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Morena è morta all’una e trenta della notte tra il 27 e il 28 settembre. Avrebbe compiuto un anno il giorno dopo. Da quel momento per la famiglia Gaglio, oggi mamma Giovanna, papà Franco e quattro figli, la disperazione nella quale si erano, loro malgrado, abituati a vivere si è trasformata in un incubo. Proprio quando le cose sembravano mettersi per il meglio. Da quasi due mesi alla famiglia Gaglio era stata assegnata una casa dal Comune di Palermo. Uno dei tanti immobili confiscati alla mafia. Sono passati sette giorni ma a Palermo nessuno, soprattutto fra i compagni del Comitato di Lotta per la Casa "12 Luglio" e della Rete sociale per i diritti negati, è riuscito ad accettare quanto accaduto alla piccola di "casa" Gaglio, uno dei simboli del movimento siciliano. Morena è deceduta in ospedale poche ore dopo aver subito un intervento chirurgico per ernia diaframmatica, patologia dalla quale soffriva dalla nascita. Non era la prima volta che la piccola veniva ricoverata: spesso, troppo spesso per una bambina di quell’età, Morena era vittima di crisi respiratorie che le prendevano soprattutto di notte, nel lettino di quella che, per il suo quasi primo anno di vita, era stata casa sua. Anche se "casa" non era. Per quasi due anni la famiglia Gaglio ha vissuto in un container del comune di Palermo, nella baraccopoli di via Messina Montagne, una strada che costeggia la A19, Palermo-Catania, al confine fra il capoluogo siciliano e Villabate, un comune di ventimila abitanti noto nella provincia come "il paese del vento". Un luogo dove neanche il tempo è clemente. E’ proprio nei pressi dell’autostrada che ventiquattro famiglie, iscritte nelle liste dell’emergenza abitativa del Comune, vivono all’interno di un gruppo di container, in quello che possiamo definire un vero e proprio campo. In tutto, 84 persone. Fra i quali ben 31 bambini, "i figli dei container". E’ l’8 novembre 2007 quando molte di queste famiglie, organizzate dal Comitato 12 Luglio, occupa il palazzo La Rosa di via Alloro 77, di proprietà del Comune di Palermo. Poco più di due settimane e un’ ingente operazione di polizia procede con lo sgombero della struttura. E’ il 23 novembre. «Quel giorno» ricorda Pietro Milazzo, sindacalista Cgil «l’amministrazione spiegò agli occupanti che il palazzo sarebbe stato destinato a uffici comunali». Ma ancora oggi a palazzo La Rosa di scrivanie e impiegati nemmeno l’ombra. Anzi. «Recentemente il Comune ha mostrato intenzione di vendere lo stabile e utilizzarne il ricavato per dare ossigeno alle casse dell’Amia, ex municipalizzata per i rifiuti, il cui debito ammonta a oltre 150 milioni». Per quelle famiglie, fra le quali la Gaglio, si sono spalancate nuovamente le porte che danno sulla strada. Così, insieme al Comitato 12 Luglio e alla Rete sociale per i diritti negati, si è deciso di occupare i container di via Messina Montagne. Una soluzione inumana ma l’inverno era praticamente arrivato e, per 24 famiglie, quella dei container era l’unica possibilità. Ecco il simbolo dello "stato di eccezione" che si sostituisce allo stato di diritto. Perché oggi è l’emergenza, l’ordinaria amministrazione. Il confino nei container al posto del diritto alla casa. «La prova di tutto ciò» spiega Tony Pellicane, del Comitato 12 Luglio, «sono proprio questi container, trasportati a Palermo per affrontare l’emergenza abitativa direttamente dalla Piana dell’Etna dove erano stati utilizzati per soccorrere gli sfollati dei paesi limitrofi costretti ad abbandonare le proprie abitazioni in seguito alle ultime colate laviche». Giovanna era da poco rimasta incinta quando entrò in quella scatola fra le scatole, con il tetto in lana di vetro (sostanza classificata come dannosa dal Ministero della Salute D.L. 1/09/98), in un campo circondato da una rete metallica con la fogna, a cielo aperto, a fare da fossato. Una scatola torrida d’estate ma gelida d’inverno. Un luogo in cui non puoi nemmeno immaginare di far crescere e giocare un bambino, figuriamoci portare avanti una gravidanza. La quinta. Così per Giovanna sono stati nove mesi d’inferno, in cui più volte ha rischiato di perdere la sua bambina. Morena è nata il 29 settembre di un anno fa con una grave malformazione. Per diverse volte papà Franco, soprattutto di notte, ha dovuto portarla d’urgenza al più vicino ospedale ma le sue condizioni di salute sono, nel corso dell’anno, via via peggiorate. Anche a causa di quella "casa". Ogni volta che Morena entrava in ospedale, i medici ribadivano lo stesso concetto: «Non potete farla vivere in un container, non in queste condizioni». Ma quel container era l’unica parvenza di casa che la famiglia Gaglio poteva permettersi. Per mesi gli attivisti dei movimenti hanno pressato le istituzioni per chiedere una sistemazione umana per tutte le 24 famiglie della baraccopoli alle porte di Villabate, ma soprattutto per la famiglia di Morena. «Le condizioni di quei container» spiega Tony Pellicane, «peraltro costati oltre 520mila euro alle casse comunali, sono pessime». Nessuno ha il coraggio di dire che Morena è morta perché fra quelle lamiere, sotto un tetto di lana di vetro, mamma Giovanna ha portato avanti una gravidanza difficile, perché è nata lì. Forse sarebbe morta anche vivendo sempre al caldo, all’asciutto o al fresco di una casa. Quel che però è certo, è che far vivere una bambina malata e i suoi quattro fratelli in un container, in una baraccopoli con fogne a cielo aperto, se non è un crimine, poco ci manca. Per questo Palermo, stavolta, non è rimasta indifferente. Centinaia di persone, il 30 settembre scorso, hanno partecipato alla fiaccolata per ricordare la piccola Morena. Tutta la baraccopoli di via Messina Montagne porterà con sé il ricordo di questa sfortunata bambina. Ma se papà Franco è ormai rassegnato nel suo dolore, troppo provato per incolpare qualcuno per la morte della sua piccola, gli attivisti dei movimenti palermitani non hanno dubbi: «Che i container fossero una trappola mortale lo sapevano tutti. Tante sono state le denunce, i segnali di allarme, la rabbia scagliata contro questa amministrazione impalpabile, assente, latitante. Omicida». Parole dure, dovute al fatto che «quanto accaduto in via Messina Montagne non è una tragedia inaspettata. Tanti bambini, nati o cresciuti nei container, sono stati più volte ricoverati per gravi disturbi respiratori e ogni volta sono stati costretti a tornare in quegli scatoloni di lamiera, unica soluzione possibile, il gesto più infimo per lavarsi la coscienza». Anche l’associazione Libera di Palermo, come si evince dalle parole di un toccante articolo di Umberto Di Maggio sul sito www.libera.it , non usa mezzi termini per commentare la triste vicenda che ha colpito la famiglia Gaglio: «Morena aveva un anno, ed è morta. Era malata come lo sono tanti senzacasa che, da tempo, in terra di mafia, lottano per un alloggio, combattono per un tetto nella città che, al mondo, conta il più alto numero di beni confiscati inutilizzati». La sensazione è che qualcosa, per evitare tutto questo, si poteva e doveva fare. |
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