Pena di morte, Amnesty sfida la Cina: renda pubblici i dati
 











Nel 2009, almeno 714 persone sono state messe a morte nel mondo. Lo rende noto l’ultimo rapporto di Amnesty International, precisando che dal totale mancano i dati della Cina. L’Organizzazione infatti per la prima volta sfida il muro innalzato da Pechino sulle cifre delle "migliaia" di condanne inflitte ed eseguite e che sono coperte dal segreto di Stato. E proprio per sottolineare la mancanza di trasparenza Amnesty quest’anno non pubblica gli scarsi dati in suo possesso.
Nel resto del pianeta, invece, c’è sempre meno lavoro per i boia: le 714 esecuzioni sono avvenute in 18 Paesi del mondo, contro le 2390, in 25 Stati, registrate nel 2008. Amnesty rileva anche come l’anno scorso siano state 2001 le persone condannate a morte in 56 Paesi del mondo. Una cifra che tuttavia è di molto inferiore a quella reale. E proprio evidenziando la mancanza di trasparenza mostrata da alcuni governi, in particolare quello di Pechino, il Segretario generale ad
interim Claudio Cordone scrive: "Le autorità cinesi affermano che le esecuzioni sono in diminuzione. Se questo è vero, perché non dichiarano al mondo quante persone hanno messo a morte?". Da qui la protesta della Organizzazione per i diritti umani: non pubblicare i dati registrati in Cina finché il suo governo non li renda pubblici. I Paesi con il più alto numero di esecuzioni si trovano tutti nell’area mediorientale: Iran, con almeno 388 persone messe a morte, Iraq (120) e Arabia Saudita (69). Al quarto posto gli Stati Uniti, con 52 esecuzioni. Ed è soprattutto in Medio Oriente e Africa del Nord, dove sono state rilevate almeno 624 esecuzioni, che Amnesty mette in primo piano l’uso politico della pena di morte, inflitta ora per ridurre al silenzio gli oppositori, ora per promuovere agende politiche, come avviene in Sudan e Iran, oltre alla Cina. In Iran ad esempio, 112 esecuzioni hanno avuto luogo nelle otto settimane d’intervallo tra le elezioni del 12 giugno e l’inaugurazione della seconda presidenza di Mahmud Ahmadinejad, il 5 agosto. Le buone notizie provengono invece dall’Europa, dove per la prima volta da quando Amnesty ha iniziato a raccogliere i dati, non c’è stata alcuna esecuzione. L’unico Paese che mantiene ancora la pena capitale è la Bielorussia, dove due persone sono state messe a morte proprio in questo mese.
Il 2009 è stato il primo anno di totale inattività anche per i boia di Afghanistan, Indonesia, Mongolia e Pakistan. Il record di condanne a morte decise dal giudice spetta invece all’Iraq con 366 sentenze anche se, ribadisce Amnesty, i dati reali in alcuni Paesi come Iran e Ciad e, ovviamente, Cina, sono più alti. Nel rapporto viene anche sottolineato come il cammino del mondo verso la completa abolizione della pena di morte stia proseguendo.
L’anno scorso Burundi e Togo hanno vietato la pena capitale, portando a 95 il numero di Paesi in cui la punizione più grave è stata messa al bando contro i 57 che ancora la mantengono. "Come in
passato con la schiavitù e l’apartheid il mondo sta respingendo questo affronto all’umanità. Siamo più vicini a un mondo libero dalla pena di morte ma fino a quel giorno bisognerà opporsi a ogni esecuzione", è il commento di Amnesty.
red. est.