-La prima linea-
Il film che nessuno voleva. A priori
 







di Roberta Ronconi




Una carovana di pellegrini circondata dai sioux. L’immagine rubata all’infanzia riemerge pensando a "La prima linea", film a firma di Renato De Maria, bersagliato da ogni parte ancor prima della sua uscita sullo schermo (il prossimo 20 novembre). Il tema del resto è di quelli attorno a cui il nostro cinema gira intorno da molto tempo, senza riuscire a prenderlo per il cuore. E’ la storia «di un omicida che voleva un mondo migliore», come la definiscono con lucida sintesi i coproduttori Jean Pierre e Luc Dardenne (coinvolti dalla Lucky Red di Andrea Occhipinti), racconto non tanto del terrorismo italiano, ma di uno dei suoi protagonisti e della sua compagna di lotta. Il film è "liberamente ispirato" (è la dicitura a cui sono giunti gli autori assieme all’autore) da "La miccia corta. Una storia di Prima linea" (DeriveApprodi) di Sergio Segio, ripubblicato pochi giorni fa con una prefazione del suo autore che accusa De Maria e la produzione del film di essere scesi a troppi compromessi e di aver reso orfani i protagonisti del contesto storico in cui hanno agito. Lui, dunque, quel film - al quale pure ha partecipato con rigore - non lo riconosce più, così come la sua compagna di allora e poi moglie, Susanna Ronconi.
Due giorni fa, prima che altri decidessero per lui, Andrea Occhipinti ha inoltre deciso di rinunciare ai fondi statali, levando le patate dal fuoco al ministro Bondi e a tutti i gangli ministeriali che sin dai tempi della pre-produzione del film avevano tentato in mille modi di ostacolarne la nascita. Autore e sceneggiatori sono passati per diversi inferni prima di iniziare le riprese. Il Ministero per i beni e le attività culturali, infatti, in vista dell’eventuale sovvenzione, ha chiesto la verifica della sceneggiatura e addirittura il vaglio delle associazioni parenti delle vittime del terrorismo. Sandro Petraglia (autore dello script assieme a Ivan Cotroneo e Fidel Signorile) racconta ancora con commozione la difficoltà di
difendere l’opera originale in «una stanza carica di dolore e rabbia» in cui i parenti erano stati riuniti per un confronto "a priori" sulle pagine della sceneggiatura, mentre intanto il comune di Milano levava il proprio patrocinio al film e avvolgeva le riprese «in un clima di ostilità i cui è stato molto difficile andare avanti», racconta De Maria. Compromessi, alla fine, non ne sono stati fatti, giurano gli autori del film. O, se ne sono stati fatti, sono nati tutti da valutazioni personali e non indotte.
Ci si può credere o meno. Alla fine, però, a decidere è il film e il pubblico che lo andrà a vedere. Noi lo abbiamo visto ieri e, anticipando qualche parola della recensione che seguirà all’uscita in sala, pensiamo sinceramente che "La prima linea" sia un piccolo miracolo. Molto è rimasto fuori, è vero, e al contesto storico in cui tante vite maturarono sono dedicati solo pochi accenni. Ma un’opera artistica è fatta di scelte. De Maria e i suoi sceneggiatori hanno scelto di
concentrarsi sul racconto del percorso di Sergio (il cognome, Segio, non è mai pronunciato) e di Susanna, ovvero sulla storia di due ventenni che invece di vivere una vita normale e un amore bello come tanti altri, entrarono in una sorta di altra dimensione. Un distacco dalla realtà, una dissociazione dalla propria umanità causata da quell’integralismo che sempre trasforma le persone nelle loro funzioni, come nel caso di Alessandrini, ucciso perché era un giudice, non un uomo e un padre. Renato De Maria e i suoi collaboratori (tra cui i bravissimi protagonisti Riccardo Scamarcio e Giovanna Mezzogiorno) con "La prima linea" compiono un passo nella direzione giusta. Non si caricano dell’impossibile peso di raccontare tutta la complessità di quella storia dolente, ma solo un pezzettino. Quel tanto che permette lo spazio di uno schermo, nel tempo di un’ora e mezza. E lo fanno con arte, con passione, con rigore.