Afghanistan: una chiave di lettura.
 











Bisognerebbe cercare "la chiave di lettura" per capire il nesso della partecipazione italiana alle guerre volute da Bush, che perseguiva scopi economici sul petrolio, energia, e commercio delle armi.
La coincidenza temporale dei finanziamenti americani alle fallimentari aziende di Berlusconi, con la partecipazione  alla "missione di pace" in Iraq e il successivo impegno a bivaccare il quel teatro di guerre continue, non mi convince ormai da qualche anno; l’ho scritto più volte indicando anche in 6,5 miliardi di dollari gli investimenti americani, 4 miliardi per ripianare la montagna di debiti e 2,5 miliardi spariti, non se ne è mai saputo più nulla.
La grande amicizia, oggi mimetizzata dal silenzio, tra il cavaliere e il suo dante causa Bush, nasce proprio in tale occasione e per  tali "nobili" motivi. Allora furono 19  le vittime di Nassirija, oggi il conteggio  delle vittime in Afghanistan  aumenta 
periodicamente e sembra proprio un "conto aperto".
L’Italia dell’alta finanza si è tempestivamente adeguata al business  della guerra continua, diventando  la seconda nazione al mondo produttrice ed esportatrice di armi ed esplosivi; seconda perché la prima è l’America, che ha impostato il proprio capitalismo sotto forma di imperialismo sostenuto dal militarismo.
L’esplosivo che uccise i primi sei militari italiani in Afghanistan  era "made in Italy".
Per armare  e giustificare una guerra occorrono i nemici da combattere, altrimenti si finisce con il fare la figura di tanti don Chisciotte.Furono finanziati i talebani in chiave anti-Russia, ben sapendo che avrebbero finito con il rivoltarsi contro gli stessi finanziatori; così il nemico fu bell’e pronto. Ma è  un nemico che non paga le armi e gli esplosivi, se non alla sua maniera. Prolifera il più grande business del pianeta, che non vede crisi, anzi le genera per dilatarsi ulteriormente. Tale business
prevede la permuta di armi contro pani di oppio, permuta che nessuna nazione, ufficialmente, potrebbe gestire; così sono le mafie internazionali che  garantiscono  lo scambio, speculando su entrambi i fronti.
Oggi il PIL americano è sostenuto al 35%  dal commercio delle armi, mentre questa italietta  rincorre l’esempio, ben sapendo che bisogna pagarne lo scotto.
Il Pentagono, da Centrale del potere militare, si è trasformato in una enorme agenzia commerciale.
Lo storico americano Chalmers Johnson, uno dei massimi esponenti della nuova cultura americana, certamente invulnerabile alle accuse di antiamericanesimo, proveniente da una famiglia di militari e militare anch’egli nella Naval Air Reserve di stanza nel Giappone sconfitto, ha fatto una analisi spietata della nuova realtà inerente il Pentagono:
" Questa enorme organizzazione militare, fra le altre cose, vende armi ad altri paesi, facendo così del Pentagono la più importante agenzia commerciale del
governo americano. I prodotti del settore bellico costituiscono un terzo del prodotto interno lordo degli Stati Uniti. Solo per gestire la vendita delle armi, l’amministrazione federale impiega oltre settantamila persone, unitamente agli alti funzionari delle ambasciate americane di tutto il mondo, che trascorrono gran parte della loro carriera "diplomatica" a fare i  commercianti di armi...Secondo dati ufficiali del Pentagono fra il 1990 e il 1996 il commercio delle armi aveva dato un risultato attivo di bilancio di oltre 100 miliardi di dollari, dai quali bisogna sottrarre 3 miliardi  di provvigioni.." (Dal 1997 i bilanci del Pentagono sono stati secretati . n.d.r.) (V. Chalmers Johnson, Blowback: Costs and Consequences of American Empire, New York and London 2000, pag. 87) .
Rosario Amico Roxas
Via dalla guerra in Afghanistan!
Quanti ne dovranno morire ancora prima che la politica  si assuma la
responsabilità mettere fine a questa assurda tragedia? La  Rai aiuti gli italiani a capire cosa bisogna fare.
La guerra in Afghanistan ci ha restituito oggi i corpi senza vita di  altri quattro soldati italiani. Quanti ne dovranno morire ancora prima  che la politica si assuma la responsabilità mettere fine a questa  assurda tragedia?
Quanto sangue dovrà ancora scorrere prima che il Parlamento italiano  decida di discutere apertamente e onestamente della guerra in  Afghanistan e di tirar fuori l’Italia da questo disastro?
Quante bare si dovranno allineare davanti ai nostri occhi per spingere  la Rai ad organizzare un serio dibattito sulla guerra in Afganistan?  Quando il nostro servizio pubblico radiotelevisivo aiuterà gli  italiani a capire cosa è accaduto, cosa sta succedendo e come si può  fare per evitare altri morti? Quando succederà che a prendere la  parola verranno invitati anche i costruttori di pace e non solo
i  soliti noti?
I nostri giovani soldati muoiono perché il governo continua a  scaricare sui militari il compito di risolvere un problema enorme che  i militari non hanno nessuna possibilità di risolvere. Per quanto  ancora dovremo sopportare questo scempio?
Per questo, mentre ci uniamo al dolore straziante dei familiari di  Gianmarco Manca,Marco Pedone, Sebastiano Ville, Francesco Vannozzi  chiediamo ancora una volta all’Italia di abbandonare la via  fallimentare e inconcludente della guerra e impegnarsi a costruire  un’alternativa politica a questo inutile massacro di innocenti,di  verità e di legalità.
L’exit strategy esiste: dobbiamo passare dall’impegno militare ad un  impegno politico e civile a fianco delle popolazioni vittime decennali  della guerra, dell’oppressione e della miseria. Dobbiamo sostenere la  società civile afgana che s’impegna per il rispetto dei diritti umani,  la ricostruzione e la
riconciliazione (la più importante leva della  democrazia in Afghanistan). Dobbiamo aumentare decisamente gli  interventi di cooperazione con l’obiettivo di rispondere ai bisogni  vitali della popolazione.
Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace