Sane contraddizioni musicali
 







Valerio Venturi




Siamo proprio sicuri che «allo sceriffo non piace che si suoni il rock nella Casbah»? Quando Joe Strummer cantava l’indimenticabile Rock in The Casbah con i suoi The Clash, fotografava una realtà vivissima: la musica del demonio, infangata da messaggi satanici più o meno subliminali, ai giovani mediorientali piace un sacco.
E pazienza se allo sceriffo barbuto, integralista islamico o cristiano o ebreo, la cosa non piace. «La musica boogie che faceva degenerare il fedele», magari bandita, risuona anche dove non deve. Sempre dal brano dei Clash: «I Beduini hanno tirato fuori la batteria elettrica-cammello, il chitarrista locale ha il pollice da chitarrista (…) Sopra quel tempio hanno proprio fatto il pienone. La folla ha detto che è figo scavare questa cosa incantevole. (…) La folla si fa uno sniffo di questo pazzo ritmo Casbah».
Il teorema dei Clash è ora confermato da Mark LeVine, che pubblica il testo Rock the Casbah per isbn edizioni -
quelli "cool" che mettono il codice a barre in copertina. Nelle 256 pagine del suo lavoro (19 euro) c’è di tutto; si parla dei diciottenni marocchini che adorano i Black Sabbath, degli ascoltatissimi rapper della striscia di Gaza, dei libanesi che citano Bob Marley e canneggiano, di giovani arrrabbiati appassionati di musica proibita: heavy metal, reggae, punk, hip-hop... Generi che nella società islamica sono spesso considerati immorali, a volte illegali.
Ma non era così anche da noi? Non lo è ancora un po’ adesso, considerando che l’ormai mansueto Marilyn Manson ha funzionato da Bau Bau pervertitore per anni e anni e che al Festival trionfano ancora rassicuranti buoni sentimenti? Una cosa è certa; l’amore per la musica irrequieta è segno di irrequietezza e presenta possibilità di cambiamento politiche: basti pensare al significato che ha assunto il concertone di Woodstock per i giovani degli anni della contestazione.
Benvenuta allora l’originale inchiesta di LeVine: ricca di
interviste a musicisti e fan, è un viaggio che indaga i frutti e le contraddizioni dell’incontro tra influenze occidentali e cultura mediorientale. Rock the Casbah è la cronaca della battaglia epica tra libertà e tradizione, tra religione e desiderio di cambiamento; del fermento anche così manifestato che pervade quella parte di mondo in cui tutto è politica e movimento.
Chitarrista e studioso dell’Islam, LeVine conosce ciò che scrive. Dopo aver girato il mondo con artisti del calibro di Mick Jagger, Chuck D, Michael Franti, si è dedicato all’insegnamento; ora è professore di Storia mediorientale alla University of California, Irvine, e sorprende i suoi studenti con racconti imprevedibili e non stereotipati su un mondo lontano-vicino.
Il vizietto di soprendere con oggetti pop-giovanili ce l’hanno anche alla Isbn: i recidivi già avevano pubblicato dvd sui Clash e i Sex Pistols, nonché Heavy Metal a Bagdad , documentario prodotto da Spike Jonze e Vice che racconta la storia
dell’unica band heavy metal irachena, gli Acrassicauda (nome latino per "scorpione nero"). Ma se Paganini ripete non è mica male.
Leggere Rock the Casbah , in attesa del mieloso pop del Festival di Sanremo, rappresenta una buona occasione per inquinarsi l’anima: LeVine invita a ricercare le note e le parole dei rocker mediorientali; invita a riassaggiare qualcosa di quello spirito adolescenziale - sano e sacrosanto - che lodeaddìo pervade i giovani e che fa anche un po’ di bene a tutti.