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Il Dato politico delle regionali |
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Vendola: abbiamo vinto tutti L’emozione dopo la fatica, le lacrime anche davanti alle telecamere, la folla e la festa, lo spumante stappato sulla porta della Fabbrica in via de Rossi, assediata dai militanti. «Annichiliti», «D’Alema Boccia-to», «Solo? Provate a contarci!». Il sogno pugliese. E il sonno per riprendere subito il cammino. «Proxima estacion esperanza», cantava Manu Chao a Genova 2001. «Prossima stazione: vincere le secondarie. Le primarie ci sono servite a riscaldare i muscoli per le elezioni di marzo», dice Nichi Vendola in un nuovo video messaggio su Internet, mezzo ormai consueto per parlare ai militanti. All’indomani della vittoria, il governatore si gode la conquista: «Chi immaginava che potessero danzare delle ombre attorno alla mia persona ha dovuto accorgersi del fatto che queste ombre sono state esorcizzate da un grandissimo affetto popolare…». L’agenda di ieri prevede una lezione di cinema con Citto Maselli in mattinata, poi nel pomeriggio volo per Milano per registrare L’Infedele, la trasmissione di Gad Lerner, nonché Porta a Porta. Ciclone Nichi, hanno titolato in tanti sulla stampa. E intorno a lui, dopo le primarie, si chiarisce tutto il quadro politico delle alleanze per le regionali di marzo. Un tridente di candidature in Puglia. Per il Pdl Rocco Palese, capogruppo in consiglio regionale con meriti che lo stesso Vendola riconosce («Ha portato avanti un’opposizione da leone, ma rappresenta la vecchia politica, quella delle stanze chiuse…»). C’è il governatore uscente, sostenuto da Pd, Prc, Idv e altre sigle minori. E c’è la senatrice Adriana Poli Bortone, ex Msi, ex An oggi considerata finiana, ex sindaco di Lecce, leader del movimento autonomista "Io Sud". Sul suo nome è confluita l’Udc di Pier Ferdinando Casini, che ieri ha sciolto le riserve mettendo fine al balletto che contemplava possibilità di alleanze col Pd se le primarie le avesse vinte Boccia. Tridente, ma a ben vedere la partita vera sarà quella tra Vendola e la Poli Bortone. Se c’è un’ombra, va ad oscurare Palese, così la vedono qui in Puglia. Perché è chiaro che, in questo caso, il terzo candidato, ‘la terza donna’ per dirla stravolgendo un po’ Orson Wells, spacca a destra. Mentre il Pd si scanna (più a livello nazionale che locale, a dir la verità), dalle parti del governatore tirano un sospiro di sollievo. Certo, lo stesso Nichi aveva sottolineato più volte l’intenzione di «aprire al dialogo con i centristi», ma il no di Casini alla fine viene letto come «un assenso occulto». Della serie: non poteva appoggiare Vendola per non smentirsi e per un calcolo politico nazionale secondo cui alleandosi a sinistra l’Udc perderebbe voti; ha scelto la Poli Bortone, ovvero una corsa in solitaria, perché non poteva nemmeno sostenere Palese, uomo dell’ex governatore Fitto, insomma un berlusconiano del Pdl. E si sa quanto, in questa tornata elettorale, Casini stia attento a non stringere alleanze con il centrodestra laddove il candidato non sia un finiano, bensì un "uomo del Cavaliere". Insomma, i calcoli che hanno portato i centristi ad appoggiare la Polverini nel Lazio sembrerebbero validi - in senso contrario - anche in Puglia. «Era chiaro da tempo che Casini avrebbe scelto di correre da solo - osserva Nicola Fratoianni di Sinistra e libertà Puglia, mente delle primarie 2005, ora braccio destro di Nichi - Ed è diventato ancor più evidente quando il Pdl ha ufficializzato il nome di Palese a urne ancora aperte, ma con un risultato già eloquente…». Del resto, basta guardare i commenti del centrodestra pugliese per avere un’idea dei rancori verso Casini. «L’Udc rischia di agevolare Vendola…», ammette lo stesso Palese, pur sforzandosi: «Non ci spaventa il terzo candidato, il caso Poli Bortone è da manuale del trasformismo». E Casini da parte sua: «Con Palese il Pdl ha scelto l’autosufficienza». Nonostante il caos nel Pd, alla fine l’immagine più frammentata è a destra, visto che è lì che pescherà l’accoppiata Poli Bortone - Casini. Forte del 73 per cento dei consensi di quasi 200mila elettori (alle primarie 2005 votarono in circa 80mila, alle primarie per l’elezione del segretario regionale del Pd gli elettori furono quasi 130mila), Vendola dispensa dichiarazioni di pace agli alleati del Pd. «Nessuno deve sentirsi sconfitto, insieme dobbiamo lavorare per vincere a marzo… Che cosa dico a D’Alema? Che oggi siamo entrambi più forti». La mano è proprio tesa: «Nessun rancore. D’Alema ha avuto il merito di indicare la strada delle primarie, l’unica che ci consentisse di uscire dallo stallo». E lo stesso presidente di ItalianiEuropei non può che arrendersi, conscio che una sconfitta alle regionali segnerebbe ulteriormente la segreteria Bersani, già presa di mira dalle accuse della minoranza, nonché del centrodestra. «Hanno lavorato contro di me», dice di primo mattino, gli brucia di aver perso anche nel proprio feudo: Gallipoli, dove finisce 683 voti a 204 per Vendola. «Ora sosteniamo lealmente Vendola». E il governatore che pensa del terzo candidato? «C’è una spaccatura importante tra l’area di centro e la destra. Io corro in una partita particolarmente interessante…-. Angela Mauro -Nessuna subalternità al Pd né in Puglia né altrove- Segretario Paolo Ferrero, una volta tanto si può parlare di vittoria. Due partiti, Rifondazione comunista e Sinistra e Libertà, si sono schierati per un candidato, Nichi Vendola, che ha vinto. C’è chi vince e c’è chi perde. Ha perso il Pd, che pure è il partito più grande dell’opposizione al governo Berlusconi. Il problema è che il Pd vuole fare alleanze con l’Udc a tutti i costi, senza una bussola politico-programmatica, senza alcun principio tranne quello di conquistare il governo regionale. Così il Pd scarica Vendola perché Vendola non piace ai centristi, non va bene a Pierferdinando Casini. Non basta. Ovviamente sono state fatte pressioni anche su di noi affinchè scaricassimo Vendola. E se alla fine il Partito democratico ha accettato di fare le primarie è solo perché vi è stato costretto dalle circostanze. Però è andata a finire come è andata, cioè malissimo per il candidato sponsorizzato da un uomo forte del Pd come Massimo D’Alema. Il risultato di Francesco Boccia è contemporaneamente il rifiuto di una imposizione dall’alto e dell’ipotesi centrista ad essa sottesa. Un colpo all’ipotesi centrista e anche a chi ha portato avanti questa strategia d’azione, cioè il Pd, cioè D’Alema e anche Bersani. Indubbiamente. Non a caso il Pd litiga al suo interno. E non è detto che chi ce l’aveva con D’Alema abbia approfittato dell’occasione delle primarie per togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Il dato politico è un altro: noi abbiamo convintamente sostenuto Nichi perché era il candidato più di sinistra. Se non ricordiamo male, sei mesi fa, Rifondazione comunista ha abbandonato la giunta Vendola... No. E’ Vendola che ha fatto fuori Rifondazione dalla giunta regionale. Ma noi badiamo alla politica e non siamo rancorosi… In Puglia la sinistra vince ed è unita. In altre regioni d’Italia le cose non vanno così, la taranta non c’è, si ascoltano altre musiche. Il candidato Filippo Penati - coordinatore della segreteria di Beresani - ha posto il veto ad un’alleanza ampia contro il governatore uscente Roberto Formigoni. Già la missione è quasi impossibile, se poi si scaricano le forze di sinistra diventa disperata. Ma che fa il Pd? E anche SeL sembra accettare questo stato di cose. Nel resto d’Italia le cose non vanno come in Puglia, la Lombardia ne è un esempio. Sinistra e Libertà sostiene Penati nonostante le sue posizioni in favore delle ronde, la sua crociata anti-immigrati, l’eterna corsa con il Pdl a chi è più a favore delle grandi opere. Penati ha posto una discriminante anti sinistra radicale, un veto anti comunista e Sinistra e Libertà in Lombardia l’ha accettata. A separare Puglia e Lombardia ci sono mille chilometri, ma le distanze politiche sono ancora più grandi, sembrano siderali... In Puglia Vendola è stato politicamente emarginato dal Pd in quanto troppo di sinistra. Se sul Tavoliere ha accettato la sfida, perché in Lombardia ha scelto di sostenere Penati e sottostare ai diktat dell’Udc? Le due cose non stanno insieme, una esclude l’altra. Il Pd di Bersani e D’Alema sogna un’alleanza stabile con Casini, il popolo chiede tutt’altro. C’è uno scollamento - come si sarebbe detto una volta - tra i vertici e la base del gran partito democratico? Il popolo che in Puglia è andato a votare alla primarie chiedeva più sinistra. Non è facile spiegare perché nelle altre regioni non si sia cercato di dare risposte a questa richiesta. Pensa solo al Piemonte dove siamo rimasti soli anche ad opporci all’Alta Velocità. A Venezia la sinistra si è presentata unita a sostegno di Gianfranco Bettin, le primarie le ha perse ma di misura, mostrandosi viva. Anche questo dovrebbe essere un segnale politico ben preciso. Bettin, sostenuto da tutta la sinistra, ha ottenuto il 35% delle preferenze. C’è voglia di alternativa, di sinistra. Non dimentichiamo la marcia dei 40mila no Tav in val di Susa, sabato scorso. Un popolo che chiede tutt’altro rispetto alle ingegnerie politiche di Pd e Udc. Come ha fatto un politico esperto, scaltro come Massimo D’Alema a fare un passo falso di tale misura? Boccia non ha perso sul filo di lana, ha perso nettamente, Vendola ha ottenuto un plebiscito. D’Alema è un politico molto articolato, ma di un politicismo esasperato. Non mi pare molto in sintonia con la società. Insistiamo: come ha fatto D’Alema a sbagliare così tanto? Dalla bicamerale in poi, a ben guardare, non mi sembra che D’Alema abbia avuto grandi trovate ed incassato grandi vittorie. E ora che succederà nell’articolata (e litigiosa) sinistra italiana? Abbiamo fatto la proposta di un polo alternativo in Puglia, in Lombardia, nel Lazio e in altre regioni. Del resto i temi al centro della nostra agenda politica sono gli stessi che Vendola ha portato all’attenzione dei cittadini in campagna elettorale: la precarietà, la sanità e l’acqua pubblica, i diritti dei migranti, le energie rinnovabili, la difesa dell’ambiente. Però in Lombardia... La Lombardia ci dirà del profilo politico di SeL e della loro scelta o meno di lavorare per costruire un polo politico della sinistra non subalterno al Pd. Frida Nacinovich Piddì,rinviata a dopo il voto Una giornata difficilissima per il piddì. E anche - va detto - difficilissima per i cronisti che devono raccontarla. Perché ci sono occasioni in cui non si trovano definizioni adeguate. E la giornata dove il piddì ha riunito la sua direzione, poche ore dopo la clamorosa batosta subita in Puglia, è proprio una di quelle occasioni. Perché il «vertice» dei democratici s’è concluso con qualcosa che è molto meno di una tregua e con la decisione di rinviare lo scontro di due mesi. A dopo le regionali. Un atteggiamento difficile da definire anche perché dopo 5 ore di discussione, il "patto" è sembrata già sul punto di incrinarsi. Coi big che hanno lasciato il Nazareno senza dire una parola e con le seconde fila, però, scatenate. Una componente contro l’altra armata. Situazione tesissima, insomma. E allora per raccontarla, più che le parole, servirebbero le immagini. Il volto di D’Alema, per esempio. Il primo ad andarsene dopo la relazione di Bersani. Scuro come nessuno lo aveva mai visto, accompagnato da una piccola scorta che annunciava un «comunicato ufficiale». Con su scritte le valutazioni dell’ormai nuovo presidente Copasir. Lì, si dice che la «linea» era giusta, che ora occorre sostenere Vendola e infine si ammette qualche «errore». Quale, non c’è scritto. Se si ha la pazienza di aspettare, però - 5 ore, col servizio d’ordine che tiene rigorosamente i giornalisti in strada, sotto la pioggia per garantire la «riservatezza» della riunione -, se si ha la voglia di aspettare, si diceva, magari si può incontrare il senatore fedelissimo di D’Alema che spiega quella frase: l’errore dell’ex Ministro, insomma, sarebbe stato solo quello di candidare Emiliano. Lacerando ulteriormente il piddì e costringendo ad esporsi un dirigente che non aveva alcuna voglia di candidarsi contro Vendola. Tutto qui. Per il resto, anche D’Alema è convinto che la «linea» - quella di privilegiare l’asse con Casini - era ed è la linea «giusta». Ed esattamente come accadeva all’epoca del Pci, quando i suoi dirigenti erano costretti a spiegare le ragioni di qualche rovescio, anche per D’Alema i problemi sono arrivati dagli elettori, che non hanno compreso bene il senso e l’importanza di «quella linea». Al massimo il piddì può rimproverarsi di non «averla spiegata bene». Dunque, c’è l’immagine di D’Alema, il cui volto racconta la rabbia di chi sa che da qui a due mesi finirà sulla graticola. E poi ci sono altre immagini. Come le facce dei giornalisti che restano esterrefatti davanti alle dichiarazioni di Penati, il candidato pd in Lombardia. Davanti ad una selva di microfoni dice così: «La Puglia è stata una grande vittoria. Perché poco fa Casini ha fatto sapere che lì correrà da solo, non si allea con la destra. Segno che la nostra intuizione sull’allargamento delle alleanze era giusta...». Infine - per capire cosa stia accadendo davvero in casa dei democratici - si dovrebbero guardare i filmati della conferenza stampa di Bersani, nel tardo pomeriggio. Anzi, i filmati del breafing, come l’hanno chiamato. Perché il segretario ha fatto una lunga dichiarazione, mettendoci dentro un po’ di tutto: dalla crisi economica a Brunetta, e poi se n’è andato. All’incontro erano vietate le domande. Così, per chi deve raccontare quella riunione, non resta che affidarsi ai retroscena, alle ricostruzioni. Tutte concordano sul fatto che i «potenti» del piddì, attraverso una rapidissima consultazione - che ha escluso Veltroni, però, che infatti ieri non è arrivato al Nazareno - hanno deciso di sospendere il dibattito. Di «mettere la polvere sotto il tappeto». Fino alle regionali. Una «tregua armata», diciamo così, subito colta al volo da Bersani per sostenere che sì, certo, in Puglia è andata male ma che comunque la linea non si cambia. Anche lui - certo, non con i toni da pasdaran di Penati - ha detto che comunque la scelta dell’Udc di correre da sola in Puglia legittima la bontà della scelta di allargare l’alleanza. E la minoranza? A parte il solito Parisi («D’Alema doveva spiegare qui le ragioni del suo comportamento»), a parte una Livia Turco che prendendo spunto da Bologna ha chiesto più rigore nelle scelte dei candidati, i franceschiniani l’hanno buttata sulla democrazia interna: «Dove e chi decide dove si fanno le primarie?». Solo Marino avrebbe posto il problema vero delle alleanze: «Diciamo che siamo contro il nucleare e contro la privatizzazione dell’acqua. Su questo chiediamo a Casini di esprimersi e poi vediamo...». Ieri comunque, non s’è votato. Nessuno l’ha chiesto. Se ne riparlerà dopo le regionali di marzo. Con due scenari possibili, a quel punto: il primo è che la minoranza esca dagli organismi dirigenti, abbandoni, insomma, la «gestione unitaria» del partito. Il secondo è ancora più difficile per Bersani: se Rosi Bindi e il gruppo dei suoi abbandonasse il segretario, Bersani non avrebbe più la maggioranza. E la Bindi ieri la descrivono come arrabbiatissima per le imposizioni dalemiane in Puglia. Si vedrà. Stefano Bocconetti Casini -Balla- da solo Ed ora che succede? Saltata la politica "dei due forni" per ammissione dello stesso Casini «si ricomincia da tre». Dove e come è presto e difficile a dirlo. Anche perché la vittoria di Nichi Vendola in Puglia ha mandato in frantumi non solo il tandem D’Alema-Bersani ma soprattutto le già malconcie alleanze che i leader Pd volevano stringere con gli ex centristi in altre regioni. Ad aprirsi è un rebus. Se per il Pd si apre una difficilissima campagna elettorale, Casini non sta certamente meglio. In Puglia ha già annunciato il suo "terzo" candidato, anzi candidata: Adriana Poli Bortone, leader di «Io Sud», ex popolarissima sindaco di Lecce, uno dei nomi che lo stesso centrodestra pugliese avrebbe potuto mettere in campo, ma che il Pdl ha preferito accantonare per far cadere la scelta, con un asettico comunicato, sull’ex assessore al Bilancio Rocco Palese. Un’altra soluzione dunque. La terza appunto. Che non vuol certamente dire appoggio al centrosinistra. Ma che, a guardar bene, potrebbe portare acqua proprio al mulino di Vendola. E, soprattutto, promette di togliere voti al Pdl. Il fatto è che le cose si complicano per il resto d’Italia. Quell’alleanza ormai quasi cosa fatta per quattro regioni (Piemonte, Basilicata, Marche e Liguria) ora comincia a non reggere più. In Liguria, per esempio, il patto con i centristi «certo» ha cominciato a vacillare dopo che il governatore ricandidato Burlando ha promesso di riconfermare un assessore del Pdci, mandando su tutte le furie Pier Ferdinando: «Mi aveva promesso che non ci sarebbero stati comunisti in giunta, ora mi può fare questo brutto scherzo» ha subito dichiarato in un comunicato alla stampa. Così, ancora, è in Umbria dove continua la faida: la minoranza franceschiniana, che continua a sostenere di non aver ancora un suo candidato, vuole a tutti i costi l’ex tesoriere di Veltroni, Mauro Agostini, e oppone a tutti un indiscusso "niet" alla ricandidatura della governatrice dalemiana Rita Lorenzetti o della sua pupilla Katiuscia Marini. In Calabria, invece, l’intesa con l’Udc è saltata. Di traverso si è messo il governatore uscente Agazio Loiero e Casini si è messo d’accordo col Pdl. In Campania le cose non cambiano: l’Udc qui ha stretto accordi con Berlusconi, e il Pd tenterà di candidare il giovane segretario regionale Amendola, l’unico - si dice - che «può evitare la guerra civile tra Bassolino e De Luca». Per non parlare del Lazio dove, contro "Emmatar", Casini si è sin da subito schierato con Polverini con la quale, ha ammesso, si è trovata una sintonia su alcuni temi e un «riconoscimento reciproco di valori». Che, poi, Polverini venga acclamata con i saluti romani, in fondo, poco importa. A quanto pare, dunque, solo a Venezia, per ammissione dello stesso Cacciari, il rapporto tra Giorgio Orsoni e l’Udc regge, anzi, come conferma il sindaco uscente «sarà assolutamente organico». Dalle ultime primarie, passate un po’ in sordina dopo la clamorosa vittoria di Vendola in Puglia, si è assistito ad una vera e propria vittoria di misura tra il centrista lanciato da Cacciari, Orsoni appunto, veneziano doc, avvocato e docente a Ca’ Foscari e Gianfranco Bettin, tra i fondatori dei Verdi nonché giornalista e saggista che è comunque riuscito a conquistare ben il 35,2% dei consensi sul suo rivale (arrivato a quota 45,8%, ndr). E sarà proprio Orsoni a doversela vedere con Brunetta, già dato per perdente dagli ultimissimi sondaggi. Ma sull’alleanza con gli ex scudocrociati Cacciari è pronto comunque a mettere la mano sul fuoco: «I centristi in Laguna non si schiereranno con Brunetta. Tra le altre cose - afferma - lo impedisce l’ostilità della Lega». Sarà, ma il dado non è ancora tratto. E, al momento, anche la politica dei tre forni rischia di "bruciare" altre candidature. CM |
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