INTERVISTA - Vendola: Al Pd dico: primarie ora
 







di Daniela Preziosi




Nichi Vendola

Presidente Nichi Vendola, ieri sul Corriere della sera Veltroni ha detto no a «sante alleanze» anti Berlusconi e ha proposto il ritorno all’ipotesi politica del 2008, che per lui ha portato «il risultato più importante del riformismo italiano». In questo risultato c’è la cancellazione della sinistra dal parlamento. Per lei la proposta è digeribile?
Quella di Veltroni è giusto una suggestione. Intanto il 2008 è stato una sconfitta drammatica, perché ha seppellito una breve e disastrosa esperienza di coalizione di centrosinistra con una grande presunzione illuministica: il mito dell’autosufficienza. In più voglio dire che la diagnosi della Seconda Repubblica che fa Veltroni è troppo generica. La crisi finanziaria, economica, sociale e ambientale che descrive non è un evento metereologico, ma il risultato di processi che hanno un nome e un cognome. Con spirito autocritico bisognerebbe ripensare a quanto la sinistra è stata subalterna ai totem e ai
tabù che hanno prodotto questi passaggi: la precarizzazione del mercato del lavoro, il mito della competizione internazionale basata sulla compressione del costo del lavoro, l’idea che il mondo poteva globalizzarsi nel senso di omogeneizzarsi nel lavoro subordinato ai livelli più bassi. E poi si può parlare di queste cose senza nominare Pomigliano e Melfi? Provo simpatia e rispetto per la volontà innovativa che sento in Veltroni. Si percepisce pathos sincero, c’è lo sforzo perfino linguistico di ritrovare qualche punto di connessione fra la politica e la vita. Ma quei punti vanno tradotti, incarnati in progettualità.
Appunto, il progetto «riformista» del Pd di Veltroni, nel 2008, è stato sconfitto al voto. E la sinistra asfaltata.
Molti si autoproclamano narratori del riformismo. Ma ci sono diversi e divaricati riformismi. È difficile capire perché sarebbe riformista dar ragione a Marchionne.
Marchionne era piaciuto anche alla sua parte. Nel 2006
Bertinotti scommise su di lui, «borghese buono».
Oggi parliamo di atti consumati, non di previsioni. Perché sarebbe riformista cedere all’idea della fuoriuscita dal welfare con un modello di sussidiarietà che è pura abdicazione al mercato? La battaglia per la difesa per l’acqua pubblica è un’esperienza di grande riformismo, ma in Italia passa per riformistica la sua privatizzazione.
Nel Pd Dario Franceschini propone invece un’alleanza costituzionale di tutti quelli che vogliono superare l’emergenza. E invoca la Resistenza come precedente: tutti contro il fascismo, la discussione sui modelli politici si rinvia al parlamento che verrà. La convince di più?
Non molto. Dobbiamo evitare di rimettere insieme una coalizione-sommatoria, che non produce un progetto, quindi non produce riforme. Nella sommatoria ognuno, piccolo o grande, si sente garantito. Ma si rischia di escludere il principale alleato: la gigantesca domanda sociale di cambiamento che emerge
ovunque.
Se fosse in parlamento, direbbe sì a un governo di transizione con tutti dentro?
Un governo di transizione si può fare solo se ha un mandato preciso: il seppellimento della Seconda Repubblica.
E questo funerale come si fa?
Con il cambio della legge elettorale e con una regolamentazione del conflitto di interessi. Ma attenzione: non si può mettere dentro questo recinto il tema della crisi economica. L’uscita dalla crisi non è un terreno di scelte neutre. Il «tremontismo» non è una terapia inevitabile. È una malattia che va combattuta. E il «tremontismo di sinistra» è la sua forma più peggiore.
Quanto alla legge elettorale, Veltroni propone di consolidare il bipolarismo e tornare all’uninominale. È d’accordo?
Tengo a dire una cosa: c’è chi mi dipinge come novello fan del bipolarismo a causa della mia «smania» di fare le primarie. Sono stato e resto un proporzionalista. Ma la verità è che in parlamento non c’è
nessuna maggioranza su una legge elettorale. Solo nel Pd le ipotesi sono le più svariate e contraddittorie. E il tema rischia di essere una disputa oziosa. Detto questo, considero invece positivamente il fatto che nell’idea di Veltroni ci sia la possibilità di allargare il giro. Allora faccio una proposta al Partito democratico.
Quale?
Non vorrei che, finita la polemica sul carattere «prematuro» della discussione sulle primarie - così ha detto Bersani quando mi sono candidato - oggi che le cose precipitano, si cominci invece a dire che non c’è più tempo per farle. E allora la mia proposta al Pd è: organizziamole subito. Le primarie non sono un posizionamento tattico, una furbizia. Sono il valore aggiunto che può dare non soltanto un’anima popolare al corpo smorto del centrosinistra, ma mettere in campo un’idea progettuale alternativa a Berlusconi e al berlusconismo. Bersani vuole costruire l’alternativa? Apriamo subito il cantiere delle primarie. Fra l’altro,
noto parole nuove e importanti da parte di Di Pietro e dell’Idv.
Per la verità da parte di De Magistris, sempre dell’Idv, arriva un invito a mettere insieme le anime della ’sinistra’: loro, Sinistra ecologia e libertà, Federazione della sinistra e movimenti. Non è il percorso che ha indicato lei. O no?
Certo, serve che ci si rimetta insieme, ma che insieme si cerchi un’alleanza con il popolo largo. Il centro del nostro cantiere è l’idea che c’è un’Italia migliore della pozza di fango che siamo diventati. La bonifica di questa pozza è una proposta di diritti sociali più diritti civili più diritti umani. Una grande Italia dei beni comuni, della solidarietà e dell’accoglienza. E se quest’Italia c’è si può e si deve fare un discorso che parli alla maggioranza degli italiani. Dal lavoro subordinato al popolo delle partite Iva, illuse e turlupinate dal centrodestra. Ai protagonisti del Family day, oggi che la famiglia tradizionale vive la condizione di più radicale
spoliazione di un capitale sociale fondamentale, il futuro. A De Magistris dico che non mi interessa picchettare il campo, delimitare i confini della coalizione. Non bisogna subire veti, e non bisogna esercitarli.
Marcello Sorgi, sulla Stampa, ha suggerito l’idea di un ticket fra lei e Sergio Chiamparino. Ci sta?
Lasciamo perdere le alchimie. Il ticket può essere un esito. Le primarie, se sono un processo democratico, debbono essere senza rete. Più il gioco è grande, fatto di curiosità culturali, coinvolgimento, aperture, più l’esito può essere sorprendente.
Qualche finiano ha immaginato un’alleanza da Fini a Vendola. È possibile?
C’è della generosità ma anche dell’ingenuità in questa fantapolitica. Sugli elementi di degenerazione del sistema democratico ci possono essere punti di unità, ma Fini è l’espressione di una nuova p destra alla Chirac. Non può essere un alleato stabile del centrosinistra.
Il sindaco di Roma Alemanno ha
detto che per il Pdl lei è il candidato ideale: quello più facile da battere. E anche nel centrosinistra c’è chi la pensa così.
A me è andata sempre così. Quando ho vinto le primarie nel 2005 il mio avversario, Raffaele Fitto, stappò dello champagne. La prima bottiglia l’ha stappata lui. L’ultima io.
de Il Manifesto