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E’ ormai sindrome di accerchiamento. E’ iniziata nel 2008, non è finita nel 2010. Anzi, si aggrava: perché allora vicino all’abisso erano le banche e furono salvati dagli Stati sovrani, ossia dai soldi pubblici. Adesso gli Stati, provati da quello sforzo e soprattutto da decenni di un’economia finanziaria senza regole, di una corruzione più o meno dilagante e di un aumento di debito pubblico impressionante, sono finiti a loro volta su quell’orlo che hanno cercato di evitare. Ma chi sono i cattivi di questa storia? Chi è che attacca l’economia in maniera così pesante da far tremare addirittura la sua struttura portante? Non sono marziani, non sono enti astratti: sono gli speculatori, quelli a cui il premier spagnolo Zapatero (secondo molti, il secondo della lista dietro Papandreu a dover salvare il suo Paese) ha promesso che «dovranno rispondere al codice penale». Solo che gli speculatori fanno parte di quel mondo della finanza dove una sigla ne nasconde un’altra, dove i giudici - vedi le agenzie di rating - sono sempre più spesso i giudicati, dove le regole non ci sono e se sono sono aggirabili. E’ lì, in quel limbo del capitalismo selvaggio, che si sta decidendo la geopolitica prossima ventura. E’ lì, dove gli sciacalli delle borse, degli investimenti, dei titoli, dei debiti muovono le loro mosse, che qualcuno continua ad arricchirsi, anche adesso, anche nel momento in cui un Paese, la Grecia, è alle prese con la distruzione di una generazione, e un intero Continente, l’Europa, sta combattendo una battaglia vitale per sapere se domani esisterà ancora oppure no. Ed è sempre lì che in tutti questi anni non si è voluto intervenire in alcun modo. Il mercato sovrano ha prevalso sugli Stati sovrani, banchieri, finanzieri e speculatori hanno dettato le regole e sono sfuggiti dalle forme di responsabilità fiscale, economica e, in fin dei conti, sociale. Sta di fatto che adesso, per dirla con le parole della Cancelliera tedesca Angela Merkel «la situazione è seria». Talmente seria che i Capi di Stato, i ministri dell’economia e i governatori delle banche centrali degli Stati dell’Ue stanno passando tutto tempo intercorso fra la chiusura dei mercati, venerdì pomeriggio, e la loro apertura settimanale, lunedì mattina, a stilare un piano di emergenza, una difesa in extremis delle loro economie da presentare in faccia alle Borse per dire loro che ci sono e che non ci stanno a farsi togliere la sedia da sotto il sedere. Basterà? O sarà troppo tardi? Cosa contenga il piano stilato dai vertici europei non è ancora chiaro, lo sarà di più oggi pomeriggio, quando il presidente della Commissione europea Manuel Barroso riunirà tutti i commissari per discutere quanto approvato nella notte di venerdì dal vertice straordinario dei capigruppo, per varare il piano salva Stati e passarlo poi ai ministri delle Finanze. Tutti appuntamenti convocati d’urgenza, dopo il tracollo greco, la discesa verticale delle Borse e i timori del contagio che da Atene potrebbe arrivare a Madrid e Lisbona, passando per Roma. Sono quattro i punti principali, decisi venerdì nel secondo Eurogruppo straordinario della storia europea (il primo, guarda caso, fu nel 2008 convocato in emergenza per salvare le banche). Il primo, e più immediato,riguarda la creazione di un fondo di 70 miliardi di euro (per adesso) da cui i Governi potranno attingere per respingere eventuali attacchi da parte degli speculatori. Altri 80 miliardi saranno varati a favore della Grecia. E qui apriamo una parentesi su quanto sta accadendo nei vari Paesi: in Italia per esempio il premier Berlusconi promette che il prestito verrà approvato in Parlamento «con larga maggioranza e in tempi brevi», mentre le Camere tedesche già lo hanno approvato ma 5 giuristi e costituzionalisti hanno presentato subito ricorso alla Corte costituzionale perché il prestito contravverrebbe ai principi di stabilità e al rigore finanziario della Germania. Insomma, la Grecia ancora non può dirsi tranquilla. Il terzo punto del piano di difesa riguarda il ruolo della Bce alla quale viene confermato il ruolo di garante della stbilità dell’euro. C’è, o meglio ci dovrebbe essere, tutta la partita che riguarda la politica comune dell’Ue, con la richiesta franco-tedesca di rivedere Maastricht, di apporre un meccanismo di sanzioni per gli Stati inadempienti e di far sì che gli Stati membri attuino una politica più ferrea e rigorosa di contenimento del debito. In questa ottica i due Stati-motore dell’Ue chiedono il rafforzamento del controllo sulla gestione dei bilanci degli Stati. Ultimo punto, ma non per importanza, è la strategia anti-speculazione che imporrà trasparenza nelle attività in derivati e punta a scoraggiare le banche d’affari, i fondi e le agenzie di rating dal far salire in modo anomalo i tassi d’interesse dei titoli degli Stati. Chissà se in questa ottica si arriverà alla costituzione di un’agenzia di rating europea a controllo pubblico. Come dire, l’Europa (sostenuta e spronata pure dal Presidente americano Obama e dal presidente di turno del G8, il premier canadese Harper) sotto attacco dagli speculatori tenta di darsi un’anima politica. Sono decenni che se ne parla, ci voleva l’euro ai minimi storici per arrivarci. Ripetiamo: speriamo solo che non sia troppo tardi. |
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