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Marea nera: un rogo per provare a fermarla |
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Simonetta Cossu
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Comunque finirà finirà male. Quanto sta acadendo nel Golfo del Messico si sta delinenado come uno dei più gravi disastri ambientali della storia americana. Dopo giorni e innumerevoli tentativi per fermare la fuoriuscita del greggio creato dal disastro della piattaforma Deepwater Horizon la situazione sembra volgere al peggio. Ora la guardia costiera Usa sta pensando ad un gigantesco rogo per fermare la marea nera. Un tentativo estremo per impedire che il greggio arrivi a terra ma il rogo e il fumo che gli incendi controllati della gaurdia costiera genererebbe sarebbero comunque una minaccia ambientale. Gli sforzi per arginare la foriuscita di greggio degli ingegneri della Bristish petroleum sono stati finora vani. Quattro robot sottomarini sono stati impegnati nel tentativo di chiudere la bocca del pozzo e di tappare i buchi che si sono aperti nella conduttura che portava il petrolio alla piattaforma distrutta da un incendio. Ma non sembra avere successo. Una seconda ipotesi a cui si sta lavorando a pieno ritmo è quella della costruzione di una gigantesca cupola da mettere sulla perdita, ma il tempo non gioca a favore. Una trivella è già pronta a entrare in azione per scavare due pozzi di sfogo e convogliare il greggio in navi-cisterna e nuove condutture, ma ci vorranno tre mesi e con una fuoriuscita di 160milla litri al giorno quella della cupola sembra essere la soluzione migliore a breve termine. Per realizzare la struttura dovrebbero essere necessarie tra le 3 e le 4 settimane. Ma ormai il tempo stringe. La falla, a 1.525 metri sotto il livello del mare davanti alla costa della Louisiana, ha ricoperto una superficie di circa 74 mila chilometri quadrati con una chiazza di petrolio di una circonferenza di 970 km, ha detto ieri la Guardia Costiera. «Voglio dirlo senza mezzi termini: gli sforzi della BP non hanno ancora avuto successo» ha detto il contrammiraglio Mary Landry parlando del macchinario da 450 tonnellate che avrebbe dovuto sigillare il pozzo, «se non mettiamo in sicurezza il pozzo, questa sarà una delle più gravi fuoriuscite della storia del Paese». Il governo statunitense ha promesso un’indagine «completa e approfondita» per chiarire le cause dell’esplosione che ha innescato il disastro e ha annunciato che non saranno lesinati gli sforzi per limitare i danni ambientali. Intanto a terra ci si prepara ad un fine settimana di paura. La Guardia Costiera ha predisposto centri di difesa lungo le aree di costa più delicate dei quattro stati potenzialmente minacciati: a Biloxi e Pascagoula in Mississippi, Pensacola in Florida, Venice in Louisiana, Theodore in Alabama. A Venice in Louisiana, dove le paludi costiere si alternano a impianti di lavorazione del gas naturale e con i depositi delle attrezzature delle società petrolifere, un mese fa una perdita di petrolio ha fatto chiudere il parco nazionale del Delta, oasi protetta per alligatori, falchi dalla coda rossa e pellicani. La piattaforma offshore Deep Water Horizon conteneva 2,6 milioni di litri di greggio. L’incidente è un grave imbarazzo per il presidente Obama che solo poche settimane prima aveva annunciato un piano per consentire l’esplorazione e la perforazione di petrolio e di gas e di perforazione in 167 milioni di acri di acque costiere, che sono stati protetti per decenni. Ora il presidente che si era presentato come paladino dell’ambiente è messo all’indice dalle principali associazioni ambientaliste, da Greenpeace e Sierra Club ad esempio, che invitano Obama a ripensarci. |
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