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Belfast, il muro ha 40 anni |
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Francesca Marretta
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Sebbene si somiglino nella struttura, i muri di separazione tra comunità e luoghi che ancora resistono nell’era della globalizzazione, non sono necessariamente paragonabili tra loro. Le sembianze sono le stesse: piloni di cemento, alti sei, otto metri, placche di metallo, reticolati spesso elettrificati, filo spinato, varchi presidiati dai soldati, aperti la mattina e chiusi la sera. Eccetto che per la diversità climatica, ad esempio, il paesaggio architettonico del muro della Cisgiordania e Gerusalemme, non ha in fondo caratteristiche troppo diverse da quello di Belfast, in Irlanda del Nord. Alcuni dei graffiti e i murales che gli danno colore, visti da lontano possono apparire simili. Ma mentre, ogni settimana nei Territori palestinesi la popolazione dei villaggi nella zona intorno a Ramallah, come Bi’lin, scende in piazza per gridare "no" al muro "della vergogna", nonostante la prospettiva di dover affrontare ogni volta la repressione israeliana, fatta di lacrimogeni, pallottole e arresti, a Belfast, le comunità nazionaliste cattoliche e quelle unioniste protestanti, vogliono che il muro, anzi i muri, che le dividono restino al loro posto. Ancora per almeno un altro paio di generazioni. Per essere più precisi, il 60% dei nordirlandesi sarebbe favorevole all’abbattimento dei muri, ma solo quando sarà «sicuro» farlo. Le barriere di separazione In Irlanda del Nord si chiamano, paradossalmente, "peace lines", linee della pace. Le prime furono innalzate a Belfast subito dopo l’inizio dei "Troubles", il periodo più recente del conflitto tra cattolici e protestanti, scoppiato nel 1969. All’epoca nessuno credeva che in Irlanda del Nord sarebbe stata eretta una sorta di copia del muro di Berlino. Si pensava piuttosto che quelle barricate rinforzate sarebbero state smantellate. Invece, mentre negli anni ’70 si contavano nel paese circa 26 "peace lines", oggi se ne contano 88. Si tratta di strutture permanenti. Oltre la metà passano attraverso Belfast, concentrate in particolare nella zona nord. Oltre a cemento, reticolati e filo spinato le "peace lines" possono essere composte anche da aree in cui fanno da barriera tra le comunità delle "buffer zone", o edifici abbandonati. La definizione di "peace lines" non appare del tutto inappropriata se si considera che il 70% delle barriere che oggi dividono le comunità nordirlandesi è stato costruito a partire dal 1994, dopo l’annuncio del cessate il fuoco dichiarato dai cattolici repubblicani dell’Ira (Irish republican army), cui seguì, un mese e mezzo dopo, l’analoga dichiarazione da parte degli unionisti. La firma di accordi di pace tra protestanti e cattolici sarebbe giunta solo nel1998, con il "Good Friday agreement". Tra questa data e il cessate il fuoco si sono registrate altre violenze, come l’attentato rivendicato dall’Ira a Canary Warf a Londra nel 1996. Uno degli emblemi della pacificazione nella Belfast è il fatto che i muri che continuano a dividere protestanti e cattolici sono diventati un’attrazione turistica. Chi oggi sbarca a Belfast per un week-end avrà quasi certamente prenotato un "political tour", giro turistico a bordo di un "black taxi" o su un autobus, alla ricerca di emozioni da "Amarcord" del conflitto. Gettonatissimo è il tour dei murales che occhieggiano dalle pile di mattoni o sui laterizi delle case. Quelli dei settori cattolici, ricordano Bobby Sands e altri prigionieri politici nazionalisti morti in carcere facendo lo sciopero della fame. Oppure la rivolta delle donne del 1916 o altri episodi che ricordano le vittime di attacchi settari. Quelli lealisti riproducono invece la simbologia dei gruppi paramilitari unionisti, come Uster Freedom Fighters, Ulster Volunteer Force o Ulster Defence Regiment. I murales di Belfast ricoprono intere pareti di edifici. Per le soste nelle aree più famose per gli scontri settari, la cattolica Falls e la protestante Shankill, il "politica tour" prevede incontri con ex detenuti, dell’una e dell’altra parte, che col turismo si sono rifatti una vita e oggi raccontano le loro gesta da ex combattenti ripercorrendo le tappe degli anni bui del conflitto a beneficio dei visitatori. Business is business. Tra le due zone si passa attraverso il check-point di Lanark Way che separa la più massiccia barriera di separazione del paese. Al calare del buio le automobili non vanno più da una parte all’altra. Chi è stato battezzato col nome di Patrick, girerà per Falls, chi si chiama George, andrà a bere in un pub di Shankill. Alle nove di sera il check-point tra i due settori viene chiuso dalla polizia, ma per quell’ora ciascuno è già tornato nel proprio settore. Il primo muro di Belfast fu innalzato nel 1968 tra la cattolica Bombay Street e la protestante Cupar Way. L’ultimo è stato costruito l’anno scorso nel cortile di un asilo nella zona nord della città. La stragrande maggioranza degli irlandesi vuole lasciarsi alle spalle il conflitto, ma abbattere i muri fa ancora paura a tutti. I rigurgiti della lotta armata di alcuni irriducibili dell’Ira hanno infatti agitato gli animi dei nordirlandesi a inizio anno, quando sonno stati messi a segno due attentati contro soldati britannici e poliziotti nordirlandesi. Una lunga serie di attacchi erano precedebtemente stati sventati dalle forze dell’ordine dell’Ulster, composte oggi, come le istituzioni in generale, da protestanti e cattolici che lavorano fianco a fianco. I gruppi che ancora rivendicano la lotta armata sono marginali, ma continuano a fare proseliti tra i giovanissimi. La provocazione delle marce orangiste che celebrano la vittoria del protestante Guglielmo d’Orange contro il cattolico Giacomo II nella battaglia di Boyne nel 1690, si ripete regolarmente ogni anno. Durante la parata dell’estate scorsa vi sono stati gravi incidenti. Tra gli episodi di violenza settaria avvenuti quest’anno, il più cruento è stato il pestaggio di un uomo a morte a Coleranie, perchè cattolico. Le divisioni tra protestanti e cattolici, a parte quelle tracciate dai muri, restano quelle psicologiche. «La gente è cresciuta spalla a spalla percependo il vicino come nemico. Issare le barricate è stato facile, abbatterle non lo sarà altrettanto», ha scritto ad agosto scorso sul quotidiano britannico The Indedpendent David McKittrick, giornalista di Belfast, classe 1949, che ha cominciato a raccontare il conflitto da giovanissimo nel 1971. Secondo McKittrick anche se «Belfast non conosce ancora la vera pace la situazione è talmente migliorata che non è impossibile sognare l’abbattimento del muro». Il problema di fondo in Ulster resta l’incompatibilità tra il sogno dei nazionalisti cattolici di unità con Dublino e per gli unionisti quello di restare attaccati a Londra.I politici di entrambe le parti politiche hanno condannato i recenti atti di violenza o di vadalismo compiuti in nome del legame al tricolore o alla Union Jack. A Belfast non si vedranno mai scene come quelle viste a Berlino nel 1989. Nessuno prenderà un martello per fare breccia nel cemento. Perchè pur essendo fatti del medesimo calcestruzzo, i muri hanno storie diverse. Solo i traumi del conflitto, che si parli tedesco, arabo, inglese o spagnolo, segnano profondamente le esistenze attraversate da queste orrente barriere. Da questo punto di vista ogni muro è uguale all’altro.
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