Riforme, show...
 







Angela Mauro




Palazzo Chigi
la sede del governo

Volere è potere. «Non ho rimorsi, nè rimpianti, ho raggiunto tutti i traguardi che mi sono posto: datevi anche voi dei traguardi ambiziosi». In piena forma dopo il successo delle regionali, Silvio Berlusconi strappa oltre venti applausi all’assemblea di Confindustria a Parma. Rinvigorito, ottimista, pieno di programmi, quelli delle riforme - istituzionali, del fisco e della giustizia - da completare entro la fine della legislatura. Per lasciare il segno. L’uomo è al massimo delle sue ambizioni, nonostante la crisi economica che pesa anche tra gli industriali. Applaudono. Lo dice anche la presidente Emma Marcegaglia che le regionali hanno confermato il successo della coalizione di governo, a differenza di quanto successo in Francia dove alle scorse amministrative «la maggioranza è stata sanzionata dalle urne». Non manca la stoccata sulla scorsa campagna elettorale: «Pessima, presidente, bruttissima campagna di liti e screzi con accuse anche a Napolitano e senza parlare di programmi». Ma comunque, «ormai è andata», chiude Marcegaglia. Anche a volersi sforzare, non hanno molta scelta gli industriali: il punto di riferimento di governo e potere resta il centrodestra, soprattutto la Lega alla quale molti strizzano l’occhio. Lo confermano gli applausi a Tremonti due giorni fa sempre a Parma, di certo più calorosi di quelli tributati a Berlusconi, per non dire di Bersani, applaudito una sola volta. Ed è per questo che con un colloquiale «ti prego, presidente», ripetuto fino alla nausea, la Marcegaglia lancia l’allarme: «Uniamo le nostre forze. E’ la crisi peggiore degli ultimi 50 anni: tutti, governo, imprese e sindacati dobbiamo lavorare per evitare il peggio. Dati scientifici dimostrano che il Paese sta declinando». L’ottimismo insomma non basta, nonostante i valori dell’applausometro. La platea non digerisce quel «il declino dell’Italia non si vede», ostentato dal Cavaliere. Sta con Emma, per lei 33 applausi.
Umori di
Parma, che un po’ anticipano quelli dell’assemblea nazionale di Confindustria a maggio a Roma. Gli industriali chiedono fatti. «Facciamo, facciamo», ripete Marcegaglia chiedendo tagli alle tasse di imprese e lavoratori, tagli alla spesa pubblica improduttiva, infrastrutture, un miliardo di euro per la ricerca, un piano nazionale per avviare il nucleare e anche il federalismo fiscale. «Non ci fa paura l’attivismo della Lega, ci stiamo a discutere di federalismo». Debole di concretezza, il premier risponde snocciolando i successi del governo e pianificando le future riforme. Concede che forse quella istituzionale non sarà la prima in agenda. Non attacca la sinistra, anzi garantisce che «parleremo con tutti». Spinge su quello che più gli preme: assegnare maggiori poteri al governo («perchè ora sono tutti nelle mani del Parlamento») e riformare la giustizia. E riscuote successo. «Sono il più grande imputato di tutti i tempi». Applausi. «Inaccettabili i processi mediatici specie sulla tv pubblica». Applausi. E sono mani alzate quando chiede: «chi teme o ha mai avuto il dubbio di essere intercettato?». Ce ne sono di «scheletri nell’armadio anche qui», scherza. L’applauso che segue è assist che accompagna il passaggio sulle intercettazioni telefoniche, «manipolabili all’infinito, quando vengono trascritte sui verbali e poi quando vengono date ai giornali». Martedì in commissione in Senato riprende l’esame del ddl intercettazioni, banco di prova per il dialogo con l’opposizione. Prevedibile un esito negativo, se vale per tutto il Pd quello che chiede il responsabile Giustizia Andrea Orlando alla maggioranza. Vale a dire, «abbandonare progetti sulla giustizia che impedirebbero ogni confronto: processo breve, legge sulle intercettazioni, propositi di intervenire sulla giustizia con leggi di rango costituzionale». Del dibattito interno al Pd si capirà di più comunque la prossima settimana che prevede convocazioni della segreteria, dei parlamentari di minoranza di Area Democratica e sabato la direzione nazionale.
Se l’ottimismo del Cavaliere si scontra in forma soft con gli industriali, più duro è l’urto con le posizioni di Gianfranco Fini, possibile ostacolo ai propositi di riforma, vista la netta contrapposizione sulla legge elettorale che per il presidente della Camera va cambiata se si volesse davvero prendere in considerazione il modello francese. Si vedrà, un passo per volta. E’ la Lega intanto che ne fa da giganti. Roberto Calderoli dice ormai esplicitamente il retropensiero di molti all’indomani delle regionali. Orizzonte 2013: «Vedrei bene al Quirinale Silvio Berlusconi, dopodichè si sceglierà il primo ministro: ma perchè escludere un leghista?». Inarrestabili. Anche con gli industriali. «Confindustria chiede soldi e fa il suo gioco - manda a dire il ministro del Carroccio - ma non si dimentichi che c’è anche il popolo che chiede e gli interessi del popolo li difende la Lega». Messo insieme ai propositi berlusconiani di legittimare le
riforme con un referendum confermativo (per il quale non è previsto il quorum), la miscela suona a dir poco "rivoluzionaria".