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-Massacri e corruzione è questo il nuovo Iraq- |
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di Francesca Marretta
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Sami Ramadani, iracheno, professore di sociologia alla London Metropolitan University è stato un esule politico ai tempi di Saddam Hussein. Ieri ha scritto un commento per il quotidiano britannico The Guardian dal titolo: «carneficina e corruzione», due fenomeni duri a morire nel suo paese. Nell’Iraq "liberato", scrive Ramadani oltre ai morti e feriti che si continuano a contare, come dimostrano gli ultimi attentati, vi sono oltre tre milioni di orfani e vedove e due milioni di rifugiati interni che vivono nello squallore. Questo nuovo Iraq ha visto un esodo recente di almeno due milioni di persone. Nell’Iraq contemporaneo le fognature sgorgano nelle strade, mancano spesso acqua ed elettricità ed i servizi sanitari, invece di migliorare, sono andati deteriorandosi. Un paese col 50% di disoccupazione, in cui si verificano casi di rapimenti di bambini in cui droga e prostituzione sono in aumento e in cui il giornalista che ha tirato la scarpa a Bush, Muntadhar al-Aaidi, osannato in tutto il mondo arabo, è stato torturato nelle prigioni del governo di Nouri al-Maliki, aggiunge Ramadani, a cui abbiamo chiesto di commentare gli ultimi attentati in Iraq. Quali interessi si celano dietro la nuova ondata di gravissimi attentati che hanno colpito al cuore Baghdad? Le letture possono essere e sono state molto diverse. Ma quando si parla con gli iracheni della strada a Baghdad, sembra emergere un’opinione abbastanza condivisa, ovvero che chi ha interesse a vedere quello che abbiamo visto sono i potenti iracheni che vogliono il mantenimento dell’occupazione Usa. La retorica conseguenza degli attentati è che gli Usa non possono andarsene lasciando il paese in mani sicure. E le mani sicure sono quelle del regime pro-americano. Lei condivide questa lettura? Io credo che il conflitto interno al regime sia un fattore importante per l’attuale clima. E credo che puntare il dito verso gli Stati Uniti sia giustificato perchè sono loro che dominano completamente la situazione della sicurezza a Baghdad. Sono loro che hanno creato gli apparati di sicurezza iracheni da zero. È difficile muoversi in Iraq senza essere controllati ai check-point. Com’è possibile credere che non ci sia una connivenza diretta degli apparati di sicurezza quando vediamo attentati in zone così sensibili come quelli avvenuti domenica? Questa interpretazione è diversa dalla retorica del conflitto sunniti sciiti. Accusare il conflitto tra sunniti e sciiti è una lettura pigra della situazione. Non è un approccio corretto per capire la complessità della situazione irachena dove gli Usa restano una forza dominante. E la tesi che punta il dito verso al-Qaeda con la collaborazione di elementi baathisti? Certo che è valida anche la lettura che dice che a compiere gli ultimi attentati potrebbero essere state cellule di al-Qaeda con la collaborazione di elementi baathisti, ma resta il fatto che queste forze non potrebbero operare con questa enorme capacità senza che l’occupazione chiuda gli occhi davanti all’organizzazione di attentati di questo stile. Secondo alcune analisi altri paesi della regione hanno intersse a mantenere l’Iraq debole. E’ così? È una teoria generale, ma nessuno ha le prove di quali paesi stranieri abbiano la capacità di infiltrarsi in Iraq o manovrare la situazione bypassando tutto l’apparato di sicurezza diretto dagli americani. Gli esplosivi usati sono di alta tecnologia. Come arrivano nonostante tutti i controlli capillari? Perchè la stampa siriana ha accusato Israele? Intanto la stampa siriana ha in generale un’attitudine di tipo popolar-cospitatorio che dipinge Isreale come un beneficiario della debolezza irachena. Che da una parte è vero, nel senso che tra i paesi della regione quello che vorrebbe più degli altri vedere l’Iraq in ginocchio è Israele. Ma non c’è nessuna concretezza a sostegno di questa tesi. Le elezioni in Iraq sono ancora possibili? Sì, ma quello che conta è che gli iracheni sono disgustati dalle forze politiche, dalla loro corruzione e in molti disetreranno le urne. Sopratutto se pensiamo alle liste chiuse che significa che chi vota non sa per quale candidato sta votando. Quindi, anche se ci saranno, queste elezioni non cambieranno la situazione in Iraq? No perchè in gioco ci sono le stesse forze politiche corrotte che fanno parte del regime. Queste forze politiche in una misura o nell’altra fanno affidmento sugli Stati Uniti, che sono una specie di padrino dei diversi gruppi. Qual è dunque la via d’uscita possibile per il popolo iracheno? Credo che il fattore numero uno sia la fine vera dell’occupazione, lasciando al popolo iracheno la scelta di costruirsi un futuro. Ma anche se fosse questo il caso il futuro si presenterebbe ancora denso di bagni di sangue. Gli iracheni hanno visto oltre un milione di morti. La vita quotidiana in Iarq è inferno sulla terra. Ci sono ovviamente problemi nella società irachena che potrebbero inasprirsi col ritiro completo degli Stati Uniti, ma almeno sarebbe un primo passo per il popolo iracheno che potrebbe cominciare a leccarsi le ferite per rimettere insieme un paese. È un cammino lungo. Ma nulla, nulla potrà cambiare finchè gli Usa muoveranno le fila della situazione politica, militare ed economica irachena. |
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