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Per cosa e per chi stiamo combattendo in Afghanistan? |
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Fabio Alberti
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Il 29 gennaio 2010 di fronte ad un’attenta platea di Senatori francesi membri della Commissione Affari Esteri, l’ex capo della Dgse (Direction Generale de la Sécurité Extérieure) Alain Chouet, ha affermato in tutta tranquillità che Al Qaeda, intesa come organizzazione, non esiste più sul piano operativo fin dal 2002. Ovviamente, aggiunge, questo non significa che non esistano organizzazioni terroristiche di matrice islamica in altri luoghi del mondo, ma che combattere questo fenomeno non dipende dalla guerra in corso in Afghanistan, che anzi ne alimenta il reclutamento. Ma se Al Qaeda non esiste più chi stiamo combattendo in Afghanistan? Per quale guerra il Parlamento ha stanziato, il 23 febbraio scorso, con voto bypartisan, altri 308 milioni di euro, portando il totale della spesa per la guerra a 2.263 milioni, con una continua crescita del costo mensile che dai 5,8 milioni/mese del 2002 è arrivata sino agli attuali 51 milioni? Quale progetto politico-militare Bersani e Di Pietro continuano ad appoggiare? In effetti, al di là della propaganda, è ormai molto tempo che, dichiaratamente, la guerra non si combatte contro Al Qaeda, ma contro i Taliban, gli "studenti" formatisi nelle scuole coraniche sorte al confine con il Pakistan, con fondi sauditi, come fucina di combattenti contro l’invasione russa, e che tanto hanno contribuito alla diffusione del wahabismo e del fondamentalismo religioso islamico in tutto il mondo. I Taliban, legati alla etnia Pashtun, maggioritaria nel paese, presero il potere nel 1996, con l’appoggio degli Stati Uniti e con un certo favore della popolazione stanca dello scontro tra signori della guerra scoppiato all’indomani della ritirata sovietica. Erano i tempi in cui l’Unocal, multinazionale statunitense con legami sia con la famiglia Karzai che con l’amministrazione Bush, trattava con i Taliban il tracciato del oleodotto che avrebbe dovuto collegare il petrolio del centrasia all’oceano indiano. Contro il potere dei pashtun/taliban si coagulò un’alleanza di altri signori della guerra, che avevano assunto potere nelle proprie tribù proprio in virtù del loro essere stati armati dall’occidente. Quella guerra però non è mai finita e si protrae ormai da 20 anni. Il fronte sostenuto dagli Stati Uniti ed in cui anche l’Italia è arruolata è cambiato, ma la guerra è la stessa. Il motivo per cui, in questa guerra intestina, il nostro paese dovrebbe sostenere una parte contro l’altra non è mai stato chiarito. Perché, ad esempio, tra trafficante di droga Karzai, il macellaio Hekmatyar, il mullah Omar, ed altri analoghi stinchi di santo, dovremmo sostenere il primo non è affatto chiaro. E non ci vengano a dire che è per via del burqa che allora non si capisce perché non abbiamo ancora raso al suolo Riad. Per quale motivo dovremmo proteggere un governo composto da criminali di guerra contro un’opposizione armata di altrettanta fatta. La guerra civile afgana, nella quale la Nato e l’esercito italiano sta intervenendo, con una sempre maggiore operatività, ha una storia complessa, ma essenzialmente si tratta del controllo del territorio e delle sue ricchezze. Ad esempio della produzione dell’oppio di cui l’Afghanistan è il primo produttore mondiale e che è coltivato e trafficato sia dal "governo" che dall’"opposizione". Ad esempio la collocazione strategica ai confini della Cina. Nel frattempo gli aerei alleati al comando della Nato hanno seminato e continuano a seminare morte tra i civili. Nel 2009 le vittime civili ufficiali della guerra, uccise sugli opposti fronti sono state, secondo un rapporto dell’Onu, oltre 2400, con un incremento del 14% rispetto al 2008. Ma tra le vittime dirette, quelle indirette dovute al permanere di una situazione di degrado del paese, e i rifugiati, sono milioni gli uomini e le donne afgane che hanno perso tutto, quando non anche la vita. Sono vittime che anche l’Italia ha sulla coscienza. La società civile afgana da tempo richiama all’attenzione il fatto che senza che sia fatta giustizia nei confronti dei criminali nelle cui mani, invece, la Nato ha consegnato il paese non sarà possibile costruire un futuro e nello stesso tempo che il conflitto interno non si può concludere con la vittoria di una parte, ma con un processo di riconciliazione. Ma fino a che Karzai ed i suoi avranno a fianco un alleato come gli Stati Uniti nessun processo di pacificazione potrà iniziare. Un motivo di più, oltre al ripudio della guerra in sé, perché il nostro paese ritiri finalmente le truppe.
COMMENTI
L’ha ben detto l’autore dell’articolo: davanti ad un voto bipartisan (in realtà, un voto generale, di tutta la destra – che potrebbe avere interessi nascosti [vendita di armi, contratti favolosi di scambi commerciali (anche oppio?)], cosa possiamo fare noi cittadini? Non siamo chiamati direttamente a decidere se stare o non stare in Afganistan (od in altri Paesi qualsivoglia), non siamo chiamati a decidere se partecipare o meno a guerre che non ci interessano (specialmente perché non contemplate dalla nostra Costituzione, così come non annoverate tra gli accordi NATO [gli alleati entrano in ballo per aiutare le nazioni aggredite; qui, aggredito – e da fazioni interne, che si combattono tra loro - è l’Afganistan, che non fa parte della NATO!])… E’ assurdo!
Bersani e Di Pietro (per non parlare di altri presidenti e dirigenti di altri partiti di sinistra che, a parole, aborrono la guerra) dovrebbero essere i primi a schierarsi contro qualsiasi intervento, a prescindere dalle gravi spese, in termini di danaro e di morti, ma non sono intervenuti se non per confermare la presenza dei nostri soldati che non hanno facoltà d’ingaggio e supinamente aspettano di tornare a casa, vivi (possibilmente) o morti. Cosa possiamo fare? Chi si fa portabandiera di un’iniziativa che sottoponga il caso al popolo “sovrano”?
Proviamo a sottoscrivere una petizione per il ritiro di tutti i nostri soldati dai paesi esteri non facenti parte della NATO ed aggrediti da nemici esterni, nemici dei Paesi NATO? Proviamo a sondare cosa ne pensano i nostri connazionali?
vincenzo campobasso
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