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E adesso Emergency ha voglia di politica e vuole curare l’Italia
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Francesco Ruggeri
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Per la nona volta il popolo di Emergency s’è incontrato, al termine di un anno straordinariamente difficile: la morte di Teresa Strada, la fondatrice, l’arresto dei tre volontari a Lashkar-Gah. Dolori e fatiche che si aggiungono alla "normalità" fatta di progetti in Sudan, Afghanistan, Congo ecc...Stavolta l’appuntamento annuale è a Firenze, una scadenza anticipata alcune settimane fa a Liberazione dalla nuova presidentessa Cecilia Strada. Ieri, in un auditorium gremito, è stato presentato il "Progetto Italia", quello, appunto, che consente già la circolazione dei due "polibus", ambulatori mobili che porteranno medicine di base e servizi sanitari dove ce n’è bisogno. «E’ il modo più semplice evidente e produttivo di fare politica: andare incontro ai bisogni», ha spiegato Gino Strada. Il poliambulatorio di Palermo funziona già da quattro anni. Pietro Parrino, responsabile del servizio umanitario di Emergency, insiste a dire che serve soprattutto ai senza diritti, gli immigrati, «il servizio non è semplicemente avere un dottore che visita perché chi arriva non ha strumenti per capire come funziona il sistema. Quindi lo si ascolta, si capisce quali sono i problemi, e lo si accompagna nei meandri dei servizi. si fa educazione civica. Tutti elementi che non sono considerati rilevanti dalla Pubblica Amministrazione, anche perché costano. Agli italiani viene spiegato che l’unico modo per garantire i loro diritti è tagliare i costi e quindi non curare quelli che sono qui e "non dovrebbero esserci"». Emergency vuole esserci, chiede ai suoi volontari di donare alcune ore della loro professionalità e prova a creare una struttura che sia complementare al servizio sanitario nazionale, «che possa riempire i vuoti con la massima chiarezza». A volte i comuni rispondono bene, come a Venezia dove nel giro di un anno è stata possibile l’apertura del poliambulatorio di Marghera. Cruciale il ruolo dei mediatori culturali per dialogare con le due grandi comunità, nigeriana e bengalese. Nella Torino di Chiamparino c’è «un posto perfetto, con un grande giardino, ma dopo una serie di inspiegabili riunioni si è capito che il capo circoscrizione aveva un problema: aveva paura che la gente dei palazzi intorno vedesse gli immigrati». La Milano di Moratti ha risposto che c’è già l’opera di San Francesco, quattro ambulatori per tutta la regione in cui vivono in assoluto più immigrati. Dopo Palermo e Marghera Emergency mira a Calabria (in uno stabile confiscato alla ’ndrangheta), Puglia, Torino e Firenze. La nuova frontiera di Emergency, dopo vent’anni di impegno nei teatri di guerra, si chiama Italia. Tutto ciò avrà delle conseguenze. La distanza dai partiti è stata spesso ribadita da Emergency. Ma anche il populismo - nelle versioni noB - non pare allignare nell’auditorium. Venerdì, i volontari hanno ascoltato la lettura di un "manifesto" (lo pubblichiamo in basso) con cui gli «insopportabili» (copyright del sottosegretario agli Esteri, Alfredo Mantica) hanno voluto rievocare «antichi principi» dopo essersi chiesti in che paese vivono. «Il problema non è il nano pelato - ha detto dal palco Gino - quello è il sintomo. La malattia è la vittoria della libertà basata sulla diseguaglianza. E’ una malattia molto contagiosa. L’Italia è a un punto critico. Instabile dal punto di vista politico. Non è chi vincerà il circo politico. Il problema è dal punto di vista sociale. Siamo in un paese democratico?». Sul sito di Peacereporter, i commenti dei volontari: la triestina Sara ha la «sensazione» di una metamorfosi «Trasformarci in soggetto politico, non come partito ma come movimento in senso lato. E questo mi piace molto. Il fatto di poter organizzare qualcosa in autonomia e a quel punto è la politica partitica che si avvicina a noi. Sono loro che devono starci dietro. Ed è quello che speravo». La sua amica Giulia: Questo manifesto rende dunque le cose molto più chiare. Ma la cosa che non dobbiamo scordare è che per noi non è niente di nuovo. Per noi questo Manifesto è banale. Lo viviamo, lo mettiamo in pratica. Questo Manifesto serve agli altri». «Niente di più logico. Finalmente è maturato quel che da sempre è nell’aria. Finalmente è nato. Era ora», dice la livornese Maria. «E’ come aver stilato il nostro alfabeto», aggiunge tale Andrea. E Guido di Pisa: «Siamo contenti del Manifesto perché ci dà occasione di comunicare cos’è la nostra idea di pace, senza aspettare che altri facciano le cose per noi». Caterina, 27 anni, romana, da dieci anni con Emergency: «Tutto quello che è stato scritto è dentro di me. Ma lo sento come messaggio rivoluzionario per chi non è qui con noi, per chi queste cose non le ha assorbite. Per chi vive nella società che non mastica questi principi. Penso che in questa società basata sull’apparenza, essere chiamati a essere concreti e rendere concreti principi di pace e di vera democrazia sia un privilegio». Oggi la giornata conclusiva con l’esposizione dei progetti di Emergency nel mondo e una conferenza di Danilo Zolo sul diritto alla vita nell’era della globalizzazione. Il testo integrale del manifesto presentato a Firenze Crediamo nella eguaglianza di tutti gli esseri umani a prescindere dalle opinioni, dal sesso, dalla razza, dalla appartenenza etnica, politica, religiosa, dalla loro condizione sociale ed economica. Ripudiamo la violenza, il terrorismo e la guerra come strumenti per risolvere le contese tra gli uomini, i popoli e gli stati. Vogliamo un mondo basato sulla giustizia sociale, sulla solidarietà, sul rispetto reciproco, sul dialogo, su un’equa distribuzione delle risorse. Vogliamo un mondo in cui i governi garantiscano l’eguaglianza di base di tutti i membri della società, il diritto a cure mediche di elevata qualità e gratuite, il diritto a una istruzione pubblica che sviluppi la persona umana e ne arricchisca le conoscenze, il diritto a una libera informazione. Nel nostro Paese assistiamo invece, da molti anni, alla progressiva e sistematica demolizione di ogni principio di convivenza civile. Una gravissima deriva di barbarie è davanti ai nostri occhi. In nome delle "alleanze internazionali", la classe politica italiana ha scelto la guerra e l’aggressione di altri Paesi. In nome della "libertà", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro i propri cittadini costruendo un sistema di privilegi, basato sull’esclusione e sulla discriminazione, un sistema di arrogante prevaricazione, di ordinaria corruzione. In nome della "sicurezza", la classe politica italiana ha scelto la guerra contro chi è venuto in Italia per sopravvivere, incitando all’odio e al razzismo. E’ questa una democrazia? Solo perché include tecniche elettorali di rappresentatività? Basta che in un Paese si voti perché lo si possa definire "democratico"? Noi consideriamo democratico un sistema politico che lavori per il bene comune privilegiando nel proprio agire i bisogni dei meno abbienti e dei gruppi sociali più deboli, per migliorarne le condizioni di vita, perché si possa essere una società di cittadini. E’ questo il mondo che vogliamo. Per noi, per tutti noi. Un mondo di eguaglianza. |
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