Il nuovo modello economico
 







Fabio Sebastiani




Guardare in faccia la bestia, entrare nella questione del "cosa, come e quanto produrre". Se è vero che la crisi attuale ha un carattere epocale, altrettanto epocale la ricerca del "che fare". Una risposta che non è "nel cambiare tutto per non cambiare niente" come stanno facendo mediamente i governi di mezzo mondo, né sta in un astratto "universo delle compatibilità". ma La soluzione possibile deve ormai riguardare la sinistra e la sua progettualità. Ed è modernità mettere al centro la "green economy", «perché è lì che ci sarà il centro dello scontro all’interno del capitalismo», come sostengono sia Joseph Halevi che Pietro Garibaldo, per esempio. Così come è modernità pensare a una riqualificazione dell’intervento pubblico verso i servizi sociali, la formazione, l’innovazione e il sostegno al reddito.
Nel seminario che ieri la Federazione della sinistra ha promosso chiamando a raccolta un bel gruppo di economisti, sindacalisti e sociologi, più
che ricchezza di analisi c’è stato uno sforzo deciso verso la ricerca delle soluzioni. "Crisi e politica economica. Le sfide della sinistra", il titolo.
E’ da un po’ che la sinistra di alternativa va elaborando approfondimenti e confronti sulla natura della crisi economica. E dopo tanto parlarsi a poco a poco si sta arrivando alle proposte di merito, con un coinvolgimento diretto del livello politico. Le cause della crisi sono strutturali, ma le soluzioni vanno cercate «voltando pagina», come dice Agostino Megale. Poco spazio per i "riformismi" irriformabili, gli "avanti piano" o per tutto quello strumentario che alla fine recapita al "pagatore di ultima istanza", ovvero ai lavoratori e alle lavoratrici, il peso del risanamento. Basta vedere lo stato della pressione fiscale, che nelle parole di Gian Paolo Patta più che una riforma diventa una rivoluzione, considerando che alle buste paga viene spillato oltre il 70% del loro valore. Un punto del ragionamento. oltre alla latitanza
dell’innovazione (Roberto Romano) è quindi lo Stato, anche se in un orizzonte europeo. Un altro è sicuramente quello del salario e, più generalmente dei redditi.
Riccardo Bellofiore cerca di spiegare in tutti i modi che forse non conviene continuare a battere troppo su quel tasto se si vuole davvero traguardare un reale "voltar pagina". Il pensiero liberista, è questa la tesi del professore di Bergamo, ha già provveduto lanciando l’idea dell’arricchimento attraverso la speculazione finanziaria. Questo non vuol dire annullare il lavoro, per dirla con Alfonso Gianni, «come capacità di trasformazione». Pensare alla semplice ripresa della domanda come fulcro della ripartenza economica, poi, non può bastare. Nemmeno nella versione dell’aggancio alla produttività, come sottolinea Agostino Megale, della segreteria nazionale della Cgil. Produttività non è più sinonimo, in questa crisi, di un aumento della ricchezza. Anche perché tra le uscite della crisi quella dell’aumento globale
dell’esportazione non può essere praticabile. Se il problema è il modello, e quindi un cambio di paradigma, tenendo conto delle risorse limitate del pianeta, come mette in evidenza Carla Ravaioli, occorre pensare a una produttività generale che non può che nascere da un ripensamento del ruolo dei fattori complessivi e dalla modalità in cui interagiscono. Ed ecco comparire la socializzazione degli investimenti e l’obiettivo della piena occupazione, per esempio, su cui Francesco Garibaldo è pronto a mettere la firma e Marco Causi, economista del Pd concorda pienamente.
Per Carla Ravaioli, la crisi ecologica planetaria è una contraddizione di fondo con il sistema capitalistico. «La terra è una quantità data e quindi non è in grado di alimentare la crescita esponenziale dell’economia», dice. E quindi parlare di "economia verde" come via d’uscita è una contraddizione in termini. Sarà in grado qualsiasi nuovo modello economico di spingersi fino a quel punto? Anche perché per limitare il
consumo delle risorse ci vorrà comunque «altra industria», come sottolinea Alfonso Gianni.
Per fortuna non c’è solo la manifattura. L’orizzonte nuovo è quello dell’"economia della relazione", ovvero dei servizi, che va crescendo con tassi annui di tutto rispetto, come sottolinea Anna Maria Simonazzi.
Lo tsunami economico, almeno sul piano delle proposte, non può che riguardare anche l’Europa. Se ne parla poco, ma se è vero che da una parte anche l’Ue è tra quei soggetti "troppo grandi per fallire", dall’altra senza una riqualificazione della mission e degli strumenti, primo tra tutti la democrazia, è difficile traguardare un futuro credibile. Forse non sarà possibile un governo mondiale, che evoca comunque regimi totalitari, come sottolinea Alfonso Gianni, ma ormai il punto su una moneta di conto planetaria non è più rinviabile. Del resto, non si può ignorare che tra le cause, e i possibili sbocchi, c’è una transizione di "centro gravitazionale", dagli Usa alla Cina,
dall’occidente all’Asia.
E’ all’orizzonte dell’Europa, comunque, che guarda nelle conclusioni il segretario del Prc Paolo Ferrero, che rimette al centro l’intervento pubblico europeo (sostenuto con forza a livello teorico da Felice Roberto Pizzuti) su fisco e welfare, per una socializzazione di banche e investimenti, e per una piena occupazione che non può che nascere dalla riduzione dell’orario di lavoro. «Il problema non è la decrescita - dice Ferrero - ma la sottrazione di territori sempre più ampi alla mercificazione del capitale».