FINANZIARIA-MASSACRO
 











Servono miliardi pagano lavoratori e pensionati
Per due anni ci hanno raccontato «che non avevano problemi, che stavamo meglio degli altri e che non ci era bisogno di manovre». Adesso all’improvviso scopriamo «che c’è bisogno di fare una manovra consistente». Pierluigi Bersani, segretario del Pd, commenta così, tra l’ironia e l’amarezza, le anticipazioni sulla manovra correttiva che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti dovrà presentare nei prossimi giorni.
Di ufficiale, per ora, non c’è nulla. L’unica cosa certa è che a pagare il prezzo della crisi saranno chiamati ancora una volta lavoratori e pensionati, anche se ieri il ministro della Funzione Pubblica, Renato Brunetta, ha dichiarato che non è all’orizzonte «nessun taglio agli stipendi dei dipendenti pubblici», dal momento che «non stiamo a livello della Grecia».
Sarà, ma intanto le risorse per il rinnovo dei contratti ancora non sono state
stanziate e l’ammontare della manovra, dai 25 miliardi previsti, pare sia salito a 27,6 miliardi. Dove il governo intendere prendere questi soldi?
Uno degli interventi sicuramente allo studio è quello sulle pensioni. Con il dimezzamento delle "finestre" di uscita per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia nel 2011 l’esecutivo conta di recuperare 1,6 miliardi all’anno.
Dimezzamento delle "finestre" di uscita per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia nel 2011. E’ questa la soluzione tecnica allo studio del governo per recuperare ogni anno 1,6 miliardi. A confermarlo, indirettamente, è lo stesso Brunetta: «Il ritardo di qualche mese per chi aveva deciso di andare in pensione, è un sacrificio? Chiamiamola piccola iattura, ma non mi sembra una cosa insopportabile di fronte a tutto quello che sta succedendo in Europa e in giro per il mondo», ha dichiarato il ministro in una intervista. Il risultato è che molti di coloro che hanno maturato i requisiti nel 2010
dovranno attendere almeno sei mesi in più prima di poter accedere a quello che è un loro diritto.
Confermata anche la stretta sulle pensioni di invalidità civile. E’ prevista infatti l’introduzione di soglie di reddito per poter usufruire anche dell’indennità di accompagnamento.
Altri risparmi potrebbero venire dalla trasformazione dei Monopòli in agenzia e da una sorta di sanatoria edilizia, che consisterebbe nella regolarizzazione a favore dei Comuni, di circa due milioni di immobili censiti dall’Agenzia del Territorio ma non a posto sul piano catastale.
Insomma, quella che si prospetta è una manovra piena di misure antipopolari, una pillola amara che alcuni esponenti del governo, come il ministro leghista Roberto Calderoli pretenderebbero di far ingoiare agli italiani mettendo sul piatto della bilancia il ridicolo taglio del 5% degli stipendi dei parlamentari.
Il governo dovrà fare i conti con la mobilitazione dei sindacati. Unione Sindacale di Base (Rdb e Sdl) e Cobas
saranno in piazza il 5 giugno a Roma contro la «finanziaria-massacro» e per dire no «ai licenziamenti, all’attacco alla spesa sociale e ai lavoratori pubblici» e «all’attacco al diritto di sciopero, ai diritti sindacali e del lavoro, ai contratti, alle pensioni, ai beni comuni».
Il segretario generale della Fiom, Gianni Rinaldini, suona la sveglia alla Cgil. Secondo Rinaldini, alla luce dell’attacco in corso, Corso Italia non deve limitarsi «ad avanzare proposte a Cisl e Uil» ma deve riunire i propri organismi dirigenti per promuovere «l’avvio di una mobilitazione di massa dei lavoratori e dei pensionati nei luoghi di lavoro e nei territori fino ad arrivare allo sciopero generale».
Richiesta sostenuta, sul versante politico, da Paolo Ferrero, portavoce della Federazione della Sinistra: «Chiediamo anche al sindacato, e in particolare alla Cgil, di attrezzarsi per indire sin da ora forme di mobilitazione e di lotta contro questa manovra, fino allo sciopero
generale».
Piano contro il lavoro
I l governo italiano si appresta a varare un piano "anticrisi" - così è ipocritamente definito - intorno ai 30 miliardi di euro. Basta un esame sommario dei provvedimenti in gestazione per comprenderne il carattere violentemente antipopolare, destinato a compromettere ulteriormente il reddito dei lavoratori italiani e una domanda già stagnante. Negli anni novanta le manovre di contenimento della spesa sociale venivano varate nel nome della costruzione europea. Ora vengono rieditate nel nome della lotta alla speculazione. C’è sempre un "vincolo" esterno che viene evocato per infliggere nuovi colpi a ciò che resta del welfare e per peggiorare la ripartizione del reddito già pesantemente sperequata a sfavore del lavoro e a vantaggio del profitto e della rendita. C’è qualcosa di odiosamente paradossale in tutto questo: nell’ultimo decennio del secolo scorso, le manovre "lacrime e sangue"
venivano giustificate spiegando che esse avrebbero rappresentato un investimento sul futuro di ognuno, un futuro radioso che solo il neoliberismo avrebbe potuto garantire. Oggi, l’imposizione dei sacrifici è il risultato del fallimento di quel liberismo medesimo del quale si prova a rabberciare la coperta sdrucita. Come? Facendone pagare il conto alle popolazioni e, in particolare, ai lavoratori a reddito fisso. Gli untori si trasformano in terapeuti. Ma somigliano, sempre più, alla volpe e al gatto della favola di Collodi. Le sole invenzioni escogitate dal governo di questi manigoldi sono un nuovo ritardo sull’uscita verso la pensione di chi ne ha già maturato i rerquisiti, il ritardo nella corresponsione delle liquidazioni, la sospensione delle erogazioni salariali frutto della contrattazione collettiva, il rinvio dei rinnovi contrattuali del pubblico impiego, il blocco del turn over nello Stato. Tutto per fare cassa. E poiché non c’è ritegno, persino il ricorso ad un nuovo condono edilizio figura fra le ipotesi in campo. Rimarrebbe deluso chi cercasse di scovare, fra le misure emergenziali, un solo brandello di equità. Per esempio, un prelievo sui grandi patrimoni, sulle grandi ricchezze; o una tassazione sulle rendite finanziarie. O ancora, in chiave di riduzione della spesa, un taglio delle spese militari in crescita continua, il ritiro del contingente italiano in Afghanistan; una sforbiciata sugli sprechi - quelli reali - che ammorbano la pubblica amministrazione (si pensi al fatto che il parco di "autoblu" in dotazione alla politica è in Italia di dieci superiore a quello degli Stati Uniti); la ricostruzione di una rete sanitaria pubblica, devastata dagli accreditamenti ai privati, che hanno fatto lievitare i costi e peggiorare la qualità del servizio ai cittadini. Questo e molto altro ancora è del tutto estraneo alla cultura di governo, da oltre venti anni a questa parte.
Mentre ora Berlusconi chiama ai sacrifici a senso unico per fronteggiare
l’emergenza (ma la crisi non era alle spalle e chi si attardava a parlarne con preoccupazione un mestatore?), il Pd lancia la proposta di nuove formule governative per gestire consensualmente la medesima stretta monetarista, come ognuno può vedere, persino più rigida di quella che a Maastricht ha segnato la distruzione dello stato sociale e il declino dell’Europa. E’ indispensabile, ora, subito, una risposta sociale cui sono chiamati i sindacati a sostegno di una proposta di misure alternative alla cui formulazione proveremo anche noi a dare un contributo.  Dino Greco
Non si esce dalla crisi riducendo ulteriormente i redditi e la domanda
-Continuare a penalizzare la domanda più strutturata, che è quella sostenuta dai redditi, è un modo per riproporre la instabilità del sistema economico. In questo modo le cause della crisi non solo non vengono rimosse, ma ampliate. Il che porta a essere pessimisti sulla possibilità di
uscita in maniera progressiva e positiva da questa crisi-. E’ molto severo il giudizio di Felice Roberto Pizzuti, docente di Politica Economica all’Università di Roma "La Sapienza", sulle politiche di rigore nei bilanci pubblici richieste dall’Europa ai paesi membri per evitare il ripetersi di casi come quelle della Grecia. Politiche che anche in Italia rischiano di tradursi in tagli alle pensioni e agli stipendi dei lavoratori pubblici, come si evince dalle anticipazioni sulla manovra correttiva da 25 miliardi che il ministro dell’Economia Giulio Tremonti dovrà presentare nei prossimi giorni.
Professor Pizzuti, ma non ci avevano detto che la crisi era finita?
Il paradosso è che lo si diceva mentre aumentavano i disoccupati e i tassi di crescita stagnavano. Ora la cosiddetta "tragedia greca" ha fatto emergere un nuovo problema, riversandosi sul fronte dell’Euro e sullo stesso progetto di unificazione europea. Si è anche detto che quanto accade è per colpa di
politici lassisti, in questo caso greci, che hanno falsificato i conti. Questo modo di presentare le cose è, a mio avviso, un po’ parziale. Una delle motivazioni forti per cui si interviene è perché il debito pubblico greco per oltre la metà è detenuto da banche private, le quali in presenza dell’insolvenza del governo greco andrebbero in contro a seri problemi. Anche stavolta l’obiettivo era evitare l’estensione del default alle banche e al sistema bancario. La novità è che si è chiesto alla banca centrale di derogare dall’ortodossia monetarista, che vieta alle banche centrali di acquistare titoli del debito pubblico per finanziare le spese dei vari governi.
Comunque sia, la questione greca andava affrontata, non si poteva certo far finta che non esistesse.
Il problema è che si continua a far pagare gli stessi. Alla crisi originata nel 2008 da regole che avevano penalizzato i lavoratori, perche le loro dinamiche salariali si sono ridotte, adesso si risponde con
strumenti che ancora una volta penalizzano quegli stessi che erano già stati penalizzati. Ed ecco che, per venire all’Italia, il governo prevede la riduzione delle spese ovviamente dove è più facile attingere. A partire dai tagli alle finestre per quanto riguarda le pensioni - basti dire che con il dimezzamento delle finestre di uscita il governo punta a recuperare 1,6 miliardi - per proseguire con gli stipendi dei dipendenti pubblici, che verrebbero sospesi (si parla di congelamento degli scatti). L’altro versante è l’aumento delle entrate nel modo che, dal punto di vista del pensiero dominante, è più indolore, vale a dire con condoni fiscali e immobiliari che, per chi ne beneficia, rappresentano - più che un onere - un premio.
Il ministro Brunetta però minimizza. A suo dire andare in pensione più tardi di qualche mese non è un grande sacrificio, vista la situazione.
Questa più che altro è una sciocchezza. Se a una persona gli dici che va in pensione sei mesi
dopo, è vero che risparmi la spesa per quella pensione, ma non risparmi dal punto di vista del costo del lavoro. Un anziano costa più di un giovane ed è meno produttivo. Inoltre ogni prolungamento di lavoratori anziani in attività significa inevitabilmente ridurre il numero dei giovani che possono prenderne il posto. Quindi oltre allo scarso rispetto per le scelte personali di chi, dopo avere lavorato tutta una vita, ha il diritto di godersi il meritato riposo, credo che anche dal punto di vista economico mandare la gente in pensione più tardi non sia un grosso vantaggio, specialmente nel medio-lungo periodo in termini di produttività.
E invece cosa si dovrebbe fare? Chi dovrebbe pagare?
Il problema è che se contemporaneamente non si crea un nuovo meccanismo di crescita che si regge su basi più stabili, sicure e durature, se il Pil non cresce, qualsiasi riaggiustamento è molto più doloroso.
Forse si confida sul fatto che, nel complesso, economia
europea e mondiale pare si siano rimesse in marcia.
Una scommessa del genere dovrebbe basarsi su meccanismi che aiutano questa ripresa. Siccome adesso tutti i governi faranno finanziarie che riducono ulteriormente i redditi e la domanda, la teoria economica ci dice che questo contribuirà negativamente alla crescita del Pil. Per cui mi aspetto che nei prossimi mesi Fmi e Ocse rivedano al ribasso le stime di crescita del Pil.
Quindi cosa si dovrebbe fare?
In primo luogo osservo che nel 2009 i bilanci di tutti gli istituti finanziari sono tornati in forte attivo. Vuol dire che esiste un settore dell’economia, che è quello finanziario, che continua a fare profitti essenzialmente sulla speculazione. Probabilmente bisognerebbe colpire un po’ di più quei patrimoni e quelle attività. A questo proposito la Tobin tax può essere utilizzata per ridurre i proventi da speculazione o perlomeno tassarli in modo tale che da quelle speculazioni escano fuori pure
finanziamenti per la collettività. Roberto Farneti