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Violenza sulle donne un contesto allarmante |
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Pullo M. Rosaria
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Nel 1982 l’Onu riconosceva la violenza contro le donne come violazione di un diritto umano e, con la raccomandazione n. 12, nel 1989 chiamava gli Stati ad adottare misure di prevenzione e contrasto a questo tipo di violenza. In seguito numerose conferenze mondiali sui Diritti Umani, da quella di Vienna a quella di Pechino, hanno visto un gran numero di donne, provenienti da ogni parte del pianeta collaborare attivamente per spingere gli Stati a contrastare ogni forma di violenza contro le donne. Nelle enunciazioni delle motivazioni della Legge Organica sulle Misure di Protezione contro la violenza , si afferma con forza che -la violenza di genere non è un problema che riguarda la sfera privata. Al contrario essa rappresenta il simbolo più brutale dell’ineguaglianza esistente nella nostra società. Si tratta di una violenza che si rivolge contro le donne per il fatto stesso d’essere tali, per essere considerate dai loro aggressori carenti dei diritti minimi di libertà, rispetto e capacità decisionale-. Statistiche Ue, basate su analisi di dati inerenti ai reati commessi negli Stati membri, evidenziano che la violenza rappresenta una tra le principali cause di morte e invalidità delle donne nella fascia di età tra i 16 e i 50 anni a prescindere dalla condizione sociale, economica e culturale. Ricerche sul campo e testimonianze evidenziano inoltre quanti e quali siano i rischi per la salute delle donne: danni a livello fisico, disturbi psicologici, difficoltà relazionali, invalidità, danni alla salute riproduttiva e non ultima la morte per mano altrui o per suicidio. In questo contesto allarmante, come è intervenuto lo Stato italiano? Per far comprendere il ritardo culturale, politico e legislativo, basti ricordare che nel nostro Paese sino al 1996 i reati sessuali contro le donne erano considerati dal codice penale "Delitti contro la moralità e il buon costume", ed è solo con l’entrata in vigore della legge n. 66/1996 che i crimini sessuali vengono riconosciuti come delitti contro la libertà della singola persona. Questo grande ritardo culturale si ripercuote nella percezione collettiva della donna vittima di violenza come ulteriore elemento di discriminazione, fino all’invisibilità della violenza se riferita al microcosmo domestico e privato e si aggiunge al già scarso riconoscimento sociale e giuridico della violenza sulle donne perpetrata negli ambienti del lavoro e della vita pubblica in Italia. Nel 2001 la legge costituzionale n. 3/2001 che modifica l’art. 117 comma 7 della nostra Carta costituzionale attribuisce alle leggi regionali il compito di rimuovere -… ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica...- Le leggi regionali hanno dunque il compito di integrare una legislazione nazionale che in merito alla violenza di genere, pur fornendo qualche strumento di contrasto in alcuni ambiti precisi, non ha mai raggiunto completezza ed esaustività. Va comunque segnalato un piccolo passo avanti per i diritti delle donne: all’interno del DL n. 11 del 23.2.2009, è stato finalmente riconosciuto il reato di "stalking". Negli anni, alcune Regioni e Province hanno legiferato sulla violenza di genere. In particolare sull’istituzione di Case delle Donne, Centri antiviolenza e/o Case rifugio. In questo contesto nazionale non esaltante, ma confortate dall’esperienza, un piccolo gruppo di donne ha deciso di incontrarsi, discutere di tali questioni e attivarsi concretamente per dare una risposta a quella che è una situazione di fortissima vulnerabilità delle donne. Esse hanno dato vita, ad un movimento di coscienza su queste tematiche, alla presentazione di proposte di legge regionali per l’istituzione di centri anti-violenza con case segrete, ha portato all’attenzione dell’opinione pubblica . La scelta della proposta di iniziativa popolare non è stata affatto casuale: al contrario si voleva presentare una proposta che fosse fortemente condivisa e voluta dalle donne per prime. Gli articoli della legge, prevedono l’istituzione in ogni provincia di un centro anti-violenza, che a sua volta dovrebbe farsi carico di trovare e gestire case segrete di prima accoglienza e altre di supporto nel lungo periodo per agevolare l’autonomia della donna maltrattata. Le funzioni dei centri, come riportato nell’articolo 4 della legge, sono: offrire accoglienza ed ospitalità temporanea alle donne sole e con figli e figlie (senza distinzione di età o etnia, orientamento sessuale, handicap, cultura, religione, status giuridico e cittadinanza), garantire un sostegno pratico e un aiuto per tutte le problematiche da affrontare nelle situazioni in oggetto, attivarsi affinché sia facilitato il reinserimento nella società e nel mondo del lavoro, prevedere forme di sensibilizzazione dell’opinione pubblica e promuovere indagini sulle caratteristiche della violenza finalizzate all’individuazione di strategie di prevenzione dei comportamenti violenti, promuovere ricerche conoscitive e raccolta di dati statistici, proporre progetti di formazione permanente per coloro che operano nelle strutture. Le associazioni di donne di tutto il territorio, alle istituzioni, ai sindacati e rappresentanti di tutta la società civile, hanno potuto finalmente assistere alla discussione della proposta di legge ed alla sua approvazione. La legge per l’istituzione di Centri diventa quindi non solo un’istanza di principio, ma un’affermazione in termini concreti e visibili della volontà politica culturale e sociale che riconosce nella violenza contro le donne un reato e una violazione dei diritti della persona umana. |
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