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Prove di dialogo palestinese |
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Francesca Marretta
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Ancora morti nelle acque di Gaza, teatro ieri di violenze, ma anche di nuove iniziative diplomatiche. Alle prime luci dell’alba i commando israeliani hanno intercettato un natante su cui viaggiavano "uomini rana" palestinesi appartenenti alle Brigate Martiri di Al-Aqsa, braccio armato di Fatah. Secondo fonti arabe, quattro palestinesi sono stati uccisi, mentre compivano esercitazioni in mare. Per lo Stato ebraico, tentavano di portare a termine un attentato su suolo israeliano. Anche il nord di Gaza (Jabalya ed Eretz), è stato colpito dal fuoco israeliano che ha ferito due palestinesi. Nella stessa giornata, l’ufficio politico di Hamas ha inviato un chiaro messaggio di apertura all’Europa: Siamo pronti a «rafforzare e sviluppare» relazioni politiche ufficiali con i Paesi europei, «senza riserve né impedimenti ad allacciare rapporti con gli altri Stati, ad eccezione di Israele». Hamas ha ribadito la propria natura «nazionalista», rivelando, a tale proposito, che «molti responsabili europei» avrebbero ammesso che l’inserimento di Hamas nella lista del terrorismo sarebbe «stato un errore». Il movimento islamico spera che, a differenza di quanto accaduto dopo le elezioni del 2006, l’Europa prenda una strada autonoma rispetto agli Stati Uniti e si faccia portavoce della necessità di instaurare un dialogo. Se quattro anni fa, quando Hamas vinse a sorpresa le elezioni, l’Amminisrazione Usa era guidata da Bush, oggi, pur non avendo finora esercitato una pressione significativa su Israele in termini di risultati, Barack Hussein Obama, ha provato a imprimere una svolta nelle relazioni col mondo arabo-islamico. Nel 2006 il movimento islamico, salito al potere in maniera legittima, si è visto sbattere la porta in faccia dall’occidente. Trattemento riservato di fatto anche ai palestinesi recatisi al voto per agognate elezioni democratiche. Il resto è storia. L’embargo, il rapimento Shalit, il sopravvento di Hamas a Gaza nella lotta fratricida con Fatah, "Piombo Fuso". Conseguenza ultima di quella scomoda vittoria elettorale è quel blocco a Gaza alla base dell’attuale crisi internazionale che vede Israele nell’occhio del ciclone. Il 2006 è stato anche l’anno della guerra tra Israele ed Hezbollah. Decisa, come Piombo Fuso, da un governo israeliano più moderato di quello attualmente al potere. In questo scenario, un acuirsi dell’attuale crisi, potrebbe presentare esiti imprevedibili. Se l’arrivo dei navi della Mezzaluna rossa iraniana, annunciato ieri da Teheran «entro la settimana», non pare credibile a meno di circumnavigare il globo (è improbabile che l’Egitto ne consenta il passaggio per il canale di Suez), dal Libano arrivano notizie su una possibile sfida diretta del Premier Turco Erdogan (discussa col Presidente siriano Assad) a Bibi Netanyahu. Erdogan, che insiste per l’apertura di un’inchiesta indipendente sui fatti della Freedom Flottilla, potrebbe imbarcarsi su una nuova spedizione per rompere il blocco. Il General Maggiore isrealiano Uzi Dayan, ha dichiarato alla radio militare, che se si profilasse uno scenario del genere, Israele si trovarebbe di fronte a una dichiarazione di guerra, con le conseguenze del caso. Parole forti, che risuonano mentre nel governo israeliano si discute ancora sull’opportunità di concedere o meno l’inchiesta su quanto avvenuto nelle acque internazionali al largo di Gaza. Nella Striscia aperta in queste ore sul confine egiziano, si attende la visita del segretario della Lega Araba Amr Moussa. Va notato che nell’ambito dell’organizzazione i palestinesi sono rappresentati dall’Olp, di cui Hamas non fa parte. Nonostante quella di Moussa sia una missione di "solidarietà" verso il popolo di Gaza, la faccenda assume dunque rilievo politico notevole per Hamas. Tant’è vero che, nel definire la decisione di Moussa «positiva», il portavoce del movimento islamico al potere e Gaza, Sami Abu Zuhri, non si è trattenuto dall’aggiungere: «Avremmo voluto fosse stata presa molto tempo fa». In questo contesto riappaiono all’orizzonte prospettive di dialogo tra il movimento islamico e l’Anp. A questo scopo il Presidente Abbas dovrebbe inviare una delegazione nella Striscia. Per il Raìs di Ramallah, come per la Casa Bianca, è essenziale che si arrivi a nuove elezioni nei Territori Palestinesi. Cosa impossibile senza accordo con Hamas, a meno di tenerle solo in West Bank. Il candidato presidenziale palestinese di Europa e Casa Bianca in caso di voto, sarebbe l’attuale Premier Fayyad. Ma è chiaro che Hamas venda cara la pelle, nella prospettiva di vedersi scalzato dal potere a Gaza. Considerato anche il giro di vite imposto ai "suoi" in West Bank. Di fronte a un riconoscimento politico del movimento islamico da parte di Europa e Stati Uniti, lo scenario però cambia. Sarebbe l’occasione per Hamas per riposizionarsi nella sfera dell’appartenenza regionale sunnita. Magari anche in vista di un cambio di regime in Egitto, dove i Fratelli Musulmani, movimento da cui Hamas si è formato, hanno espresso il loro appoggio ad Al-Baradei alle prossime elezioni, come candidato sfidante del Presidente Mubarak. La partecipazione alle elezioni egiziane dell’ex Capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, passa tuttavia per un cambiamento della costituzione, che impedisce la corsa alle elezioni di candidati non appoggiati da partiti ufficiali. L’attuale governo egiziano, corresponsabile in questi anni della chiusura di Gaza, completerà entro la fine dell’estate una barriera per bloccare i tunnel sotterranei di collegamento con la Striscia.
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