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E’ di circa un mese fa la notizia dell’uccisione del regista Christian Poveda, ammazzato, secondo gli inquirenti, proprio da quella banda, la Mara 18 che lui ha ben raccontato nel suo documentario La vida loca , uscito da poco in Francia. Un racconto duro e reale delle bande giovanili che scorazzano per il Salvador, un paese dove per gli adolescenti l’unica alternativa alla strada è proprio appartenere "a qualcosa". Ma non tutti forse sanno che esiste un altro documentario intitolato Vida Loca e realizzato da Stefania Andreotti ma che racconta la vita delle gang in Messico. «Quando ho realizzato il documentario e ho scelto il nome, non sapevo chi fosse Poveda, quindi nemmeno che stesse girando un lavoro simile al mio - spiega Stefania Andreotti - E’ stata una casualità e il suo lavoro non ho ancora avuto modo di vederlo. Mi sarebbe molto piaciuto incontrarlo per confrontare le nostre esperienze. Mi si è gelato il sangue quando ho saputo la notizia della sua morte. I pandilleros uccidono i nemici delle altre bande, oppure uccidono per rubare, ma fino a qualche anno fa non avrebbero mai commesso un’esecuzione come quella di Poveda. Per questo ho da subito pensato che fosse un omicidio su commissione. Che qualcuno gli abbia ordinato di farlo. A chi ha dato fastidio il suo lavoro? Occorre partire da qui per capire cosa è successo». Stefania ha le idee ben chiare e conosce perfettamente l’argomento che ha trattato: «Ero in Chiapas tra la fine del 2005 e l’inizio del 2006 per seguire la Otra Campaña Zapatista e portare avanti un patto di solidarietà tra un municipio autonomo zapatista ed un comune di Ferrara che si chiama Migliaro. Alcuni amici mi hanno parlato delle maras, un fenomeno che loro stessi, pur avvezzi a situazioni di forte disagio, guardavano con diffidenza. Mi è sembrato uno spunto interessante per un documentario». Ed è così che ha cominciato a raccogliere informazioni tra amici, giornalisti, operatori sociali, forze dell’ordine, recandosi da San Cristobal dove si trovava, a Tapachula, ultima città del Chiapas e del Messico prima del confine col Guatemala. «Lì come in ogni luogo di frontiera si vive ai limiti della legalità. I clandestini si aggrappano ai treni per passare la frontiera, con lo scopo ultimo di raggiungere gli Stati Uniti. Le maras li aspettano per minacciarli di farli cadere dal treno se non gli consegnano ogni loro misero avere». Una guerra tra poveri, che mette a confronto storie di emarginazione, di povertà in territori svuotati dalle guerre civili, dal malgoverno e dalla corruzione militare. Ed è così che Stefania si è fermata proprio qui ed ha cominciato a girare ed a raccontare di quelle bande giovanili transnazionali di cui ancora poco si sa in Italia. «Ho scelto il punto di vista di una delle due gang più forti e numerose: la Mara 18, che si contrappone alla Mara Salvatrucha o MS13». Costruire un rete per arrivare ai membri della pandilla non è stato facile, ma alla fine sono loro i protagonisti di questo film girato quasi tutto di notte. Un punto di vista che non emerge mai dai racconti dei media, per lo meno messicani. «Ho vissuto un mese con loro. Riprendendoli nel loro ambiente. Il rapporto che si è instaurato è stato di reciproco rispetto, non ho mai corso pericolo perché loro stessi volevano che io li filmassi, ne andavano fieri. Stando con loro ho capito che dietro all’arroganza, alla violenza, alla perdizione c’è un assoluto bisogno di affetto ed attenzione. Combatterli con corpi speciali di polizia è inutile, così li si fomenta soltanto. Servono progetti di recupero sociale, servono concrete possibilità di avere un futuro. Ognuno dei singoli racconti che ho raccolto sottende questa richiesta. Minacciavano di arrivare in Italia, e io ridevo, perché mi sembrava la loro ennesima sbruffonata, invece eccoli qui, con un nuovo disagio da vivere, quello dell’integrazione». Nonostante i tentativi di repressione dei governi del Centro e Nord America le pandillas si sono moltiplicate, segno del fatto che in Messico è stato applicato un modello che non funziona. In un mondo che spinge sempre di più all’odio del diverso è ovvio che le nuove generazioni mirino a far parte di bande che qui come là nascondono solo un forte bisogno di identità, considerazione, attenzione e integrazione. «Sta agli italiani e alle istituzioni soddisfare queste legittime richieste e abbattere così la violenza, evitando di aprire la strada anche qui alla creazione di corpi speciali e leggi repressive per loro e per tutti: in Messico erano proibite le riunioni di più persone che avessero tatuaggi». Oggi in Messico alcune maras sono state assoldate da uno dei più potenti cartelli della droga, gli Zetas, per fare il cosiddetto trabajo sucio, il lavoro sporco: sequestri, furti, esecuzioni. «Questa è una nuova fase, quando ho realizzato il documentario, i narcos diffidavano dei pandilleros, gli vendevano piccole dosi di droga ma li tenevano alla larga perché erano fuori controllo. Ora, evidentemente i narcotrafficanti ne hanno intuito le potenzialità e sono riusciti a sfruttarli per i loro interessi. Un doppio fallimento per chi avrebbe dovuto risolvere il problema di questi ragazzini giovanissimi». Il documentario di Stefania Andreotti lo si può vedere sul suo sito http://vidaloca.aplysia.net . Scritto, montato e prodotto da Giuseppe Petruzzellis ha avuto 37 mila visualizzazioni su youtube per il trailer in inglese e 26 mila per quello in spagnolo, segno che l’interesse e la fascinazione per l’argomento sono vivissimi. |
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