Uno spettro si aggira per l’Europa
 







Daniele Zaccaria




Uno spettro si aggira per l’Europa. Uno spettro di anidride solforosa sputato in cielo da un vulcano-isola islandese che ha trasformato il vecchio continente in una gigantesca "no-fly zone". I terminal degli aeroporti di Londra, Oslo, Stoccolma, Parigi, Berlino, Vienna, ma anche Milano e in parte Roma, paiono immensi accampamenti di viaggiatori, uomini di affari, turisti, pendolari, tutti rimasti a piedi in attesa di capire quando finirà l’emergenza. Sono decine di migliaia i voli cancellati solo nella giornata di ieri e per le prossime ore la situazione non dovrebbe cambiare. Volare è troppo pericoloso. Le compagnie ferroviarie ringraziano (i treni registrano il tutto esaurito) ma lo spaesamento rimane.
Tecnicamente il pericolo è costituito da un ammasso di particelle di roccia vulcanica, vapore acqueo, gas Co2, zolfo e fluoro. Questo pulviscolo è in grado di soffocare in pochi secondi i reattori di un jet, di opacizzare i finestrini della
cabina di pilotaggio, di danneggiare la fusoliera e bloccare i sistemi di pressurizzazione. In sostanza nessun aereo di linea uscirebbe incolume se dovesse imbattersi nella "nube": al contrario entrerebbe immediatamente in stallo, precipitando tragicamente al suolo.
Da terra nessuno può vederla ad occhio nudo, ma lei è lassù, incombe e galleggia a 10mila metri di altezza seguendo rotte imprevedibili. In questo momento pare che viaggi verso sud, trascinata dalle correnti nate dall’incontro tra l’alta pressione dell’Artico e la bassa pressione delle Azzorre. Tra qualche giorno, quando muteranno i venti, dovrebbe fare inversione di marcia e dirigersi nuovamente verso la Gran Bretagna e la penisola scandinava, nella speranza che prima o poi inizi a rarefarsi.
Le sue polveri "vanno e vengono", come il Coro delle Nuvole di Aristofane annunciano nuovi scenari, in questo caso nuovi scenari climatici. Gli esperti spiegano infatti che il ciclo dell’eruzione potrebbe durare anche un intero
anno, influenzando a fondo il clima nordeuropeo. La nube potrebbe persino superare i 12mila metri e raggiungere la stratosfera, il che modificherebbe in modo ancor più durevole le configurazioni atmosferiche continentali. Scongiurata per fortuna l’inquietante prospettiva della caduta di piogge acide e, in generale, di rischi immediati per la salute: arrivando a terra le ceneri sarebbero del tutto inconsistenti. C’è comunque l’incognita dell’effetto serra provocato dalla grande quantità anidride carbonica sprigionata. Per avere un’idea dei livelli di inquinamento, basti pensare che l’eruzione di un vulcano ha un impatto ambientale molto più elevato di tutti gli scarichi industriali del pianeta messi insieme. Senza calcolare, poi, che la densità della nube è in aumento: «L’attività del vulcano è stata molto intensa, la colonna di fumo è attualmente in crescita», spiegava ieri il geologo il geologo islandese Magnus Tumi Gudmundsson. Il problema è che non c’è soluzione, possiamo solo aspettare che la natura compia il suo corso.
C’è qualcosa di estraniante in questa vicenda, qualcosa che ammutolisce il piccolo cabotaggio delle polemiche terrestri: la mancanza del colpevole. La giostra delle accuse e delle difese incrociate stavolta non può nemmeno mettersi in moto. La società, la politica, lo scontro delle idee e il conflitto tra i gruppi perdono gran parte del loro significato. Nessuna cinica multinazionale, nessuno squalo del cemento, nessun governo corrotto da additare. Resta soltanto l’organizzazione tecnica dell’emergenza, pur nella forma edulcorata del "disagio ai viaggiatori". E la sommessa contabilità delle perdite: circa 200 milioni di dollari al giorno dall’inizio dell’eruzione per tutto il settore dell’aviazione civile e commerciale. D’altra parte stiamo parlando di un fenomeno che non era mai accaduto da quando è in piedi il trasporto aereo di massa: l’ultima volta che i vulcani dell’Artico hanno sbuffato magma nei cieli europei non esisteva neanche
il motore scoppio: era il gennaio 1823 e anche in quel caso non ci furono problemi per la sicurezza degli europei. Molto diversa fu invece la drammatica eruzione del vulcano Laki (Islanda del sud) nel 1783, i cui terrificanti vapori tossici uccisero almeno 20mila persone.
Nelle catastrofi naturali c’è quasi sempre una responsabilità umana. Un terremoto, uno tsunami, una frana diventano tragedie quando incrociano l’incuria, la speculazione: abitazioni costruite sul fango, alle pendici dei vulcani, lungo le faglie geologiche più a rischio, il campionario delle nefandezze è sterminato, almeno quanto la nube di fumo che volteggia sopra le nostre teste. Nell’eruzione dell’impronunciabile Eyjafjallajokull, un nome che sembra uscito da un manuale di vulcanologia fantastica, però non c’è nessuna incuria o speculazione, nessuna responsabilità. Giusto i capricci di uno strano gigante che, ogni centinaio di anni, sputa tonnellate di anidride solforosa nei cieli d’Europa. Tanto per ricordarci
chi comanda.