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-Noi donne libanesi stufe d’essere viste nei panni delle vittime- |
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Paola Milli
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A Tibnin, località ad un centinaio di km a sud di Beirut, Salma Fawaz dirige la Biblioteca comunale, un centro policulturale per più attività fondato nel 1997 e dedicato a Joseph Mgaizel, membro del Parlamento libanese, originario di Tibnin. Salma è a capo scoperto, sorridente e sicura di sé. Racconta il vissuto di questo importante luogo d’incontro, crocevia di esperienze individuali. La guerra, l’orrore, la morte, le bombe israeliane del 2006, le millecinquecento vittime libanesi rimangono un passato ancora presente. Nei villaggi del sud i segni sono ancora tangibili, visibili agli occhi degli osservatori stranieri e dei "portatori di pace" inviati dall’Onu. Il Libano non ha mai conosciuto una pace duratura. Israele vi ha sempre visto un nemico giurato, una terra confinante da invadere con i ben noti pretesti di cattura dei guerriglieri, lanciatori di missili nell’Alta Galilea. A Gaza sono i militanti di Hamas, qui l’odio si riversa contro Hezbollah che è un partito politico, non proprio una congrega di imam integralisti e fanatici. Nel ’75 il Paese cessò di essere una meta per gente in fuga dall’Europa e da reati finanziari, e la guerra civile sprofondò il paese nella distruzione. Quindici anni di conflitto civile, aggravati da due guerre con Israele e una occupazione siriana su cui andrebbe fatta piena luce nella lettura degli attuali rapporti con la repubblica di Bashar al-Assad, hanno lasciato il segno. Gli occhi di Salma raccontano la tristezza e il dolore della guerra senza mai evocarla, caparbia ma consapevole della difficoltà della "ricostruzione". Parliamo delle donna oggi in Libano? Non potrei dire che la donna libanese viva una condizione di emancipazione occidentalizzata, non ancora, ma ho idea che questa sia la direzione. E’ bene chiarirlo subito: lo stereotipo della donna musulmana schiava dei pregiudizi morali e dei dogmi religiosi imperanti che ne cancellano l’identità e la soggettività, qui non funziona, non è applicabile alla realtà del nostro Paese. Le donne guidano l’automobile e lavorano quando trovano un lavoro, scelgono liberamente se portare oppure no il velo, non hanno un ruolo troppo subalterno all’uomo, possono scegliere di non sposarsi se non lo desiderano, senza per questo essere stigmatizzate. Inoltre, la poligamia è un istituto in via d’estinzione, certo non tanto in virtù di un percorso di superamento comune all’interno della coppia, che ponga in discussione il modello di donna come oggetto di piacere nel sultanato, quanto per via della esosità che comporta per l’uomo il far fronte a più famiglie a cui va garantito il medesimo livello di sussistenza. A Beirut il modello occidentale è acquisito quasi per intero, nei villaggi i costumi si evolvono più lentamente. Quali attività svolge nella sua biblioteca? Svolgiamo molte attività che interessano le donne. Facciamo prevenzione medica, diamo sostegno psicologico e morale, organizziamo corsi di lingue, informatica e storia. La biblioteca è punto d’incontro di varie associazioni culturali che qui si confrontano e decidono iniziative. Se si presenta una donna vittima di violenza in ambito familiare che tipo di sostegno potete offrirle? La violenza è vietata anche dal Corano, una donna che subisca violenza in casa può avere subito il sostegno della comunità, deve avere solo il coraggio di parlarne, denunciare quel che subisce e non sarà mai lasciata in balìa di chi le fa del male perché vi è una riprovazione sociale molto forte nei confronti della violenza, è percepita come un disvalore, oltre che ingiusta. Abbiamo un costante punto di riferimento nell’associazione "Basta violenza" che ha sede a Beirut, ma anche nel Ministero degli affari sociali, tramite Randa Berri, la consorte del Presidente del parlamento libanese Nabih Berri. Randa è spesso qui. Garantiamo sedute terapeutiche con psicologi. Il vero scoglio è la paura e il pregiudizio che troppo spesso legano la psicoterapia alla malattia mentale di cui si ha un oscuro timore, verso la quale si prova riluttanza, quasi vergogna. La religione condiziona il vissuto della donna libanese? E’ l’autorevolezza di cui si ammantano i capi religiosi che conferisce loro il ruolo guida nelle questioni sociali, etiche, politiche. Un ruolo percepito dalla donna come forse ancora necessario a trasmettere un "dire" superiore a cui l’individuo non può attingere con i suoi soli mezzi. Tuttavia questo "messaggio" viene filtrato e non è il padrone della vita delle donne libanesi. I testi sacri sono nella percezione comune un vasto contenuto culturale, etico ed antropologico sempre presente ma in modo, direi, dinamico, da mettere sempre a confronto con le circostanze della vita. E’ stato elaborato il lutto della guerra? Non si elabora il lutto della guerra, non è possibile, la guerra non è mai il male minore, è una sciagura che distrugge, strappa la vita agli innocenti, cancella in un attimo l’operato di civiltà che non torneranno più ad esprimere l’espressione. Distrugge segni che hanno sfidato il tempo. Nonostante tutto qui la gente è forte dentro, reagisce agli eventi con vigore e serenità. I bambini, invece, il trauma lo portano nello sguardo. Nel loro caso interveniamo a vari livelli, sul linguaggio, sulle attività ludiche, sul rafforzamento della catena affettiva, per favoririre l’autostima e la nascita di un pensiero critico. Il futuro del Libano è nelle loro mani. |
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