|
Il premier guarda i dati del consenso che ancora ha, così direbbero i sondaggi che commissiona a più non posso in queste difficili settimane. Legge e agisce, rischiando - lo sa bene - di mandare all’aria il complicato confronto con l’opposizione sulle riforme istituzionali, auspicato più volte da Giorgio Napolitano e Gianfranco Fini, accolto in Senato solo la settimana scorsa con l’approvazione di mozioni d’indirizzo che hanno segnato solo un primo passo e di certo anche un nuovo clima di rapporti tra maggioranza e minoranza in Parlamento. Ma il faro del Cavaliere non è il Parlamento, bensì il suo elettorato. E anche all’estero, a Bonn dove partecipa al congresso del Ppe, non si tiene: torna d’un colpo ai toni usati all’indomani della bocciatura del lodo Alfano da parte della Consulta. «Permettemi di parlare un secondo del mio paese», esordisce. Il resto è fiume in piena che travolge magistratura, Corte Costituzionale, presidente della Repubblica e naturalmente l’opposizione. «Il Parlamento fa le leggi, ma, se non piacciono al partito dei giudici, questo si rivolge alla Corte Costituzionale che le abroga», dice Berlusconi ai delegati del Ppe. Chiarisce il suo concetto di riforme: «Stiamo lavorando per cambiare questa situazione anche attraverso una riforma della Costituzione». Perchè, continua, la Corte Costituzionale «da organo di garanzia si è trasformata in organo politico. Abrogando il lodo Alfano ha praticamente detto ai pubblici accusatori: riprendete la caccia all’uomo nei confronti del primo ministro». Una situazione dovuta al fatto che in Corte Costituzionale «su 15 giudici, 11 sono di sinistra» perchè «abbiamo avuto purtroppo tre presidenti della Repubblica consecutivi tutti di sinistra», un dato che, secondo il Cavaliere, avrebbe "viziato" la composizione della Corte nella parte nominata dal Colle. In Italia, continua, «non c’è l’immunità parlamentare, i pm non dipendono dal governo e si è formato nella sinistra un partito dei giudici. Non riuscendo la sinistra, divisa e allo sbando, ad avere ragione attraverso la politica, cerca di avere ragione del centrodestra attraverso i processi». Ma, conclude, «abbiamo una maggioranza coesa e un premier super. Chi crede ancora in me ne è convinto e si chiede: "dove si trova uno forte e duro, con le palle come Silvio Berlusconi?"». L’eco delle parole del premier da Bonn scatena una nuova bufera in Italia, proprio ora che la commissione giustizia della Camera si appresta a discutere e approvare (a gennaio) una proposta di legge che riconoscerebbe a Berlusconi il diritto al legittimo impedimento per evitare le udienze in tribunale. Il primo a chiedere chiarimenti è il presidente della Camera Fini che «non condivide» le affermazioni del premier, lo invita a «precisare meglio» lì davanti al Ppe, per «non ingenerare una pericolosa confusione su quanto accade in Italia e sulle reali intenzioni del governo». Perchè, dice Fini, «è vero che la "sovranità appartiene al popolo", ma Berlusconi non può dimenticare che esso "la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione"». Da Bonn nessun chiarimento, bensì una sprezzante replica: «Niente da chiarire. Sono stanco delle ipocrisie, tutto qua». Ai suoi poi Berlusconi confiderà tutta la sua sorpresa per le reazioni italiane: «Assurdo, il presidente del consiglio dileggiato e se fa qualcosa viene considerato anche antidemocratico... Ora non posso parlare liberamente nemmeno a un congresso di partito, il Ppe, casa mia...». Sembrava un altro atto, sempre più grave, dell’eterno battibecco Fini-Berlusconi. Fino a quel momento. Ma la risposta del Capo dello Stato non si è fatta attendere. In una nota ufficiale, Napolitano esprime «profondo rammarico e preoccupazione» per il «violento attacco contro le fondamentali istituzioni di garanzia in una importante sede politica internazionale». Il presidente della Repubblica insiste sulla necessità di uno «spirito di leale collaborazione e di quell’impegno di condivisione che pochi giorni fa il Senato ha concordemente auspicato». Lo scontro si riflette alla Camera, che dopo aver accolto le indicazioni della giunta per le autorizzazioni sul no all’arresto per il sottosegretario Nicola Cosentino, accusato di collusione con la Camorra, nel pomeriggio discute le mozioni di sfiducia presentate da Idv, Pd e Udc. In aula Democratici e dipietristi chiedono al presidente del Consiglio di riferire in Parlamento. Duro Casini, che ricorda al premier gli sforzi della sua Udc per presentare una proposta sul legittimo impedimento, «ancorchè discutibile». Ingrato, è il senso dell’intervento del leader centrista: e ora, «noi stiamo, senza se e senza ma, con Napolitano». Al termine di un dibattito incandescente di accuse, colpi bassi e "colpi di scena" (Fini invia un biglietto a Casini: «Veramente bravo!»), l’aula respinge le tre richieste di dimissioni a Cosentino. Nel Pdl si astengono Fabio Granata e Angela Napoli, entrambi in Antimafia, «convinti che non sia il caso che Cosentino resti nel governo», dice il deputato finiano. Il senso del nuovo show berlusconiano lo chiarisce il sottosegretario Paolo Bonaiuti: «Sulla Consulta ha detto la verità. Invece c’è da chiedersi perchè, quando viene attaccata un’istituzione votata dalla maggioranza degli italiani come il presidente del Consiglio, nessuno esca in sua difesa». Gli ingredienti per un nuovo scontro istituzionale ci sono tutti e stavolta è scontro preventivo. Il premier teme fortemente che ogni provvedimento pensato per salvarlo dai processi si infranga in una bocciatura della Corte Costituzionale. Lo temono i suoi avvocati, lo va dicendo, già da giorni, Bersani. Ora, il rischio vero per il segretario del Pd è quello di «populismo: Berlusconi allude a un sistema incostituzionale che non è il nostro. Ci dica dove vuole andare...». Di Pietro parla di «fascismo». Salta tutto a partire dal dialogo sulle riforme? Il responsabile del Pd sull’argomento, Luciano Violante, si limita a notare quanto sia «naturale» la presa di distanza di Fini da Berlusconi. Il ministro per le Riforme Roberto Calderoli sottolinea invece quanto il tema sia «attuale, soprattutto le riforme costituzionali...». E a Montecitorio si ricomincia a parlare di quanto il premier accarezzi l’arma delle elezioni anticipate. Punto e a capo con gli interrogativi su una maggioranza alternativa in caso il Cavaliere invochi le urne. «Ormai navighiamo a vista - ammette il finiano Granata - Certo, siamo sorpresi dalle parole di Berlusconi a Bonn: ci ha sempre tenuto a dare un’immagine positiva dell’Italia all’estero...». E oggi sarà la giornata dei fratelli Graviano, boss di mafia nel processo Dell’Utri. |
|
|