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Il radicale cambio di passo del -Minzo- |
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Beppe Lopez
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Le “epurazioni” dei giornalisti del Tg1 sono lo specchio della politica di Berlusconi: non fare prigionieri Per comprendere il caso del capo-redattore e dei tre conduttori “di sinistra” del Tg1 vittime di “epurazione” da parte del direttore Augusto Minzolini, “dipendente di Berlusconi e non della Rai”, bisogna partire da un dato di fatto incontrovertibile e sacrosanto. Dato di fatto ottimamente (e strumentalmente) sintetizzato dal dirigente pidiellino Maurizio Lupi: il contratto di lavoro dei giornalisti affida al direttore la “competenza esclusiva” nello “stabilire le mansioni di ogni giornalista”. Competenza che è difatti il baluardo fondamentale della “libertà di stampa” individuato e strappato agli editori in Italia dopo decenni di battaglie sindacali, ma dagli anni Settanta svuotato di contenuto con la riduzione di fatto della figura del “direttore responsabile” dei giornali a uomo dell’editore, a dipendente-manager. Invece i direttori giornalistici in Rai, per la verità, non sono mai stati una gran baluardo contro la manipolazione politica delle notizie, essendo da sempre la Rai, più che espressione indiretta (e legittima) del potere politico in quanto servizio pubblico, perlopiù espressione diretta (e indebita) del potere partitico e governativo. Ma, come ha ricordato ieri una delle epurande, Maria Luisa Busi, riferendosi al Tg1, “la dialettica nella redazione tra le diverse sensibilità è stata sempre rispettata”. Nemmeno Vespa, Rossella o Mimun - che pure non possono essere certo considerati meno intruppati di Minzolini nella squadra d’assalto mediatica del Cavaliere - “avevano mai osato tanto”. Ma si sa che i metodi di Berlusconi non sono certo paragonabili a quelli di un Moro o un De Mita. Gli stessi Vespa, Rossella e Mimun sono molto più navigati di Minzolini, che, pur avendo sacrificato da anni sulla soglia di Palazzo Grazioli e di Palazzo Chigi una non indegna gavetta di cronista parlamentare, ha sempre avuto scarsa dimestichezza con le forme morbide e gattopardesche dello scontro politico in viale Mazzini. Insomma, con Berlusconi e i neo-berlusconiani siamo ad un radicale cambio di passo. Il primo segnale fu l’“editto bulgaro”. Ricordate? Berlusconi pretese e ottenne la cacciata, fra gli altri, di Michele Santoro dal teleschermo. E un magistrato dovette imporre alla Rai - anomalia contro anomalia - modalità, rete e orario di palinsesto del ritorno in onda di Santoro. Ora Minzolini, dopo aver incassato ben 95 firme di redattori sotto una lettera che solidarizzava con lui per gli attacchi ricevuti dalla sinistra (caso Mills: il Tg1 aveva parlato di “assoluzione” invece che di “prescrizione”), vuole regolare i conti con chi quella lettera non l’ha firmata. Perciò ha già rimosso il redattore capo Massimo De Strobel. Ha deciso la sostituzione di tre conduttori (Tiziana Ferrario, Paolo Di Giannantonio e Pierro Damosso). E tutto lascia pensare che voglia procedere con gli stessi intenti punitivi nei confronti di altri colleghi, a cominciare dalla Busi, che non hanno firmato quella lettera e che comunque non fanno parte della parrocchia di don Paolo Bonaiuti. Insomma una vera e propria “rappresaglia”, come sostengono esplicitamente sindacato e consiglieri di amministrazione targati Pd, contro “volti storici e professionisti liberi di questo giornale”, come con un po’ di comprensibile enfasi dice la Busi, definita più propriamente da Repubblica, il giornale che ieri ne ha ospitato una lunga intervista, “volto di punta dell’edizione delle 20”. E significativo che fra i tre sostituti dei tre epurati (tutti e tre firmatari della lettera di solidarietà sul caso Mills) vi sia il mezzobusto Francesco Giorgino: che fece una carriera fulminante come protetto berlusconiano, fu provvisoriamente ridimensionato quando si permise di parlar male del suo direttore Mimun e addirittura di amoreggiare con quelli dell’Udc, che fu poi perdonato (ricordate? “la dialettica nella redazione tra le diverse sensibilità è stata sempre rispettata”) e oggi torna, armi, bagagli e ciuffo ribelle, alla conduzione del più importante telegiornale italiano, proprio nelle stesse ore in cui suo fratello avvocato vince e si insedia a sindaco berlusconiano nella loro città di Andria. E qui siamo al centro della questione: i livelli parossistici (minzoliniani, non più vespiani) raggiunti dal conflitto di interessi e dalla concezione pre-politica e predatoria che il Cavaliere ha della democrazia e delle istituzioni. Il servizio pubblico gli altri lo hanno usato come megafono dall’esterno e come carrierismo e privilegio mediatico dall’interno; il “Berlusca” lo considera invece alla stregua di una delle sue private dimore e aziende, dove mette suoi dipendenti, dai quali pretende servigi da dipendenti, mentre il “Minzo” ritiene le “competenze esclusive” che gli mette a disposizione il contratto nazionale di lavoro giornalistico qualcosa di cui rendere conto esclusivamente al Berlusca o, al massimo, anche al fido Bonaiuti. Del resto, ha fatto così per anni persino dalle colonne della Stampa, con direttori “indipendenti” e con una proprietà privata. Figuriamoci da un servizio pubblico occupato militarmente da un leader che ha dalla sua il consenso democratico! La “forma”? La “dialettica”? Lo ”spirito di servizio”? Il rispetto del cittadino-abbonato-editore? Roba alla Busi o alla Vespa. E comunque, dopo una vittoria elettorale, si sa che viene sempre fuori la parte oscura berlusconiana, quella previtiana: “Non faremo prigionieri”. |
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