Cina forte, un bene per tutti gli Usa torneranno in Asia
 







di Martino Mazzonis




Sebbene l’Apec sia un’organizzazione tra le meno consolidate, la sigla e il vertice annuale sono lì a ricordarci di come il baricentro del mondo non ruoti più soltanto attorno all’Oceano atlantico.
I Paesi riuniti nella straricca isola Stato sono 21 e pesano per il 44 per cento del commercio mondiale e per il 40 della popolazione. Tra loro parleranno di commercio - con l’idea di creare un’area di libero scambio entro il 2020 - e di lotta al cambiamento climatico.
A loro gli Stati Uniti devono rivolgersi per mantenere una leadership resa fragile dalle vicende economiche che hanno caratterizzato l’ultimo decennio e dalla miopia della presidenza Bush, che per otto anni ha dimenticato di lavorare in Asia per dedicarsi alla sue crociate. Oggi, per ritrovare un ruolo, gli Stati Uniti devono giocare di sponda essere alleati di tutti e di ciascuno utilizzando geometrie variabili. I primi interlocutori sono, come potrebbe essere altrimenti, il
Giappone e la Cina, ma per gli americani c’è gran lavoro da fare in tutti quei Paesi che temono lo strapotere economico di Pechino.
Il discorso pronunciato da Obama a Tokyo - vedremo quello di Pechino - parla proprio del mondo che verrà.
Gli Stati Uniti, ha spiegato infatti il presidente democratico non vogliono «contenere» la crescita cinese perchè sono consapevoli che «una Cina forte e prospera» è un vantaggio per tutti. Per questo, la sua Amministrazione perseguirà con Pechino «una cooperazione pragmatica». Obama ha anche spiegato di essere «il primo presidente americano del Pacifico» e ha promesso di «rafforzare la leadership» americana in un continente «cruciale». A meno di 48 ore dal suo arrivo a Pechino per la prima visita, Obama ha anticipato che parlerà di diritti umani «in uno spirito sereno» e «senza rancore», Obama ha promesso un maggiore impegno degli Usa in Asia, con un’implicita critica all’era Bush. E’ finito il periodo in cui gli Usa non si impegnavano in Asia,
«Quello che accade qui ha un effetto diretto sulle nostre vite negli Usa», ha osservato Obama, «è in questa regione che transita gran parte del nostro commercio e che compriamo gran parte dei nostri beni, è qui dove possiamo esportare gran parte dei nostri prodotti creando così più posti di lavoro negli Stati Uniti».
Obama ha promesso che l’amicizia con il Giappone non sarà influenzata dalla nuova relazione con Pechino perché è «incrollabile»
ed ha esortato la Corea del Nord a riprendere il dialogo sul suo programma nucleare, avvertendo che gli Usa «non sono intimiditi» dalle sue minacce. A sorpresa - almeno questa è la valutazione degli esperti asiatici di Washington, Obama ha anche chiesto alla giunta militare birmana di liberare Aung San Suu Kyi e gli altri prigionieri politici «senza condizioni», promettendo «rapporti migliori» se si muoverà nella giusta «direzione». Parlare di Birmania è, in fondo, mettere un po’ gli occhi in casa cinese. Pechino, per quanto controvoglia,
resta l’unico partner potente della giunta di Myanmar, così come dell’altro regime improbabile della regione, quello nordcoreano di Kim Jong il.
Oggi il presidente Usa parte per la Cina. Per quanto importante e foriero di incontri utili, il vertice Apec è un diversivo tra Tokyo e Pechino. E’ con la leadership cinese si tratta di trovare un modus operandi efficace per trovare soluzioni ai problemi in agenda che riguardano i due Paesi. Primo punto è quello del clima, con il vertice di Copenhagen che si avvicina e un’intesa tra i due primi inquinatori del mondo che sembra piuttosto lontana. In economia ci sono piccole guerre commerciali in atto - con gli Usa che tentano di difendere con forme di protezionismo qualche settore industriale massacrato dai bassi prezzi cinesi - e molto da discutere sul futuro: la Cina finanzia enormi quote del debito americano e ha estremo bisogno che i consumatori Usa tornino a comprare. Pechino teme anche l’eccessiva debolezza del dollaro, mentre
Washington è stufa di uno yuan che definire sotto-stimato è un eufemismo.
Le relazioni Usa-Cina sono in fondo la pietra angolare da cui passa tutto il resto. A Singapore diversi capi di Stato - compreso il messicano Calderon - hanno protestato per il ricorso al proibizionismo da parte degli Stati Uniti. Obama ha quasi ammesso le sue colpe rispondendo con un argomento sensato: per anni avete avuto un modello di sviluppo basato sul fatto che i consumatori americani si indebitassero per comprare le vostre merci. Ovvero, a ciascuno spetta di fare qualcosa. E’ di questo che si comincerà a parlare in Cina nei prossimi giorni.