Obama premio Nobel
 











Presidente Barack Obama

Nello staff della Casa Bianca c’è chi ha pensato ad un pesce d’aprile posticipato e chi ha imprecato nel telefono cellulare: «Sarà bene che abbiate una buona ragione per svegliarmi alle 5.45». Il portavoce dei talebani Dhabihullah Mujahid si è precipitato a far sapere al mondo che il loro movimento non ha gradito. Ci mancherebbe.
Dopo essere diventato il terzo senatore afroamericano, il primo presidente nero, la superstar globale del circolo mediatico globale, Barack Hussein Obama è anche premio Nobel la pace in virtù dei «suoi sforzi straordinari nel rafforzare la diplomazia internazionale e la cooperazione tra i popoli». I membri del comitato norvegese non hanno trovato nessun altro migliore del presidente Usa a cui conferire un premio così prestigioso. Ad essere premiato è il messaggio, lo sforzo multilaterale, la visione ribadita fino alla nausea della necessità di un mondo più unito, multilaterale, capace di lavorare assieme alle grandi
sfide che ha davanti.
Un premio preventivo, hanno detto molti, che ha stupito persino la Casa Bianca e il suo staff. E che ne impegna il futuro prossimo.
Barack Obama, si è detto «sorpreso e profondamente onorato» del premio conferitogli oggi. «Non sento di meritarlo», ha aggiunto il presidente, sottolineando di voler interpretare il premio come una «appello ad agire» sui temi della non proliferazione, del clima e delle guerre. «Tutti hanno il diritto all’energia nucleare» ma «tutti devono dimostrare il proprio intento pacifico». Il Nobel, ha sottolineato Obama, afferma il significato di una «leadership americana che si faccia carico delle aspirazioni dei popoli di tutte le nazioni». E’ il sogno di ciascun presidente Usa, perseguito, a seconda dei casi, con mezzi diversi. Prima del 44esimo presidente, il Nobel per la pace era già andato a Theodore Roosevelt e Woodrow Wilson, l’inventore della Società delle Nazioni e all’ex inquilino della Casa Bianca divenuto mediatore di crisi
difficili Jimmy Carter. Mai nessuno aveva vinto a meno di un anno dall’insediamento e senza aver ottenuto risultati tangibili.
La commissione che assegna il premio ha però voluto sottolineare che la sua scelta è dovuta alla visione e a come Obama abbia saputo perseguire la strada della non proliferazione firmando in pochi mesi un accordo con il presidente russo Medvedev. Un risultato concreto, insomma, ci sarebbe. Poi c’è la grande speranza restituita al mondo. Non solo a quello occidentale. La festa planetaria per la vittoria elettorale di Obama non è solo un’emozione episodica, sembrano aver pensato a Oslo. Sperando, assegnando il premio, di dare una mano. E magari di ascoltare un altro discorso memorabile nel giorno in cui Obama, come ha annunciato ieri, andrà a ritirare il premio.
Le dichiarazioni di stima sono piovute, così come gli incoraggiamenti, le pressioni a fare di più, meglio e bene. I premier e presidenti europei, il presidente della commissione Barroso e diversi
suoi predecessori hanno incensato ed elogiato la scelta. Il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha invece colto l’occasione per spiegare al suo omologo statunitense che adesso è l’ora di «adottare iniziative pratiche per eliminare le ingiustizie dal mondo». Dal Medio Oriente arrivano parole di speranza che suonano stonate: di fronte alle pressioni degli Stati Uniti, né israeliani, né palestinesi hanno scelto di cambiare atteggiamento. Anzi.
Negli Usa regna lo stupore, l’idea che si tratti di un’esagerazione e anche un poco di orgoglio. Almeno in campo democratico. I conservatori, invece, sono scatenati. Il conduttore radio Rush Limbaugh, il re delle voci non politically correct della destra americana ha detto che dopo l’umiliazione delle Olimpiadi, questa è una nuova dimostrazione che Obama è «un’illusione». «Questo premio spiega meglio di altre cose come Obama le elites del mondo provino ad influenzare il presidente, a spingerlo a non mandare truppe in Afghanistan, a non fare
nulla contro l’Iran nucleare e a continuare nella sua opera di evirazione degli Stati Uniti». Il leader repubblicano Michael Steele è meno rozzo, ma d’accordo: «E’ un peccato che lo star power del presidente abbia occultato il lavoro di tanti che si battono per i diritti umani e per la pace». I democratici hanno risposto a insulti e accuse di vilipendio. Esagerate se si pensa quante - e con qualche ragione - ne hanno dette a George W. Bush.
m. mazz.