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Il canto degli uccelli al bazar di Kabul |
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Francesca Marretta
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Far volare gli aquiloni è uno dei passatempi preferiti degli afghani. Un altro sono gli uccelli. Di tutti i tipi. Le colombe da addomestricare per le gare di volo dai tetti, i canarini da tenere in gabbia per ascoltarne il cinguettio, le pernici da tirare fuori dalle gabbie di bambù su cui scommettere nelle mini-arene da combattimento Trent’anni di guerra hanno martoriato il centro storico di Kabul, fino agli anni ’70 adornato da costruzioni tradizionali di fango con grandi finestre di legno. Se ne vedono ancora. Ma gli antiestetici edifici moderni tirati su rapidamente per la ricostruzione, hanno rubato l’anima alla città. Non lontano dal ponte più vecchio sul fiume Kabul, alle spalle della moschea di Pul-e Khisthi, dove le macchine che intasano il traffico della città non possono infilarsi, si torna indietro nel tempo. Qui si rimane imbottigliati procedendo a piedi, al massimo ci si imbatte in qualche bicicletta spinta a mano tra l’ammasso di corpi che riempie il selciato. Ka Faroshi significa letteralmente "strada dei venditori di paglia", ma è il bazaar degli uccelli di Kabul. Uno dei mercati più antichi della capitale afghana. La moltitudine incredibile di volatili costretti in gabbie di legno di diverse dimensioni è al primo impatto intrigante, ma contemporaneamente, quasi angosciante. I colori dei pennuti, il loro cinguettio e odore, che nella calura estiva si mescola a quello del sudore umano, stimolano poderosamente i sensi. La folla di uomini e ragazzi, stretti nella strada su cui si affacciano le botteghe una sull’altra, è off-limits per le donne afghane. Per una straniera, accompagnata da una persona del posto di sesso maschile, la richiesta di scattare la foto-ricordo mette in moto una gara di ospitalità. Qui arrivano, sopratutto di venerdì, uomini provenienti dai villaggi. Sembrano non capacitarsi di cosa possa stare a fare una donna in mezzo a quelle gabbie, ma si adeguano senza alcun problema. Il cinguettio degli uccelli, come la musica, era considerata anti-islamica dai talebani, come il volo degli aquiloni. A Kabul raccontano che arrivavano a Ka Faroshi e tiravano il collo agli uccelli. Il bazaar è sopravvissuto all’oscurantismo del loro regime e oggi è più vivace che mai sopratutto il venerdì mattina, giorno delle scommesse sulle zuffe dei pennuti. Gli uccelli da combattimeno sono tenuti in gabbie singole fatte di bambù, gli altri in voliere più grandi di diverse dimensioni. Abdulla, che guida un taxi giallo e in questi giorni di Ramadan fa più fatica a sopportare il caldo per l’astinenza da acqua e cibo fino al tramonto, spiega che gli uccelli colorati, come i canarini, sono da tenere in casa per il canto. Ma, dice, i Mullah talvolta consigliano, per curare alcune malattie, di fare impiastri col sangue di piccione. Consumato in Afghanistan anche per la carne, aggiunge. Nella strada sovraffollata di Ka Faroshi, di venerdì si fa fatica ad avanzare. Chi compra un uccello e non può permettersi la gabbia se lo porta a casa tra le mani. Un venditore infila la mano tra le sbarre intasate come la strada, tira fuori un volatile e lo lancia sul tetto di fronte. «Non ti preoccupare, è morto», spiega Abdulla, che coglie il momento di perplessità. Oltre agli uccelli che la fanno da padrone, a Ka Faroshi in alcune gabbie si vedono anche coniglietti. Sono da compagnia, spiega il tassista che ha imparato l’inglese in Iran, quando vi si trovava rifugiato ai tempi dei talebani. Abdullah è tagiko, come il generale Massoud, le cui foto si vedono un po’ ovunque a Kabul. C’è anche la piazza dedicata al "Leone del Panshir". Anche se tra le armate che hanno bombardato Kabul non sono stati assenti i Mujaheddin al suo comando. Il ritorno dei rifugiati dall’estero dopo l’era talebana rende oggi Kabul una città che soffoca per il sovraffollamento. Si stima che gli abitanti della capitale afghana, ufficialmente tre milioni, superino abbondantemente i quattro milioni di persone. La pressione demografica si fa sentire sulla tradizionale struttura fognaria all’aperto. Lo stesso fiume Kabul è ridotto a una cloaca. L’altitudine della città, quasi 1800 metri, non basta a mitigare l’asfissiante cocktail dei vapori ai colibatteri e carburante. Il solo polmone cittadino sono i giardini di Babur, luogo di sepolture dell’Imperatore Moghul che nel XVI secolo fece grande Kabul. Il parco è stato completamente ristrutturato ed attrae famiglie e comitive in cerca dell’unico spazio bucolico disponibile, sopratutto venerdì. Districarsi tra gabbie e polvere a Ka Faroshi non è certo rilassante. Ma è un’esperienza, assolutamente affascinante. |
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