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Intervista
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Boris Sollazzo
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Daniele Luchetti è un regista speciale. Perché col suo cinema sa coniugare autorialità e vicinanza al pubblico, non riesce ad essere snob e allo stesso tempo neanche grossolano. Un cinema autorial-popolare, che lascia segni e scene indelebili in cinefili e spettatori comuni. Come quel Silvio Orlando che spacca la macchina di lusso alla fine de Il portaborse o la rabbia giovane del "fasciocomunista" Elio Germano in Mio fratello è figlio unico, e ancora quest’ultimo che canta e urla Anima fragile di Vasco Rossi ad un funerale, ne La nostra vita. Un film che è valso all’eccellente interprete quasi trentenne la Palma d’Oro come miglior attore e a Luchetti molti applausi a Cannes. Luchetti dedica a Liberazione qualche minuto prezioso il 25 luglio 2010, giorno del suo cinquantesimo compleanno. Lo fa con la solita gentilezza, simpatia, asciuttezza. La libertà d’espressione è sempre più un’opinione. Dalla censura all’azzeramento o quasi dei finanziamenti pubblici, questo governo cerca in ogni modo di eliminare le voci discordi. Daniele Luchetti come si sente di fronte a tutto questo? Male, ovvio. E’ evidente come stringano la cinghia, il cappio proprio dove si respira più liberamente. Il cinema crea opinione e coscienza così come fanno i giornali, e il fatto che attacchino su entrambi i fronti è il segno evidente che questa è una strategia precisa. Vogliono eliminare, con diversi mezzi, le voci dissidenti ed autorevoli, anche quando hanno pochi lettori o spettatori, l’importante è che abbiano dignità intellettuale e di opinione. Ed è una forma di censura, oltre che un segnale molto preoccupante. Non importa se parliamo di un giornale con 1.000 o 100.000 lettori, o di un film con 1.000 o 100.000 spettatori. Basta che questi stessi abbiano opinioni dolorose, che diano fastidio, che mettano in discussione il pensiero dominante, perché si cerchi di eliminarle. C’è anche una responsabilità della sinistra in tutto questo? Quando avrebbe potuto forse non ha tutelato abbastanza la cultura e l’informazione? Probabilmente la sinistra ha dato per scontata la presenza di intellettuali, giornalisti e registi, che certe voci potessero essere sempre attive, ma c’è una verità semplice, ed è che i finanziamenti pubblici sono essenziali, soprattutto se non si promulga una legge di settore coerente e completa, necessaria alla sopravvivenza di un cinema nazionale o di una stampa libera. Qui ci si affida al mercato, anche se in Italia non esiste. Eppure loro si trincerano dietro al fatto che se il pubblico sceglie merda, quella dobbiamo dargli. D’altronde al cinema troviamo oligopoli (Rai e Medusa) così come nelll’informazione (Gruppo Rcs e L’Espresso). Non certo un mercato libero ed equo. Serve una tutela maggiore delle minoranze? La regolamentazione deve portare alla libertà anche con un costo pagato dallo stato, i contributi alla stampa quotidiana sono sacrosanti, costituiscono un principio che non va mai scavalcato. La libertà di mercato non garantisce la libertà di stampa, non nel nostro paese. E comunque, tornando al campo in cui lavoro, non c’è paese che abbia un cinema libero e forte senza leggi che lo tutelino molto. Penso ai tedeschi, agli inglesi, ai francesi, ai coreani, i loro sono modelli a cui guardiamo spesso per migliorare il nostro. Indipendentemente dalle soluzioni che trovano, questi paesi riconoscono come bene nazionale la cultura, la considerano una garanzia assoluta di libertà. I giornali sono in crisi. "Liberazione" va salvata da un pericolo forte, la chiusura, la fine di una lunga storia di giornalismo, di lotta, di opposizione. Cosa si sente di dire? Lo trovo gravissimo, è così ovvio, almeno per me. Non voglio essere retorico, siamo stati abituati per tanti anni alla rappresentanza di tutte le opinioni politiche e ora ci troviamo con cittadini che, non rappresentati più in parlamento, potrebbero perdere anche la loro "voce". Anzi la nostra, perché un giornale, qualsiasi esso sia, è patrimonio di tutti, non solo di alcuni. Certo, c’è la Rete, ma l’alfabetizzazione informatica è ancora lacunosa in Italia. Può essere un valido aiuto, ma la stampa, il cartaceo, ha un valore simbolico, così come lo ha la sala per il cinema. Sono entrambe ritualità di grande impatto, come la sala da concerto lo è per la musica. E’ un tipo di giornalismo che non può andare perduto. Ti senti di dare qualche consiglio per ripartire con forza, per migliorare? Cosa farebbe Daniele Luchetti se fosse direttore di "Liberazione" per un giorno? Io non voglio restringere il discorso solo a Liberazione. Di sicuro manca a tutta la sinistra, e di conseguenza alla sua stampa, la capacità di scaldare il cuore su temi innovativi, non si può solo rispondere alle cavolate che fa il governo, dobbiamo avere la forza di uscire dalla dialettica opposizione-governo, di proporre temi nuovi. Il dramma è che gli slogan innovativi e comunicativi, anche se pieni di bugie e pregiudizi, vengono solo dalla destra. Vorrei qualcosa di originale e nuovo, un idealismo funzionante. Solo nostro. E che sia comprensibile, lontano dallo scindersi in sottili differenze, qualcosa di fortemente unificante. Liberazione va salvata per questo e perché servono tutte le voci. Farei questo discorso anche per un giornale di destra, non solo per Liberazione, che mi piace. |
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