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Unione Europea catastrofe economica |
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Giuliano Battiston
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Accolto dalle borse come una salutare boccata d’ossigeno, il compromesso trovato dai ministri economici dell’Ue è invece una vera “catastrofe” per Saskia Sassen. Secondo questa studiosa di origini olandesi, che insegna alla Columbia University ed è considerata tra le più autorevoli interpreti dei processi della globalizzazione, il pacchetto di aiuti finirà per alimentare la logica che ha causato anche la crisi. Come giudica la crisi greca e la soluzione adottata dall’Unione europea? Una risposta necessaria o, piuttosto, una medicina che rischia di aggravare la malattia? Si tratta di una soluzione finanziaria a una crisi finanziaria, che non permetterà di uscire dal circolo vizioso che ha provocato la crisi, e che, anzi, lo consolida. Con questa decisione, infatti, non si fa che allungare la vita al modello finanziario. Tra cinque anni ci ritroveremo nella stessa situazione. Più si tende a finanziarizzare il sistema economico - o, come in questo caso, ad assecondarne le richieste - e più le crisi diventano una caratteristica sistemica. Per questo credo che il popolo greco, che ha sentito puzza di bruciato, per molti aspetti faccia bene a manifestare. La maggior parte del denaro stanziato, infatti, non passerà nelle sue mani, neanche momentaneamente. E non sarà usato per creare posti di lavoro. Piuttosto, finirà alle banche, ai grandi istituti finanziari. Il governo greco lo userà per chiedere un prestito ulteriore. E’ una soluzione assurda e catastrofica. Una forma estrema di arroganza del potere, oltre che un’acuta mancanza di progettualità politica da parte dei leader politici. Anche questa volta l’Europa, a cui ci si ostina a guardare come a un possibile incubatore di nuovi paradigmi politici, sembra aver semplicemente ricalcato soluzioni già viste in passato. E, insieme al Fondo monetario internazionale, ha deciso di condizionare gli aiuti a piani di risanamento economico estremamente rigidi... A volte sembra che i politici si siano arresi. Che abbiano rinunciato all’intelligenza per pensare la politica e la società. Questa soluzione non è che l’applicazione di un modello, già adottato dagli Stati Uniti di Barack Obama, che in questo modo diventa sistemico. Anche l’Europa - che sembrava disponesse di un argine più solido nei confronti della logica finanziaria - è caduta nella trappola del salvataggio delle banche. I ventisette Stati nazionali dell’Ue hanno infatti deciso di usare strumenti legali e politici nazionali per estorcere dai contribuenti dei soldi per un fondo destinato in massima parte ai grandi istituti finanziari globali. In altri termini, in un batter d’occhio tali istituti sono riusciti a imporre all’Unione europea, costruita faticosamente pezzo dopo pezzo nel corso di sessant’anni, una piattaforma comune da cui attingere. Già molti anni fa, quando il neoliberismo imponeva le sue regole, a proposito degli Stati Uniti parlavo di una vera ristrutturazione imposta dal Fondo monetario internazionale, sebbene venisse presentata sotto le vesti dell’efficienza. Oggi ci accorgiamo che gli aggiustamenti strutturali, che pensavamo potessero riguardare solo l’Africa, l’America latina, i paesi poveri dell’Asia, investono anche l’Occidente. E che il modello che li sottende, che distrugge le piccole attività e impoverisce i cittadini, favorisce la disuguaglianza e produce un surplus di popolazione considerata inutile, è entrato anche in Europa. Compromettendo, anche in Europa occidentale, la capacità dello Stato di garantire gli strumenti per promuovere uno sviluppo che riguardi la popolazione nel suo complesso. Quando scriveremo la storia di questo periodo, riconosceremo che si tratta di un vero abuso di potere. Tuttavia, quando si comincia ad abusare del potere, come dimostrano i casi dell’Unione sovietica e delle dittature militari dell’America latina, è l’inizio della fine. Eppure, nonostante “l’inizio della fine” e la vulnerabilità del sistema neoliberista, i movimenti sociali arrancano, alcuni sembrano addirittura in ritirata, la sinistra europea è afona, e di proposte politiche innovative non se ne vedono.... Sono convinta che anche la mancanza di potere, a certe condizioni, possa “fare storia”, e che tale mancanza possa diventare complessa, quando vengono destabilizzati i significati politici divenuti stabili. Ma come cominciare? Protestare, dire al potere “eccoci qui, ci siamo anche noi”, non è più sufficiente, anche perché si rischia di cadere nella dialettica hegeliana servo-padrone, limitandosi a reclamare un po’ più di potere e libertà. Piuttosto, occorre “fare il sociale”, costruire, risignificare gli spazi. E ci sono molte cose che si stanno costruendo attivamente in giro per il mondo, grazie alle quali viene disegnata una nuova topografia politica. Come l’economia solidale in America Latina, che non è solo un’economia informale, ma un diverso uso degli strumenti economici tradizionali, un loro riorientamento per fini alternativi. Non si tratta di fare una rivoluzione socialista, ma di agire, soprattutto laddove ci sono strutture organizzative consolidate, a livello regionale e locale, nelle città, usandole per scopi diversi. Lo si può fare decentrando, distribuendo, ri-urbanizzando il sistema bancario, per esempio: a causa della crisi, la gente, divenuta più povera, è in qualche modo costretta a sviluppare i propri strumenti di produzione. E le piccole banche - legate necessariamente alla dimensione locale - possono diventare i nostri mezzi collettivi di produzione, anche laddove la proprietà non è in sintonia con i nostri interessi. Oppure lo si può fare con l’agricoltura urbana e regionale, con i mercati agricoli locali, con il lavoro artigianale, con tutti quei progetti che rientrano nella greening economy. In altri termini, bisogna recuperare l’economia pezzo per pezzo, ri-ancorarla ai nostri bisogni, costruirne una nuova, che sia “nostra”, attraverso le tante iniziative che si stanno diffondendo e che, anche se appaiono incoerenti e prive di nessi, disegnano invece una precisa traiettoria. Non c’è bisogno di inseguire un grande ideale: possiamo cominciare modificando le necessità quotidiane, connotando diversamente lo spazio e il suo significato, a partire dalle basi che abbiamo a disposizione, senza illuderci che sia possibile distruggere tutto. Come è successo in alcune fabbriche argentine occupate: spazi totalmente modificati grazie a pratiche materiali anche molto elementari. E’ attraverso questa pratiche che si possono risignificare gli spazi, e dare vita a nuove temporalità. Alternative a quelle del potere. |
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