinamento del suo linguaggio specie in quei primi piani "che descrivono tutta l’angoscia e l’oppressione di un chiuso ambiente borghese” (L. Vitalone,1976). Nel 1981 avrà larga risonanza in tutta Europa "Francisca", storia di un matrimonio che fallisce per l’estrema gelosia di un marito che, senza prove, colpevolizza la donna appena sposata. E’ il dramma delle nefaste conseguenze delle maldicenze e dei sospetti, una sorta di "Otello" piccolo-borghese, con protagonisti che sono anzitutto vittime di se stessi, della loro immaginazione mai frenata. Nel 1985, Oliveira si dedica a tradurre in cinema "Le soulier de satin" di Claudel ("La scarpetta di raso") un "adattamento" dalla durata di circa sei (6) ore e, forse, per questo, rifiutato da tanti distributori, anche in Italia. Con uguale ambizione nel 1991 imbastisce una comunque interessante parafrasi in "La divina Commedia". In essa, l’inferno è rappresentato da una clinica psichiatrica in cui c’è chi si prende per Lazzaro, chi per Cristo, chi per Raskolnikov e chi per Alioscia o Ivan Karamazov. Qualcuno vi ravvisa un gioco di sottile sarcasmo sugli "strizzacervelli" e i loro poveri pazienti e cita incautamente Voltaire. Ma si è ben lontani dall’arguzia profonda e scintillante dei "Contes philosophiques". Due anni dopo, Oliveira si dedica ad una cosa ben più equilibrata "La valle del peccato" (1993) una trasposizione della "Madame Bovary" di G.Flaubert. L’impostazione narrativa è del tutto personale, dato il ritmo lento della narrazione, con una voce fuori campo che descrive i raccordi causali tra i fatti che si susseguono. Elvira è un’orfana, malcontenta fin dalla prima adolescenza ed è più che scettica sull’amore (e sulla vita). Per questo, finirà, giovanissima con l’accettare passivamente le nozze con un ricco e colto signore verso il quale non sente alcun trasporto. Annoiata, infastidita dalle premure del marito, avverte l’accendersi del cuore solo all’idea di poterlo tradire (anche con un semplici mezzadro). Il finale è tragico pur se in modo diverso dal modello letterario. Gli attori portoghesi rivelano una gestualità anche troppo trattenuta e i dialoghi stessi sono laconici (e monosillabici) anche al di là del necessario. Nel ’95, dopo altre cose minori, il regista girerà "I misteri del convento" in cui si avvale di interpreti di sicura professionalità, da C.Deneuve a J.Malkovich. Quest’ultimo impersona un professore americano in cerca di segrete prove(!) di un possibile autore spagnolo delle opere di Shakespeare (!) e che, a tal fine, è venuto ad esaminare certi libri antichi appartenenti alla biblioteca del convento sconsacrato da tempo. Mentre sua moglie viene corteggiata dal mefistofelico guardiano degli edifici, il professore ascolta estasiato la bibliotecaria che cita a memoria vari passi del "Faust" di Goethe. In modo assai suggestivo è resa l’atmosfera decadente del luogo. E i dialoghi mostrano una misura inconsueta ad Oliveira, pur vertendo sul Bene e sul Male, e sulle idee di Nietzsche al riguardo (poco consolatorie). Allo stesso livello è "Viaggio all’inizio del mondo" del 1997, con Marcello Mastroianni che interpreta un anziano attore che viaggia in auto verso i luoghi della lontana infanzia insieme con due giovani colleghi. Una "recherche du temps perdu" tra sussulti di dolci sorprese e amare delusioni. La credibilità della performance di Marcello è al massimo, anche perchè essa avviene pochi mesi prima della sua reale scomparsa. Acuto risuona l’aforisma che egli formula: "Vivere a lungo è, forse, un dono del Signore, ma se ne paga caro il prezzo". Nel ’99 è la svolta de "La lettera", attualizzazione de "La principessa di Clève" (di Madame de Lafayette). Qui, una ragazza stufata del suo sciocco fidanzatino sposa senza amore un uomo che seriamente le vuol bene. Il colpo di fulmine essa lo avrà al concerto di un "pop singer" che, accortasi dell’interesse per lui, comincia a pedinarla. La giovane sposa, decisa a non andare oltre la pur forte simpatia, si fa consigliare da una sua parente suora di solido buonsenso. Quando il marito si accorge della comunque platonica, "relazione" ne risente e si ammala fino a morirne. La donna, come per espiazione, partirà da volontaria laica per l’Africa. L’unica dissonanza, nel bel racconto, è quello di aver usato la fraseologia settecentesca in una vicenda attualizzata in tutte le altre sue forme. Nel 2001, Oliveira opera un ritorno al documentario con "Oporto, cittа dell’infanzia", e cerca di illustrare quanto ne rimane ancora dopo quasi ottant’anni, cioè, qualche vetrina di negozio, e, nel ricordo, i volti dei giovanissimi amici recuperati attraverso fantasiosi flash-back. Alla fine dello stesso anno girerà poi "Ritorno a casa". La vicenda è quella di un anziano attore (M.Piccoli) che, subito dopo gli applausi per la sua performance ne "Il re muore" di Jonesco, apprende per telefono dell’incidente d’auto che ha falciato sua moglie e sua figlia. Gli resta un nipotino che condivide con altri due nonni, (materni) e che è inconsapevole della tragedia subita. Il film è la messa in scena meticolosa di un dolore straniato senza alcuna traccia di mélo o di patetico vittimismo. M.Piccoli si cala nella parte in modo superlativo, sia quando fanciullescamente si toglie il capriccio del paio di scarpe elegantissime, sia quando il rapinatore (drogato) gliele toglie insieme col portafogli, l’orologio e la giаcca. Stanco un pò di tutto e spesso preda di qualche torpore senile, egli rifiuta la parte, in TV da protagonista di una "riduzione" dello "Ulysses" di Joyce, massacrato com’è d’uso ai nostri giorni. La Deneuve accetta un ruolo che la vede in gran parte in ombra. L’opera è di una maturità assoluta, e non ha bisogno di impianti letterari. Essa dipinge a perfezione una zona di quel ben celato purgatorio che si vive oggi soprattutto nelle metropoli. Nel 2003, l’anziano regista realizzerà "Un film parlato" una sorta di semidocumentario sul viaggio di un’insegnante con la figlia. La nave su cui sono tocca vari porti del Mediterraneo: Marsiglia, Napoli, Atene, Istanbul. E su di essa, guarda caso, si trovano alcune star del cinema europeo, dalla Sandrelli alla Deneuve alla Papas. Stavolta i dialoghi appaiono meri bla-bla sull’incerto futuro della vecchio continente e il ridondante parlato fagocita le immagini, già insolitamente povere o banali. Pellicola che a noi è parsa sopravvalutata dai frettolosi recensori forse per l’ormai ampia notorietà del novantenne Oliveira o per il "vizietto" di dimenticare che le opere vanno valutate una per una (e che perfino i geni non sono sempre alla stessa altezza). La ripresa artistica avverrà poi con "Bella sempre" (2006) breve film che tratta di un incontro, dopo quarant’anni, di un uomo con la donna che lui in, quel tempo, ha tentato di sedurre, e alla quale rinnoverà le avances, pur nell’età mutata. La donna è ancor più refrattaria, perchè, vedova, gli dice a chiare lettere che ha ritrovato il conforto di una fede austera e inamovibile. I discorsi dell’attempato Cherubino sono sottilmente imbevuti di iberico sadismo e ogni scena è ben calibrata al riguardo. Gli interpreti, M.Piccoli, Bulle Ogier, R.Trepa, giocano i loro ruoli in modo convincente e ficcante. Nel 2007, il quasi centenario regista accetterà ancora di dirigere un episodio dei numerosi previsti da "Chacun son cinéma", su invito di G.Jacob, che presiede a Cannes. L’impegno per i numerosi cineasti che hanno aderito, è di narrare una storia in quattro o cinque minuti di cinema. Oliveira contribuisce con "Rencontre unique" ricostruzione immaginaria di una visita di Kruscev a Giovanni Paolo II (?), un divertissement poco più che mediocre. I migliori, al nostro parere, sono quello di Anghelopoulos (un ricordo di Mastroianni da parte di J.Moreau, assai toccante) e del regista Chen Kaiye (la gioia dei bambini cinesi per l’arrivo di un cinema ambulante nel loro misero villaggio) e infine quello di Polansky, "Cinéma érotique" sull’equivoco che nasce in una platea "a luci rosse" al sentire certi strani gemiti mascolini (d’un signore che è caduto giù dai palchi sovrastanti!). Nè Oliveira si ferma: nel 2008 filma una biografia semistorica "L’enigma di Cristoforo Colombo" e va preparando, agli inizi del presente anno, un’altra impegnativa opera. Allora, centocinquanta anni in buona salute egregio Manoel! |
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