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Meglio tardi che mai Lo Sri Lanka libererà migliaia di tamil dai campi prigione |
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di Matteo Alviti
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Liberi tutti. Più o meno. Le circa 136mila persone ancora in stato di detenzione nei campi profughi del nord dello Sri Lanka saranno presto liberate, entro la fine di gennaio dell’anno prossimo. Ma già tra breve, dal primo dicembre, gli sarà concesso di lasciare i campi per periodi limitati e con motivazioni precise, a patto che facciano ritorno. Lo ha annunciato ieri durante una visita al campo di Menik Farm, cedendo alle forti pressioni internazionali, Basil Rajapaksa, consigliere speciale del presidente - il più famoso fratello Mahinda, che lo scorso maggio aveva messo fine con il pugno di ferro alla guerriglia delle Tigri della minoranza tamil, dal 1983 in lotta per l’indipendenza del Tamil Eelam. I profughi erano fuggiti a decine migliaia, giorno dopo giorno, durante l’assalto finale delle forze armate all’ultima roccaforte dell’Esercito di liberazione del Tamil Eelam (Ltte), una striscia di terra a nordest dell’isola. Lunghi serpentoni umani, carichi delle poche cose che avevano potuto portare con sé, lasciavano i villaggi bombardati dall’artiglieria pesante dei militari e colpiti dalle armi dei tamil per cercare rifugio altrove. Le Tigri e i soldati della capitale Colombo combattevano una guerra atroce che sarebbe finita con un solo vincitore. In mezzo le vittime civili, usate da una parte e dall’altra, secondo le testimonianze raccolte da diverse ong. Alla fine più di 300mila "rifugiati interni", come si usa definirli, erano stati stipati in condizioni limite nei campi profughi allestiti dai militari singalesi. Quella sistemazione, che da una parte ha probabilmente salvato molte vite, dall’altra ha dato ai militari e al governo del presidente Rajapaksa il controllo assoluto sulla popolazione e la distribuzione delle risorse di cibo e medicine, poche, messe a disposizione anche grazie all’aiuto della comunità internazionale, altrimenti impotente. Ieri le Nazioni unite hanno salutato positivamente la notizia, che accoglie una richiesta ribadita ancora pochi giorni fa dall’inviato Onu John Holmes, in visita nell’area. Il processo di liberazione aveva già subito un’accelerazione lo scorso ottobre, quando in mese erano state rilasciate 41mila persone, mai così tante tutte insieme. Il governo ha assicurato che ad ogni famiglia saranno assegnate 50mila rupie, circa 440 dollari, per aiutarli nella ricostruzione delle loro case. Proprio la situazione dei campi, tra altre cose, era stata al centro dello scontro di potere tra il presidente Rajapaksa e l’ex generale Saraht Fonseka, capo delle forze armate durante la guerra. La scorsa settimana Fonseka, accusato di ordire un golpe, era stato costretto a dimettersi dal governo. Il generale avrebbe deciso di correre contro Rajapaksa nelle prossime elezioni in aprile, in uno scontro di potere tutto interno alla maggioranza singalese per capitalizzare la vittoria sulle Tigri. Dopo la guerra, Fonseka aveva promesso di voler rispettare i diritti civili e di impegnarsi per una rapida ricollocazione dei civili. Rajapaksa, infatti, era stato duramente criticato per la lentezza con cui stava gestendo il ritorno alla normalità nell’area, tra elezioni truccate e soprusi vari. Ma il governo si era difeso spiegando che ci sarebbe voluto del tempo per «estirpare» i ribelli nascosti tra la massa di persone rifugiate. Inoltre, era stato detto, le zone dei combattimenti mancano ancora delle più minime infrastrutture e sono seminate da più di un milione e mezzo di mine. Per le stesse ragioni, ai media indipendenti e agli oppositori politici non era stato concesso di muoversi liberamente nelle zone "liberate" e all’interno dei campi. Uccisi molti dei capi delle Tigri, tra cui il leggendario Prabhakaran, attualmente i militari detengono in campi separati al di fuori di ogni controllo circa 10mila ex combattenti, o ritenuti tali. In ottobre era emerso un video agghiacciante in cui si vedono dei militari che, dopo aver picchiato e spogliato dei tamil, forse dell’Ltte, li uccidono con un colpo di fucile alla nuca, nudi e con le mani legate dietro la schiena. Durante i 26 anni di guerra, che hanno fatto più di 80mile vittime, si è parlato a lungo di esecuzioni sommarie e torture. Questo video ne è la prima prova. Ieri, intanto, si è conclusa a Zurigo una tre giorni di lavori organizzata da alcuni partiti tamil e musulmani della diaspora, che stanno lavorando a un’agenda minima di proposte politiche da avanzare in patria, con le riserve esplicite dell’ala meno disposta al compromesso. |
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