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Il riciclaggio corre sul filo di Telecom e Fastweb |
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Checchino Antonini
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Una delle frodi più colossali della storia. Gli ingredienti sono i soliti: una ’ndrina (quella degli Arena), alcuni finanzieri (ad esempio Silvio Scaglia, l’ex "mago di Omnitel che fonderà Fastweb, e che dall’estero si dice estraneo), alcuni ufficiali di polizia giudiziaria, grandi loghi del capitalismo (Fastweb, Telecom e la sua consociata Sparkle), vecchi arnesi della destra eversiva collegati alla Banda della Magliana (Mokbel) e un politico spedito a Palazzo Madama con un’altra truffa collegata alla principale, il senatore pidiellino Di Girolamo. Ma il giro di soldi, due miliardi di euro riciclati, è così grande da non avere paragoni. E, secondo gli inquirenti, sarebbe solo la punta dell’iceberg. L’hanno chiamata Operazione Phunchard Broker ed è durata almeno quattro anni e sfociata nei 56 arresti ordinati ieri dal gip di Roma per conto della Dda ma eseguiti anche negli Usa, in Lussemburgo, in Inghilterra. Ricostruite le mosse degli "spalloni" e tutti i movimenti finanziari di società specialiste nel creare scatole vuote tra Lazio, Puglia, Umbria, Lombardia e Calabria. Ma l’organizzazione si muoveva pure nel Delaware, faceva riunioni in Costa Azzurra, aveva rami in Svizzera, Lussemburgo, Regno Unito, Romania, Dubai, Singapore e Hong Kong. Tutti luoghi dove sono avvenuti sequestri di 246 immobili (48 milioni di euro), 133 autovetture e cinque imbarcazioni (3 milioni e 700 mila), 743 rapporti finanziari; 58 quote societarie (1 milione e 944 mila euro), due gioiellerie. 15 milioni di beni sequestrati all’estero più 340 milioni di crediti nei confronti di Sparkle (che gestisce le tratte internazionali Telecom) e Fastweb che crolla in borsa (-4%). Per entrambe la procura ha chiesto il commissariamento. Ma le modalità operative di Sparkle «pongono con solare evidenza il problema delle responsabilità degli amministratori e dirigenti della società capogruppo, ossia Telecom Italia Spa». L’accusa è quella di associazione per delinquere finalizzata al riciclaggio ed al reimpiego di ingentissimi capitali illecitamente acquisiti attraverso un articolato sistema di frodi fiscali. L’organizzazione criminale riciclava centinaia di milioni di euro tramite una rete di società di comodo italiane, off-shore, di Panama, Finlandia ecc. per una serie di operazioni fittizie di compra-vendita di servizi di interconnessione telefonica internazionale. Tra gli indagati anche alti funzionari e amministratori di Fastweb e Sparkle che «non potevano non sapere» della «stabile struttura criminosa che, quanto meno sotto il profilo economico e contabile è arrivata sostanzialmente ad immedesimarsi con l’essenza stessa delle due società». Ai "colletti bianchi" si contesta di non avere adottato le necessarie cautele per evitare che le società fittizie lucrassero crediti d’imposta per operazioni inesistenti relativi all’acquisto di servizi telefonici per grossi importi per la commercializzazione di schede prepagate che, tramite un codice, avrebbero dovuto consentire l’accesso a un sito internet di contenuti tutelati dal diritto di autore e in realtà inesistent e di contenuti per adulti da realizzare attraverso traffico telematico rivelatosi, anche in questo caso, inesistente. L’Iva lucrata (365 milioni di euro) veniva incassata su conti esteri e poi i soldi venivano reinvestiti in beni come appartamenti, gioielli e automobili. Già nel giugno del 2007 i carabinieri, coperti dai colleghi inglesi, avevano sequestrato più di due milioni in tre cassette di sicurezza a Londra. C’è anche un maggiore della Finanza, Luca Berriola, tra i destinatari dei mandati di arresto: avrebbe contattato l’imprenditore campano Vito Tommasino, titolare della Axe techonology per agevolare con fatture false il rientro dall’estero di un milione e mezzo di euro dell’organizzazione. Imprenditore e finanziere avrebbero dovuto guadagnare il 2,5% del recuperato. L’organizzazione è giudicata dal gip «tra le più pericolose mai individuate» per l’inusitata disponibilità diretta di enormi capitali, di strutture societarie apparentemente lecite e per l’eccezionale capacità intimidatoria tipica delle mafie. Le attività erano «talmente macroscopiche» che serviva per mantenerle «il sistematico ostacolo alla giustizia». Per questo tra i soci gli ufficiali di Pg servivano a impedire o intralciare le indagini. L’elezione di Di Girolamo sarebbe stato il salto di qualità. Emissari calabresi spediti in Germania, soprattutto a Stoccarda, avrebbero messo le mani sulle schede bianche votate dagli italiani all’estero e le avrebbero riempite con il nome di Nicola Di Girolamo su ordine dell’imprenditore romano Gennaro Mokbel. Ordinanza di custodia cautelare anche per il senatore, dunque, per violazione della legge elettorale «con l’aggravante mafiosa». Nel giugno 2008 il gip di Roma aveva già chiesto i domiciliari per Di Girolamo ma il Senato ha negato l’autorizzazione. In base alle accuse l’elezione di Di Girolamo doveva servire all’organizzazione criminale per spostarsi, senza problemi, nell’ambito delle attività transnazionali di riciclaggio. Le indagini hanno documentato alcune riunioni, a Isola di Capo Rizzuto, tra alcuni degli indagati, Mokbel, Di Girolamo ed esponenti della cosca Arena (Fabrizio Arena e Franco Pugliese che avrebbe diretto la "campagna" elettorale nel distretto di Stoccarda. |
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