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I sacrifici per salvare l’Italia fanno sparire l’agenda politica
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Pensioni, il governo pensa a un solo salto nel gennaio 2012 Un salto unico nel gennaio del 2012 per alzare a 65 anni l’età delle donne nel pubblico impiego, equiparandola così a quella degli uomini. Sarebbe questa, secondo quanto riferiscono fonti della maggioranza, la strada «più probabile» che il governo si appresta a percorrere per adeguarsi alle richieste dell’Europa. Si tratterebbe infatti, spiegano le stesse fonti, «dell’ipotesi meno punitiva» perché consentirebbe da qui al 2012, a chi ha 61 anni, di maturare i requisiti per uscire, ovviamente aspettando poi un anno a causa della finestra mobile prevista dalla manovra varata dal governo. L’altra ipotesi sul tavolo è quella di un passaggio graduale in due stadi, con l’innalzamento di due anni nel gennaio 2011 e di altri due anni nel gennaio 2012. In questo caso però, un lavoratore che ha 61 o 62 non maturerebbe più il diritto a uscire come nel caso precedente. Comunque sia, il veicolo che si pensa di usare per introdurre l’equiparazione è quello di un emendamento alla manovra economica. Una misura ad hoc per accelerare i tempi di adeguamento era già stata ipotizzata nella stessa manovra e poi stralciata: si trattava di partire con un avanzamento di un anno ogni 18 mesi anziché ogni 24 come previsto dalle attuali norme. «Noi pensiamo che l’innalzamento dell’effettiva età pensionabile complessiva è una strada che va percorsa». Lo ha affermato il presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia: «Non è solo una questione di conti ma c’è anche un problema di giustizia intergenerazionale. È una strada che non possiamo non percorrere perché se no i giovani andranno in pensione con importi bassissimi». «Si profila una cosa mai vista, un salto brutale di cinque anni che ci viene imposto dall’Europa, una cosa del tutto iniqua per le donne che si troveranno in quella fascia». Lo ha sottolineato il segretario generale della Cgil, Guglielmo Epifani: «Le novita sul fronte delle pensioni - ha spiegato Epifani - costituiscono un aggravamento del quadro tanto per i lavoratori pubblici che per i lavoratori privati e gli autonomi; a questo si aggiunge l’intervento Ue sulla parità fra donne e uomini nel pubblico». Secondo il leader della Cgil, «il governo ha fatto così un capolavoro: ha varato provvedimenti-spot per fare cassa, ora deve subire la decisione Ue e tutto questo senza mai intervenire sul problema vero del sistema pensionistico italiano e cioè sulla prospettiva previdenziale dei giovani e a favore di un principio di equità intergenerazionale». L’Inps ha i conti in attivo, eppure a pagare la crisi saranno le donne e gli invalidi La campagna sulla necessità di sacrifici per salvare l’Italia dal baratro ha fatto sparire dall’agenda politica l’urgenza di aumentare gli importi delle pensioni. Anche l’opposizione parlamentare ed i sindacati si sono dimenticati di quel milione di anziani che nell’ultimo anno sono precipitati sotto la soglia della povertà. Sono più di 20 anni che le pensioni non vengono aumentate e scontano nell’ultimo decennio una perdita del loro potere d’acquisto superiore al 30% in quanto la rivalutazione annuale non è legata agli andamenti salariali ed il paniere dei prodotti, presi a base per la rivalutazione, copre solo in parte l’aumento dei prezzi. E’ noto che i livelli pensionistici dell’Italia sono tra i più bassi d’Europa e per di più gravati, unico paese al mondo, da pesanti ritenute fiscali. E’ noto a tutti che l’anziano, rispetto alla restante popolazione, è più fragile per l’ovvio logoramento psico-fisico tant’è che sono più di un milione i non autosufficienti. I tagli dei trasferimenti agli enti locali (comuni-province-regioni) si trasformeranno in riduzione dei servizi alla persona a cominciare dall’assistenza domiciliare, dai posti letto nelle residenze protette, dai sostegni economici, dagli aiuti per l’affitto, i trasporti, e sarà minore la prevenzione e la riabilitazione: i dipendenti pubblici ed i pensionati sono i più colpiti dalla manovra. La manovra aumenta l’età per il diritto alla pensione accelerando i tempi di raggiungimento del requisito dei 65 anni per le dipendenti pubbliche e chiudendo alcune finestre per i dipendenti privati ed i lavoratori autonomi: l’età per il diritto alla pensione di vecchiaia passa di fatto da 60 a 61 anni per le donne e da 65 a 66 per gli uomini e tutto ciò avviene senza che nemmeno si apra una trattativa con i sindacati. Qualche settimana fa l’Inps ha comunicato, come avviene da diversi anni, che il bilancio d’esercizio del 2009 è in attivo di 7 miliardi e 900 milioni e questo attivo sarebbe ben superiore se, all’interno del sistema, non vi fosse un deficit di 3-4 miliardi del fondo dei dirigenti d’azienda e di 9.400 milioni dei fondi artigiani, commercianti, coltivatori diretti e clero. Tale deficit è coperto dagli avanzi del fondo lavoratori dipendenti, dei precari, delle prestazioni temporanee. Quei 7 miliardi e 900 milioni di avanzo ed il miliardo e 500 milioni dell’Inail finiscono, come quelli degli anni precedenti, nel Bilancio dello Stato anche se i lavoratori li hanno versati per le pensioni. Siamo al paradosso: precari e lavoratori dipendenti finanziano il bilancio dello Stato e fanno esclamare a Tremonti: "Se non ci fosse l’Inps…". In Italia vengono erogate 2 milioni e 394 mila indennità di invalidità (250 euro al mese e solo se si è praticamente privi di altro reddito). Fanno parte di questo mondo i ciechi, i sordomuti, i portatori di Handicap, i malati mentali… Queste persone saranno chiamate ad un controllo medico in quanto, secondo Tremonti, insieme agli evasori fiscali, sarebbero la causa del crescente debito pubblico. Cristianamente, su questo popolo sofferente si è gettato discredito, quasi fossero dei ladri e dei parassiti, sbattendo a questo fine in prima pagina un cieco che guidava un auto, un sordo che cantava, uno zoppo che ballava. Nessuno nega che vi siano falsi invalidi, ma l’obbiettivo vero è che vogliono togliere i 250 euro al mese al numero più alto di invalidi. Infatti l’assegno fino ad oggi veniva riconosciuto a chi soffriva di un’invalidità pari al 76%, con le nuove norme l’inabilità deve superare l’85%: cioè respirare o poco meno. Ma che legame c’è fra la caccia al falso invalido ed il cambiamento dei requisiti per il diritto se non quello di far cassa? Con la manovra hanno aumentato l’età per il diritto alla pensione, peggiorato il requisito sanitario per l’indennità per l’invalidità civile, rinviato a un tempo indefinito l’aumento delle pensioni, diminuito gli interventi socio-assistenziali…e gli anziani sarebbero stati risparmiati. Il Governatore della Banca d’Italia tanto apprezzato dal Governo e dall’opposizione sostiene che la manovra va bene ma non basta, e quindi sono necessarie più incisive riforme. E quella più urgente è l’aumento dell’età per il diritto alla pensione. Puntuale come un orologio svizzero la solita commissione europea intima di innalzare da subito l’età per le lavoratrici del pubblico impiego e lo fa nel nome della parità uomo-donna. Sante Moretti Il principio di uguaglianza I singhiozzi di Maurizio Sacconi si sono sentiti dappertutto. "Costrettovi" dall’Ue, il ministro del welfare, riconosciuto nume tutelare dei diritti dei lavoratori, ha annunciato con sincera costernazione che all’Italia non rimane strada diversa dal protrarre fino a 65 anni l’età pensionabile delle donne nel settore pubblico. Lo imporrebbe un’inappellabile sentenza della Corte di Giustizia Europea, la cui violazione comporterebbe per il nostro Paese terrificanti sanzioni economiche. L’ineffabile titolare del welfare ha impiegato dunque un nanosecondo per piegarsi alla più che resistibile indicazione europea, interpretata, o piuttosto torta, come dovuta applicazione del principio antidiscriminatorio. Neppure Ponzio Pilato oppose così tiepida resistenza quando si trattò di affidare Cristo ai suoi carnefici. Eppure Sacconi avrebbe potuto farlo: opponendo la grave condizione di disparità che segna la vita materiale delle donne, cui non viene riconosciuto, né retribuito, né coperto da contribuzione il lavoro di cura che pesa, in gran parte, sulle loro spalle. Avrebbe potuto mettere a frutto il richiamo dell’Ue per affrontare il tema del sottosalario di fatto delle persone di sesso femminile, dello scarso tasso di occupazione che ne emargina il ruolo sociale, in conseguenza della cronica carenza di servizi qui da noi surrogata dalla famiglia e, nella famiglia, dalle donne. Avrebbe potuto, in subordine, decidere di destinare i risparmi previsti - immediatamente contabilizzati e messi all’incasso - per rafforzare il sistema di protezione sociale che penalizza le donne e dare un senso al principio di uguaglianza affermato nell’articolo 3 della Costituzione. Ma il ministro non ci ha neppure pensato. Si è semplicemente affrettato a dire che la trattativa (sic) non aveva margini e che, obtorto collo , ci si dovrà rassegnare ad applicare tempestivamente, dal 2012, una misura che egli avrebbe volentieri evitato. Sublime ipocrisia: attribuire all’Europa il lavoro sporco e impresentabile di cui il governo italiano non ha avuto il coraggio di assumere la paternità. La porcheria non finisce qui. Sacconi ( excusatio non petita... ) si affretta a rassicurare i privati, rassicurandoli che le pensioni Inps non subiranno analogo trattamento. Non c’è chi non veda come lo stesso principio di uguaglianza, oggi fraudolentemente invocato per bastonare le lavoratrici del settore pubblico, domani sarà brandito come una clava per parificare, sempre in pejus , i trattamenti fra pubblico e privato. Ma c’è di più. P erché il troppo trascurato regolamento Sacconi-Tremonti, quello che consentirà di elevare automaticamente l’età pensionabile in relazione al protrarsi dell’attesa di vita, punta ad un ulteriore innalzamento che porterà la pensione di vecchiaia a 70 anni e quella di anzianità a 66. Insomma, la lepre continuerà a correre. In fondo a quel piano inclinato raggiungere il diritto alla pensione (e sappiamo di quale modestissimo importo) sarà un’impresa davvero titanica per i giovani. Con tanti auguri per quelli - e solo quelli - che iniziando a lavorare molto presto saranno forse in condizione, prima o poi di tagliare il traguardo. Mentre tutti gli altri, coloro che si arrabbattano nei bassifondi dei mille lavori precari generati dalla devastazione del mercato del lavoro e che in quell’orrendo labirinto resteranno imbrigliati, non sanno più neppure di cosa si parli. Ma tutto torna e concorre a formare un’atmosfera socialmente spettrale in questa fase politica in cui i nodi giungono contemporaneamente al pettine. Ierilaltro, la nostra più grande impresa manifatturiera, la Fiat, ha minacciato di chiudere l’impianto di Pomigliano d’Arco e lasciare a Tychy, in Polonia, la produzione della Panda se i lavoratori e il solo pezzo di sindacato che è loro rimasto non accetteranno di manomettere il contratto nazionale e le leggi sul lavoro, se non rinunceranno a conquiste normative consolidate, se non si acconcerano a subire il peggioramento delle loro condizioni di lavoro, se non si piegheranno a vedere conculcato e represso il diritto di sciopero, trasformato da diritto costituzionale a mancanza disciplinare sanzionabile con il licenziamento. Del resto, quando Emma Marcegaglia, afferrando il sacco per la cima, si spinge sino a dire che chi sciopera oggi è antitaliano, non fa che mettere in chiaro lo spirito dei tempi e l’intenzione manifesta dei padroni e del loro personale politico impregnato di cultura liberista di usare la crisi come l’occasione più propizia per chiudere definitivamente i conti con ciò che resta di quello che fu il più combattivo movimento operaio dell’occidente, relegando fra le ferraglie le più promettenti intuizioni costituzionali. Non è un paradosso e non vi è nulla di incomprensibile in ciò che accade: quando il tessuto sociale si frantuma e le forze portatrici di una potenziale alternativa non ci sono o languono, la scorciatoia a portata di mano, l’atto apparentemente più realistico, può sembrare quello di una chiusura nel proprio guscio, alla ricerca di soluzioni private, individuali, chiunque ed in qualunque modo sia in grado di offrirtele. Accade così che si spezzino le reti di solidarietà. Fra i lavoratori di diversi Paesi (i polacchi hanno già comunicato che saranno felici di adeguarsi alle condizioni volute dalla Fiat, se mai gli italiani le rifiutassero), non meno che fra lavoratori che vivono in condizioni di prossimità, nello stesso Paese, nella stessa città, nella stessa azienda. E’ difficile persuadere che "si salvi chi può" è una pessima soluzione, se lo stato di cose esistenti si presenta con le sembianze dell’inesorabile necessità, se non risulta visibile una proposta che - nelle parti e nell’insieme - renda credibile un’altra via d’uscita. E se, una volta che quel progetto sia delineato, le forze che intendono farsene interpreti e banditrici, non acquistano una massa critica, una capacità di mobilitazione e di rappresentanza che faccia muovere le cose. Non c’è grande spazio, davanti a noi, per mettere a frutto questo cimento che non ha i tempi della riflessione filosofica, ma quelli molto più duri e urgenti della politica, prima che tutti i giochi siano fatti: dagli stessi registi, sceneggiatori, attori e comparse dello sfascio a cui assistiamo. Dino Greco |
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