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Ci sono le notizie - Confindustria plaude la manovra del governo Berlusconi - e ci sono i retroscena, le indiscrezioni dal buco della serratura, i gossip, le mezze frasi strappate al politico di turno. Terreno scivoloso, viscido, traditore. C’è chi dice che Giulio Tremonti avrebbe imposto il maxi provvedimento a Silvio Berlusconi per poi andare con animo più leggero al summit europeo dei ministri economici. C’è chi invece sostiene che il Cavaliere abbia quasi imposto la manovra da 25 miliardi di euro per poi accreditarsi come l’uomo della provvidenza, in grado di salvare l’Italia dal fare la fine della Grecia. Di sicuro ad annunciare con voce grave - e con due anni di ritardo - che la crisi c’è è stato Gianni Letta («i sacrifici sono necessari»), autorevole consigliere e braccio destro del premier. Quando si passa dalla dimensione del "si dice" a quella dell’ "hanno detto", le nubi non si diradano, i dubbi restano, si continua a non capire di chi sia la paternità politica della manovra. Nel caso specifico Tremonti e Berlusconi sostengono due verità opposte. Durante una conferenza stampa a palazzo Chigi, il primo ha scaricato la responsabilità di tagli agli enti locali, condoni assortiti e blocchi degli stipendi nel settore pubblico sul premier. «Non può non esserci la sua mano su un provvedimento di così ampia portata». Il secondo approfitta della conferenza stampa parigina dell’Ocse per rendergli pan per focaccia. Re Silvio evoca i diari di Benito Mussolini - «che ho letto qualche giorno fa», precisa - per poi sostenere: «Non ho nessun potere, magari lo avevo da imprenditore, ma oggi non ce l’ho». E ancora: «Cito una frase di colui che era considerato come un grande dittatore: "dicono che ho potere, ma io non ho nessun potere, forse ce l’hanno i gerarchi, ma non io. Io posso solo decidere se far andare il mio cavallo a destra o a sinistra"». Il transfert è presto fatto: «Lo stesso succede a me, tanto che tutti hanno il diritto sia di criticarmi che di insultarmi...». Mascella volitiva, il presidente del Consiglio arringa i primi ministri dei paesi più industrializzati del pianeta. La nave Italia va, sentenzia. E se qualcosa non va per il verso giusto, non è certo colpa di Silvio Berlusconi. Tutta colpa degli altri, mai del Cavalier che sostiene di non var alcun potere. Come Mussolini. Retroscena, mezze frasi, vere e proprie dichiarazioni, ci sono anche le notizie messe in giro ad arte, gli equivoci, le stranezze. A giudicare dai fatti sembra addirittura che alcuni capitoli della manovra siano stati scritti con l’inchiostro simpatico. Prima c’erano, ora non ci sono più, magari domani torneranno a comparire. Il caso dell’abolizione delle piccole province - quelle con meno di 220mila abitanti - è emblematico. Ora si devono eliminare, un attimo dopo non si devono, non si possono eliminare. Ora restano, ora se ne vanno, come le luci intermittenti di un albero di Natale. Berlusconi dal vertice Ocse mete le mani avanti: «Mai detto che le province più piccole andavano abolite». Già, l’hanno detto gli altri perché lui non ha potere. «La manovra non prevede tagli di province», assicura da parte sua il presidente dell’Upi - Unione province italiane - Giuseppe Castiglione. La notizia viene data durante una conferenza stampa dell’associazione. Castiglione racconta di una telefonata con il sottosegretario Gianni Letta e con Berlusconi. L’abolizione di dieci piccole province resta così avvolta nel mistero. Nel mentre i primi e più convinti nel chiedere un azzeramento totale delle province - tutte - sono i finiani, che con una lettera aperta pubblicata su "Il Secolo", hanno chiamato in causa direttamente Tremonti. Ques’ultimo ha ricordato che per l’abolizione delle province «occorre modificare la Costituzione». Una rassicurazione, rafforzata anche dal presidente del Consiglio, presa con sollievo soprattutto dal leader della Lega, Umberto Bossi che un po’ scherzando un po’ no ha voluto puntualizzare anche con i giornalisti che su questo tipo di tagli «ci fermiamo qui» perché «andare oltre sarà difficile. Del resto - ha aggiunto - se uno prova a tagliare la provincia di Bergamo, scoppia la guerra civile...». Mezza Italia è pronta a scendere in piazza, la manovra da 25 miliardi di euro è attesa all’esame del Parlamento. La Regione toscana ha già annunciato il ricorso alla corte costituzionale per il condono edilizio, protestano perfino le regioni azzurre, denunciando «tagli insostenibili» in settori di competenza locale come la sanità, i trasporti. I Comuni chiedono una «rimodulazione del patto di stabilità». «Si torni alle cifre illustrate in precedenza, e si chieda a tutti il pareggio di bilancio», dice Sergio Chiamparino. Le opposizioni parlamentari promettono lotta dura senza paura e chiedono al governo di non porre l’ennesima fiducia. Berlusconi dice di non aver alcun potere, chissà chi deciderà il piccolo ma non trascurabile particolare del voto di fiducia.
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