Cosa ne sa il cavaliere dell’amore ?
 







Rosario Amico Roxas




A proposito del " Partito dell’amore", ultima invenzione mediatica dell’ineffabile e fantasioso cavaliere, mi chiedo: ma cosa ne sa il cavaliere dell’amore ?
Lui che rappresenta la quint’essenza dell’egoismo, dell’avidità, dell’egocentrismo, del culto della SUA personalità, della pretesa di elevarsi al disopra degli altri e pretendere impunità penali.
Cosa ne sa dell’amore che costituisce la base della famiglia e che si dilata nell’intera società, lui che di famiglie ne ha sfasciate due, permettendo anche uno sputtanamento mediatico della seconda moglie, al fine di dimostrare che non sarebbe stata certo migliore di quelle escort che criticava, trascurando che si trattava della madre dei suoi figli ?
Cosa ne sa dell’amore, lui che ha regalato agli evasori, ai mafiosi, ai delinquenti uno scudo fiscale, mentre  ha liquidato i bisognosi con una patente di povertà attraverso quella infelice social card ?
Si dichiara ossequioso dei
dettami del cattolicesimo che ispirerebbero l’azione del suo disgraziatissimo governo, quando ignora totalmente i principi dichiarati da grandi pontefici, contentandosi di aderire al cattolicesimo di Ratzinger che usa Cristo e l’Amore di Cristo come un suppellettile idoneo a giustificare i suoi blasfemi tentativi di storicizzare la divinità di Gesù mortificando la genuinità della Fede.
Due grandi pontefici hanno perfezionato l’itinerario che parte dall’amore per concretizzarsi nella solidarietà sociale.
L’Enciclica Populorum Progressio di Paolo VI parla di ’amore’ al posto di utilizzare il termine ’solidarietà’, questo vocabolario squisitamente evangelico ne limita la comprensione ai soli fedeli cristiani, per i quali l’amore è la spinta anagogica che supera tutte le differenze. Volendo fornire una lettura più ampia, destinata indistintamente a tutti gli uomini, l’uso del termine ’solidarietà’ serve a coinvolgere anche quelle persone che limitano l’amore alla ristretta cerchia
del mondo che li circonda da vicino.
Deve farci riflettere  la "integralità" che coinvolge l’umanesimo solidale, frutto della ispirazione suggerita a Paolo VI da Jacques Maritain. Nella "Caritas in veritate" emerge la selettività rivolta al mondo cattolico, che sarebbe culturalmente superiore al pianeta delle altre religioni, segno evidente dell’influenza che il razzista Marcello Pera esercita su Ratzinger Benedetto XVI.
Ma non si tratta di un confronto tra Maritain e Pera, ce lo impedisce la carità cristiana.
Non c’è dubbio che l’aspirazione del Pontefice era quella di coinvolgere l’umanità intera nel sentimento reciproco di amore, ma i tempi, ancora oggi dopo oltre 40 anni dalla emanazione della PP, non sono maturi; il concetto di amore non è compreso e per questo non è accettato e non è praticato.
Non c’è stato amore nella mobilitazione planetaria a favore dei superstiti del maremoto che ha sconvolto il Sud-Est asiatico il 26 dicembre del 2004, è stato un moto di
generosa solidarietà, direi anche di facile solidarietà perché non ci ha coinvolti personalmente in un atto di amore, ci è stata spianata la strada con l’organizzazione dei ’messaggini’ inviati tramite il telefono portatile con cui, con molta facilità, senza alcuna fatica, si donava un euro; decine di milioni di italiani hanno inviato quel messaggino telefonico per decine di milioni di euro, ritenendo, così, di essere a posto con la propria coscienza. L’atto di amore è tutt’altro, è partecipazione attiva, è donazione senza attendersi un ritorno neanche dalla propria coscienza, è annullamento del proprio ’io’ nella dedizione verso il prossimo, specie quando è più debole e più bisognoso.
Per questo continuerò l’analisi dell’Enciclica di Paolo VI identificando con solidarietà quello che il Pontefice avrebbe voluto che fosse amore, in una lettura laica che nulla toglie alla spiritualità, anzi ne diventa parte inscindibile.
Non si può affermare che la solidarietà può risolvere i
problemi solo a livello individuale stante il fatto che nella società preme la necessità alla lotta; il richiamo alla lotta unisce solo esternamente, nella difesa e nella distruzione. Per costruire positivamente una nuova società con un nuovo umanesimo, solo la solidarietà può sconfiggere l’egoismo e l’individualismo, rendendo solidali verso l’altro come si è solidali verso se stessi, assimilando la classe più debole alla propria. Questa la dottrina sociale della Chiesa per un nuovo e universale umanesimo.
La dottrina sociale marxista presentava una soluzione positiva della lotta di classe quando progettava l’edificazione di una società senza classi, per realizzare la quale bisognava eliminare la causa della distinzione fra le classi, come la proprietà privata dei mezzi di produzione e introdurre la proprietà collettiva. Il marxismo chiamava scientifica questa visione della società e dei metodi di azione sociale, sostenendo che mai potrà capire qualche cosa della vita sociale chi
non si metterà in questo ordine di idee e mai saprà spiegare i mali che attanagliano la società borghese (sta in K. Marx e F. Engel, Socinenija (Opere), vol. II, 1955, pag. 145).
Secondo il marxismo, soltanto la proprietà collettiva dei mezzi di produzione avrebbe reso impossibile lo sfruttamento dell’uomo, assicurando una distribuzione uguale delle risorse economiche a tutti gli uomini; si tratta di una stratificazione verso il basso, una pretesa uguaglianza di tutti gli uomini ai livelli bassi della qualità della vita. Questa concezione provocò il fallimento del sistema economico socialista sconfitto dal sistema capitalista e questo solo perché non riuscì ad emergere nessuna alternativa ai due sistemi opposti ed entrambi sostenuti dai principi materialistici; il primo con il materialismo storico di estrazione marxista, il secondo, che prosegue e si afferma anche ai nostri giorni con l’edonismo materialista sostenuto dal neo liberismo pragmatico.
Nel primo periodo del comunismo,
immediatamente dopo la rivoluzione di ottobre, l’uguaglianza non era ancora perfetta, perché le ricompense e la distribuzione delle risorse venivano attuate secondo il lavoro di ciascuno. Solo qualche decennio dopo, la distribuzione delle risorse sarà determinata secondo la massima:
’..da ciascuno secondo le capacità, a ciascuno secondo i bisogni.’
(Programma del PCUS, 1.c., 3 novembre 1961, pag. 1)
La soluzione marxista non rappresentò una proposta inerente il valore morale del collettivismo, così come era esposto dall’etica marxista. Si trattò semplicemente di valutarne la realizzazione socio-economica e la consistenza morale nella coscienza e nella condotta degli uomini.
Negli anni precedenti la debacle dell’impero sovietico e dei principi socio-politico-culturali che lo sostenevano, si potè valutare come l’economia socialista abbia tentato nuovi esperimenti, ben lontani dagli schemi classici dell’etica marxista. Nell’ambito della morale, infatti, si ritrovò a dover
combattere contro l’egoismo e l’individualismo all’interno stesso del sistema che aveva generato; ciò sta a significare il fallimento di principio, perché non era riuscito ad educare in massa gli uomini-colletivistici, dei quali il sistema, ormai in aperta concorrenza economica con il capitalismo occidentale, aveva estremamente bisogno.
Il sistema socialista-marxista ha avuto un termine imposto dalla storia; il sistema marxista implose dal suo interno, senza alcun clamore; finì perché aveva fallito nelle premesse, nelle prospettive e nella pratica. Oggi sarebbe improponibile pensare ad una rinascita del programma marxista: la rivoluzione si è compiuta e in astronomia, quando una rivoluzione compie il suo ciclo a 360° significa che tutto è tornato come prima. Le repubbliche assorbite con la forza chiesero e ottennero di tornare nella loro identità nazionale e molte di esse sono entrate o entreranno presto nella Comunità europea.
Richiamare i temi e le ideologie di un tale storico
fallimento, come un pericolo imminente di un improbabile ritorno e farne un’ipotesi di programma politico di difesa, è quanto di più antistorico si possa immaginare. Può essere comprensibile che si sventoli il riaffacciarsi del pericolo comunista, suffragato dal fatto che in partiti dello schieramento alternativo militino uomini che comunisti sono stati, solo se chi lo fa non dispone di altro da proporre per promuovere uno sviluppo che tarda ad avviarsi.