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Democrazia da rifondare su equità e giustizia |
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Vittorio Bonanni
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In uno scenario nazionale piuttosto deprimente Torino sembra fare storia a sé. Le sue proposte culturali non sono mai superficiali, non sono mai all’insegna dell’effimero e spesso affrontano i nodi salienti e drammatici di questa Italia di inizio millennio. Quasi una ritrovata capitale, che, orgogliosa dei propri padri, cerca di dare un contributo alla rinascita di una democrazia in crisi. Questi giorni e settimane sono le "Lezioni Bobbio 2010", promosse per le celebrazioni del Centenario della nascita dell’illustre filosofo e da Biennale Democrazia, a tenere banco su temi di carattere prettamente novecentesco senza la comprensione dei quali risulta difficile capire e risolvere i problemi di oggi. Lunedì prossimo saranno Paul Ginsborg e Nadia Urbinati a discutere di "Potere politico e popolo". Ed è proprio su Torino che comincia questa nostra conversazione con il professor Franco Sbarberi, ordinario di Filosofia politica presso l’università di Torino, e presentatore del dibattito citato: «Posso dire che per certi aspetti - sottolinea lo studioso - e l’ho anche scritto una decina di anni fa nel mio libro L’utopia della libertà eguale: il liberalismo sociale da Rosselli a Bobbio , Torino continua ad essere considerata "la capitale d’Italia" almeno per quanto riguarda la continuità ideale con la storia della sinistra. Dapprima i movimenti di liberalismo radicale con Gobetti e di comunismo eterodosso con Gramsci. Poi, nel secondo dopoguerra, la resistenza attivissima con il gruppo di Bobbio e del Partito d’Azione. E ancora, le lotte operaie degli anni ’60, con Raniero Panzieri, i Quaderni Rossi e la lettura nuova di Marx. E il ’68 di Palazzo Campana, che fu il primo a partire in Italia. E ora, oltre alle numerose fondazioni politico-culturali, il gruppo di Biennale Democrazia, che si propone di formare giovani culturalmente e politicamente preparati». Professore, uno dei temi centrali delle vostre lezioni torinesi sulla democrazia riguarda l’incapacità di quest’ultima di crescere qualitativamente e di rappresentare adeguatamente una società che dal canto suo rischia di essere sempre più apatica. Come si esce da questa situazione e come si può rafforzare un processo di formazione democratica del potere politico? Una possibilità è ripartire dal progetto costituzionale del ’47-’48, l’unico vero compromesso storico che ha funzionato, e vedere che cosa ancora c’è di attuale. I partiti politici dovrebbero selezionare quattro o cinque punti fondamentali e proporli con chiarezza ai cittadini, non soltanto alla vigilia delle elezioni. Che cosa succede invece a sinistra rispetto a quelli che dovrebbero essere dei presupposti elementari? Non gli si dà importanza. Si pensa che bisogna delegare a dei professionisti della politica il compito di decidere e contrattare giorno dopo giorno. Si dice giustamente a sinistra che bisogna mettere al primo posto il lavoro. Ma lei ha mai visto i punti in cui questo programma sul lavoro dovrebbe articolarsi? Su un programma preciso dovrebbero pronunciarsi i cittadini, anche attraverso il voto. Ora invece ci si schiera in modo nominalistico. O per il Popolo della libertà, come se la libertà non fosse un valore riconosciuto a tutti dalla Costituzione. Oppure per il Partito democratico, come a dire che chi non è simpatizzante per quel partito, democratico non è. E’ anche vero professore che una parte della politica non si riconosce tanto volentieri nella Costituzione... Da qui allora l’importanza di dire quali sono i punti fermi della Costituzione da salvaguardare. Insomma per far tornare la democrazia italiana degna di questo nome bisogna ripartire dalla Costituzione.... Non c’è dubbio. C’è tutta la prima parte alla quale bisogna fare riferimento, ma dicendo che cosa possono e devono significare oggi libertà ed eguaglianza. O anche solidarietà e non violenza. Erano i problemi che si poneva Bobbio, che non dobbiamo immaginare come un liberaldemocratico amante soltanto delle regole. Le regole servono a regolare costituzionalmente i conflitti sociali. Ma il punto è per fare che cosa? Occorrerebbe proporsi quella che un cattolico democratico come Leopoldo Elia chiamava "democrazia di indirizzo", distinguendola dalla "democrazia di investitura", costruita intorno a un leader più o meno carismatico... Obama, quando si è candidato alla presidenza degli Stati Uniti, ha detto che cosa si proponeva, in primo luogo la riforma della sanità, anche se non tutto il Partito democratico lo sosteneva. L’eguaglianza sembra restare un elemento cardine per questa "democrazia di indirizzo"? All’eguaglianza intesa come pari godimento di diritti civili, politici e sociali e alla libertà intesa come assenza di interferenze occorre guardare almeno per due motivi: per l’elaborazione di progetti politici a livello nazionale e per una giustizia sociale che tenga conto dei mutamenti profondi determinati dalla globalizzazione. Anche la parola "popolo", come scriveva Bobbio, va riqualificata e non è più adatta a ridefinire la democrazia dei moderni. Che cosa ne pensa? Va riqualificata perché la parola "popolo" viene oggi usata spesso come sinonimo di "gente". Termini, entrambi, che fanno riferimento a una massa indistinta, che si suppone mossa da identiche esigenze. La comunità alla quale pensava Bobbio era un insieme di cittadini autonomi. Una democrazia attiva ha bisogno di soggetti pensanti, che non diventino una massa informe, manovrata attraverso l’uso monopolistico dei mezzi di informazione. In questo contesto si inserisce la crisi dei partiti di massa, di stampo novecentesco, con l’emergere di partiti leggeri, mediatici e fortemente personalizzati. Anche questa è una caratteristica della crisi che attraversa la nostra democrazia non crede? Li chiamano partiti leggeri perché sono costituiti da una dirigenza ristretta. Ci sarebbe invece bisogno di un gruppo dirigente vasto, in cui nessuno sia indispensabile e tutti siano utili. Norberto Bobbio questo pericolo lo aveva già visto negli anni ’90, quando criticava la formazione di un partito personale, espressione diretta di un "demagogo oligarchico". Queste forme di dispotismo post-totalitario attecchiscono in paesi come il nostro o come l’ex Unione Sovietica, che hanno vissuto a lungo in regimi non democratici. |
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