|
|
Più truppe e via in 3 anni ecco la strategia per salvarsi a Kabul |
|
|
|
|
Martino Mazzonis
|
|
|
|
La partita afghana di Obama è come un domino, una tessera ne fa cadere un’altra, tutte sono legate tra loro. La differenza con il gioco è che nessuno sembra in grado di prevedere che direzione prenderà la reazione a catena. I talebani, il Pakistan, al Qaeda, Karzai, la società afghana e quella statunitense, la politica Usa e la poca voglia degli americani di continuare a mandare soldi e soldati a Kabul sono solo alcune delle tessere del domino. L’impegno di vincere in Afghanistan, preso in campagna elettorale per non sembrare una mammoletta è il fardello politico che Obama si porta dietro. Vittorie per gli Usa e per la Nato in Afghanistan non ce ne saranno, ma tra un’uscita onorevole - l’Iraq, oggi - e una rotta disastrosa - il Vietnam - ce ne passa. Nella notte scorsa, parlando ai cadetti West Point, il presidente Obama ha delineato la nuova strategia per l’Afghanistan. Prima aveva spiegato cosa avrebbe detto ai presidenti afghano e pakistano in videoconferenza. Le abbondanti anticipazioni indicano che la più importante tra le scelte del presidente è quella di inviare altri 30mila militari nei prossimi sei mesi . Non proprio quanti ne aveva chiesti il comandante in Afghanistan McChrystal, ma quasi. L’obbiettivo del secondo aumento di truppe deciso dall’amministrazione che ha ereditato il disastro afghano non dovrebbero essere, nelle intenzioni di Obama e nei piani del generale che le ha chieste, un rilancio dell’offensiva militare a tutto campo tentata più di una volta negli ultimi anni. Nel suo discorso Obama ha stabilito una cornice e una sorta di calendario per il ritiro del grosso delle truppe (tre anni) e spiegato che le truppe serviranno a riconquistare territorio nelle province in mano alla guerriglia e tenerlo, in maniera da far tornare la vita nelle città a qualcosa che somigli alla normalità. In passato, le truppe hanno concentrato i loro sforzi nella caccia alla guerriglia. Altro elemento della strategia sarà un impegno molto maggiore nell’addestramento di esercito e polizia. E poi, ma questa è politica, non strategia militare, ci sarà da tenere sotto controllo l’appena rieletto Karzai e proseguire in maniera molto cauta il dialogo con il Pakistan - la leadership di al Qaeda e molte reti di combattenti hanno sulle montagne pakistane le loro basi. Obbiettivo politico della nuova strategia, per elaborare la quale ad Obama ci sono venute settimane, decine di incontri e sei riunioni con i massimi livelli dei vertici militari e diplomatici, è quello di convincere gli afghani che la presenza Usa è destinata a finire e che, fino a quando c’è, serve a migliorare il livello della sicurezza. Per questo McChrystal chiede più vicinanza e interazione con la popolazione e sceglie di difendere i centri abitati anziché starsene alla larga. I sondaggi sulla popolazione locale - per quel che valgono - indicano che la delusione degli afghani è dovuta a corruzione, insicurezza e mancanza di servizi: se gli americani riuscissero a migliorare un poco la situazione potrebbero conquistare quei famosi "hearts and minds", i cuori e le menti degli afghani, con i quali non hanno avuto certo successo. Poi ci sarà da trattare con i talebani , o almeno con la parte più nazionalista e/o locale. I capi della guerriglia non sono necessariamente degli invasati religiosi, ma leader locali con interessi tribali o economici, guerriglieri a loro fedeli da tutelare, aree geografiche da amministrare. Mai, dal 2001 ad oggi, Washington ha fatto uno sforzo serio per far cambiare campo ad una guerriglia locale che ha spesso scelto di passare al nemico o cambiato alleanze. In Afghanistan la guerra civile e non dura dall’invasione sovietica e ciascuno a combattuto con e contro tutti gli altri. Gli americani, insomma, suggeriscono diversi esperti della regione, dovrebbero cercare alleanze tra i combattenti. Per ottenere risultati su qualità del governo locale e alleanze con capi tribali e guerriglieri, si parla molto della necessità di rafforzare le autonomie. Un governo locale è comunque costretto a rispondere in maniera più stringente alla popolazione, così come a rispondere dei soldi della cooperazione. Più autonomie locali significa anche indebolimento di Hamid Karzai, al quale Obama ha mandato più di un segnale. Ma senza il quale mancherebbe una qualsiasi forma di potere centrale. Le pressioni sulla corruzione e la pulizia interna continueranno, ma per adesso non saranno talmente eclatanti da rovinare definitivamente un rapporto non idilliaco. La partita contro al Qaeda è molto più complicata. Nel suo discorso, Obama ha detto (o meglio, dovrebbe aver detto) che l’obbiettivo degli Stati Uniti è «smantellare e degradare» la rete terroristica. Ovvero, non ha detto «sconfiggere». Ma qui il problema è un altro. Riuscire a separare parte della guerriglia afghana dalla rete terroristica di Osama bin Laden è possibile. Ma il comando e la base militante di al Qaeda oggi sono in Pakistan , protette dalle milizie oltre confine, dagli uzbeki e dalla rete di combattenti di Jalaluddin Haqqani, già eroe della guerra anti-sovietica. Il nuovo governo di Islamabad sta facendo più di quanto non abbia fatto Musharraf e a causa della violenza indiscriminata dei talebani - decine sono gli attentati contro i civili - la popolazione sembra opporsi meno che in passato all’idea di combatterli. Con Islamabad la partita è delicatissima, le pressioni perché combatta nelle province autonome e in Waziristan non possono essere pubbliche. E lo sforzo economico per la cooperazione sarà enorme. L’ultima tessera del domino è l’ opinione pubblica Usa . Obama promette agli americani che questo sarà l’ultimo aumento di truppe e indica una via d’uscita. I mugugni nel suo partito e nella sua base non mancano. Si parla di una tassa di scopo per finanziare la guerra e invece servirebbero soldi per promuovere l’occupazione. L’Afghanistan, insomma è un rebus senza soluzioni, del quale Obama farebbe volentieri a meno. |
|
|