SILVIO SOLDINI, IL SENTIMENTO DEL CONTRARIO
 







di Antonio NAPOLITANO




Silvio soldini

Tra i registi italiani appena cinquantenni ma già solidamente affermati è da includere oggi, senza più dubbi, il regista Silvio Soldini.
Nato a Milano nel 1958, a vent’anni va a New York a studiare cinema in quella università e vi realizza "Drimage" (1981) un intrigante collage di inquadrature tra l’onirico e l’astratto.
Tornato in Italia decide di lavorare lontano da Cinecittà, come ad evitare il rischio di facili "blockbuster" e cinepanettoni che sente estranei al suo temperamento minimalista e alla sua cultura.
Gira, infatti, in Lombardia "Paesaggio con figure" (1983) mirando a comporre sequenze particolari quasi con l’intenzione di sperimentare ancora gli strumenti del suo mestiere.
Di ben diverso impegno sarà invece "Giulia in ottobre" (1985) nel quale Soldini pedina con premura il vagabondaggio di una ragazza delusa in amore.
Riesce così a cogliere i vari stati d’animo nella "ricerca di un nuovo peso da dare ai gesti alle
pause, ai silenzi..." come lui stesso dichiarerà in una intervista dello stesso anno.
Gli è stato d’ausilio notevole l’operatore L.Bigazzi abilissimo nel ritrare i grigi scorci dell’ambiente metropolitano che diventano "i correlativi oggettivi" della crisi sentimentale descritta dal cineasta.
L’anno seguente, Soldini si associa al gruppo "Indigena" interessandosi ad alcuni casi di disagio psichico giovanile.
I risultati non mancheranno sia in "Voci celate" (1985) girato all’interno di un day hospital sia nell’episodio "Antonio e Cleo" (1988) che prospetta un rapporto umano di estrema problematicità.
Due anni dopo ne "L’aria serena dell’Ovest" il regista narrerà le variegate circostanze che coinvolgono casualmente un certo numero di persone. Tra loro  spicca la figura di una giovane infermiera appassionata al suo lavoro.
L’opera si impone all’attenzione della critica e del pubblico e ottiene un meritato riconoscimento a St.Vincent.
Nel 1991, un documentario
per la TV ("Musiche bruciano") e un corto: "Femmine, fobie e polvere d’archivio" appaiono lavori ispirati ad una fantasia sbrigliata ma non avara di godibili gag (controcanto non immotivato alle tristezze quotidiane).
Nel 1993, con "Un’anima divisa in due" il cineasta milanese annota le difficoltà dell’amalgama tra etnie diverse (una "rom" e un "meneghino"). Il tono generale è quello della malinconia più che del dramma. Ottima risulta la performance di F.Bentivoglio che sarà, infatti, premiato a Venezia con la "coppa per il miglior attore".
Nelle 1994, Soldini accetta di girare un breve episodio inserito in "Miracoli" (con pezzi di Mario Martone  e di P.Rosa).
Il suo breve film "D’estate", col senno del poi, può oggi vedersi comme il nucleo germinale di "Agata e la tempesta" che verrà realizzato dieci anni dopo. Vi sono illustrate rapidamente strane coincidenze e bizzarrie quotidiane di personaggi non troppo definiti.
Intanto il regista ha ripreso, sia pure a
sbalzi, una sua attività documentaristica certamente non di mero "riempimento" del tempo libero.
Un ritorno al cinema narrativo, in stile minimalista, sarà "Le acrobate" (1997) con precisi ritratti di due ben distinte personalità femminili (la Golino e la Maglietta).
Le loro vicende, destinate a convergere, vengono tratteggiate con delicatezza, premendo su tasti dalle vellutate vibrazioni.
E’ un cinema di pregio ma purtroppo non pubblicizzato pur collocandosi su piani alti della creatività, quella che rifugge dai clamori della cronaca e dei rimbombi in TV.
"Rom Tour" nel 1999 rappresenterà poi la ripresa dell’attività documentaria: in esso Soldini usa come singolare guida lo scrittore A.Tabucchi per fare il giro dei campi nomadi disseminati nei dintorni di Firenze. Emerge, di tanto in tanto, qualche teorema ideologico che è un modo di astrarsi dalla realtà quotidiana di chi, invece, deve convivere ora dopo ora con certe situazioni difficili presenti nella società di
oggi.
Una decisa e simpatica svolta si avrà per l’anno seguente con "Pane e tulipani" (2000).
Si tratta di una vicenda costruita con vivace umorismo quella della casalinga Rosalba (Lucia Maglietta) lasciata in strada dal pullman che riporta i gitanti alle loro case nel Nord.
L’incidente si rivela l’occasione per la donna di ritrovare qualche giorno di piena libertà in una simpatica Venezia minore. L’incontro con il padrone di una trattoria (B.Ganz) in preda anche lui ad umorali disagi le farà dimenticare il grigio tran-tran della vita familiare.
Tra pathos e brio, tra gag originali e bagarre d’uso ordinario la commedia cela alcune cifre del nostro tempo, compresa quella di un femminismo istintuale non alieno dalla gioa di vivere.
Invece, un ritorno a temi drammatici è costituito nel 2002 da "Brucio nel vento".
Si tratta della storia di un giovanissimo fuggiasco convintosi erroneamente d’aver ucciso il proprio padre, che va a cercare lavoro in Svizzera e ad
affrontare altre amare vicissitudini.
Il personaggio centrale viene reso con forza persuasiva dallo sconosciuto attore ("preso della strada?") ma la trama presenta alcuni sbalzi che, comunque, non inficiano l’assunto dell’incisivo racconto.
Nel 2004, Soldini arriva a bissare felicemente lo splendide exploit di "Pane e tulipani" con "Agata e la tempesta".
E’ una vicenda ai limiti del surreale centrata com’è sulla libraia Agata ( la Maglietta) che vive ignara di possedere una pirotecnica carica di energia magnetica.
E’ questa che provoca corti circuiti nelle lampade di casa e perfino nei semafori stradali. La donna inconsapevole del fenomeno, ne è comunque la causa, appena colta da qualche eccitazione emotiva.
Nel 2007, Soldini ritorna ad un tema che sfiora l’impegno sociale con "Giorni e nuvole".
Sceglie bene i due protagonisti: in M.Buy  e A.Albanese.
Lui è un manager disoccupato e lei è la moglie che stenta ad accettare una vita ben più modesta e
difficoltosa.
Il ribaltamento della condizione sociale è descritto con evidente misura anche se tra le pieghe del racconto serpeggia una vena di borghese disperazione.
Patetica risulta la figura del vecchio padre di lui malato di Alzheimer.
Il pregio del dramma sta nel suo equilibrio, senza note al di sopra dei righi.
Un lavoro, quindi, di sagace realismo temperato qua e là da scatti di sottile humour.
I soggetti  sono svelati da Soldini quasi sempre con fraseggi leggeri da compositore in vena.
C’è in essi quello che Pirandello ha chiamato "il sentimento del contrario", quello humour  amaro che nasce dal disaccordo tra gli ideali e la realtà, tra le aspirazionie e le  delusioni.
Ed è esso che riesce a riconciliarci con il disagio, e con la deprimente banalità del vissuto. Poichè esso scova qualcosa di positivo perfino sotto i nei e i difetti.
E’ esso che riesce a cancellare ogni traccia di maligna parodia o di torva comicità caricaturale.

In tal senso Soldini fornisce antidoti a quella slabbrata satira con la quale il piccolo schermo bombarda il suo pubblico serale.
Quel sarcasmo che mette in ridicolo l’avversario, e che ingenera un riso fatto di arroganza o malevolenza che è  la quintessenza del razzismo.