C.CHABROL, NON SOLO -GIALLO-
 







di Antonio NAPOLITANO




Claude Chabrol

Nel giugno scorso, Claude Chabrol ha festeggiato il suo ottantesimo compleanno e la rete TV "Arte" ne ha trasmesso una sostanziosa retrospettiva.
Personalità di spicco fin da quando, giovanissimo, collaborava ai “Cahiers du Cinéma”, Chabrol, nel 1958, otteneva un premio a Locarno per la sua opera prima “Le beau Serge”.
In essa si tratta un caso difficile di amicizia col tentativo di recupero di un giovane alcolista. E’ una vicenda dall’intreccio psicologico riannodato spesso con sottile sagacia.
Il film segna l’avvio ad un’instancabile attività registica talvolta affrettata talvolta approfondita che, comunque, risulterà assai poco affine alla Nouvelle Vague in cui è stata inserita per un mero motivo cronologico.
Nemmeno si può parlare di autore "giallo" (o "noir") dato che Chabrol, nelle cose migliori attinge ad una complessità di situazioni ben diversa dagli schemi dei suddetti generi.
Nel suo secondo film il regista descrive
con voluta ambiguità un gruppo di studenti datisi alla violenza ("I cugini" 1959).
Come talvolta capita, chi pagherà più duramente sarà il più incline alla mitezza.
L’opera ottiene l"Orso d’oro" a Berlino e passerà in Italia con strani tagli e modifiche arbitrarie.
Nello stesso anno "A doppia mandata", con A.Lualdi e J.P.Belmondo, è una commedia di costume con sfumature appena giallognole. Soprattutto è diretta a scrostare la vernice  filistea che ricopre certi modi di vita altoborghesi.
Dopo aver girato qualche mediocre cosa ed alcuni episodi di opere collettive, il "Landru" (1973) segnerà una svolta brillante nello stile del regista, che usa a puntino un protagonista caratterizzato da una mimica perfidamente garbata e particolarmente graffiante .
"Ophélia" (1963) è, invece, la trasposizione in chiave grottesca della tragedia del principe danese. Non sempre la vicenda è tenuta nel giusto equilibrio, ma sono indovinati i toni parodistici che la colorano.

Sulla scia di Hitchcock, è certamente, "Stéphane moglie infedele". Qui vige un’etica biblica, tanto radicale risulterà la vendetta del tradito  al di là di ogni cavillo o scrupolo di coscienza.
Nel 1971, c’è un bel salto in avanti con "Dieci incredibili giorni", anche per la presenza di un cast d’alta classe (O.Welles, M.Piccoli, A.Perkins).
La storia è a base di lettere minatorie e si consuma fino in fondo, lasciando l’impressione di una impossibile catarsi in circostanze tanto diaboliche
Purtroppo, l’attività senza pause viene a detrimento della qualità e non sono pochi i titoli su i quali poter glissare, da "Trappola per un lupo"  a "Rosso nel buio" etc. che si limitano al tradizionale impianto della "detective story".
Di ben altra qualità è "Violette Nozière" (1971) con una trama direttamente dedotta della cronaca di quegli anni
La giovane condannata per aver avvelenato l’odioso patrigno uscirà dal carcere dopo dieci anni, ritrovando una normale
esistenza.
Ben oltre i dati giudiziari, il regista dipinge i molti lati negativi di una società apparentemente tranquilla, e si pone grossi interrogativi sulla presenza del male tra gli uomini.
La Huppert è decisamente all’altezza del personaggio, vittima e carnefice allo stesso tempo, quasi docile marionetta nelle mani del destino.
Un caso di uxoricidio ben occultato è "I fantasmi del cappellaio" (1982). Si affrontano in esso i bravissimi Aznavour e Serrault: le sere che passano nel fumoso caffé hanno la giusta cupezza del brumoso clima paesano. Di frequente i recensori hanno citato Balzac, ma di personale Chabrol ha saputo aggiungere alla "commedia umana" macchie oscure da tragedia moderna.
Cinque anni dopo, "Il grido del gufo" serve all’autore per indagare su quanto di perverso si celi  dietro certo perbenismo esibito in pubblico.
Il testo della Highsmith viene elaborato in modo sapientemente ironico, tra illuminismo e disincanto.
Una digressione rispetto al
suo stile è la pedissequa illustrazione della "Madame Bovary" (1988), ennesima riduzione filmica del capolavoro flaubertiano.
Seguiranno varie opere minori al cui centro è sovente un "Ispettore Lavardin" che solo genericamente si riesce ad apparentare al Maigret di Simenon.
Più complesso ed originale è, invece, la tematica de "Que la bête meurt", in cui la paranoica vendetta di un padre contro un automobilista che gli ha ucciso il figlioletto è ben motivata ed analizzata pur nella sua  complicatezza.
Ugualmente interessante è il ritratto del suadente presentatore TV (Ph.Noiret) che dietro la maschera ha tutti i tratti di una natura cinica e violenta: è il caso di "Volto segreto" del 1996.
Ottimamente riuscito può considerarsi "Il colore della menzogna" del 1999.
Nel 2000, "Grazie  per la cioccolata" è il cinquantesimo film del prolifico regista. Si ritrova in esso una atmosfera in cui affiorano rancori, vecchie faide e perseguitati che sono essi stessi
crudeli persecutori.
Una tematica simile è rintracciabile  ne "Il fiore del male" (2002),  titolo dal sapore baudelairiano ma storia di una famiglia del tragico passato (la lotta fratricida tra parenti petainisti e partigiani nella Francia occupata).
I toni sono qui da acquaforte tra il grigio e il nero e il cesello di Chabrol incide così a fondo che qualcuno si è spinto a citare Buñuel.
"La commedia del potere" (2006) ha naturalmente uno sfondo politico e si riferisce a scandali effettivamente accaduti. 
La donna magistrato che svolge il suo compito implacabilmente verrà avvolta anche essa dalla ragnatela grigia di collusioni ed omertà.
Con sottolineature espressive ma scevre di moralismo, Chabrol tiene in pugno i fili dei vari episodi che si ripresentano anche nelle più consolidate democrazie.
In sordina le note sarcastiche che il regista sparge qua e là dissimulano il commento interiore dell’autore che pare dirsi: "Sono ricchi, potenti, omaggiati
ma non si divertono affatto nè trovano requie!"
E’ del 2008 "La fille coupée en deux" che, a conti fatti, nonostante il titolo appare esulare parecchio dallo stile "mistery". Si racconta infatti, con elegante distacco l’incontro di una libraia con un celebre scrittore. E J.Tulard chiosa, nella sua "Guide des films" (2010) che "la Saignier interpreta alla perfezione il personaggio principale".
Dalla pur sintetica esposizione che si è fatta si riesce a dedurre che non è del tutto fondato parlare di Chabrol come dello Hitchcock francese, dato che il suo retroterra culturale è ben diverso.
La prosa dell’inglese è "matter of fact", empirica e pragmatica, mentre l’assunto  del  "réalisateur" è quello di sezionare ed esporre i risvolti interiori di quanti sono indotti al delitto per una ragione o per l’altra.
Nè egli mira a sorprendere lo spettatore con exploit  o soluzioni inaspettate, pur risultando avvincente e convincente nelle sue cose
migliori.