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Terra, il WWF denuncia se continuiamo così nel 2030 avremo bisogno di due pianeti terra
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Diminuzione del 30% dello stato di salute delle specie. Pressione antropica sulla natura raddoppiata rispetto agli anni ’60, domanda di risorse naturali che, se continuiamo così, nel 2030 porrà il tema di un fabbisogno di 2 pianeti terra. Crescita economica nei Paesi ricchi con impatti sugli ecosistemi che ricadono più direttamente sulle popolazioni povere e vulnerabili. Il Living Planet Report 2010, presentato in questi giorni da WWF in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network, nell’anno dedicato alla biodiversità, afferma la necessità di ricostruire un rapporto con la natura. -Senza natura siamo perduti - afferma Eva Alessi, responsabile programma sostenibilità WWF Italia - se non ci rendiamo conto di questo e cambiamo tendenza non c’è futuro-. Nell’anno internazionale della biodiversità e ad una settimana dall’apertura della conferenza di Nagoya dove si deciderà come implementare la salvaguardia delle specie, il rapporto biennale WWF fotografa lo stato di salute del pianeta e indica le soluzioni per invertire subito la rotta. Living Planet Report 2010 realizzato in collaborazione con la Zoological Society di Londra e il Global Footprint Network, denuncia lo sfruttamento insostenibile delle risorse del pianeta: -Ad oggi la pressione antropica sulla natura è raddoppiata rispetto agli anni ’60, con una domanda di risorse naturali che richiede già da ora la capacità bioproduttiva di 1,5 pianeti e, se manteniamo l’attuale tendenza, addirittura di 2 pianeti nel 2030-. Il Report mette in relazione due parametri l’impronta ecologica, ovvero il rapporto tra consumo e smaltimento dei rifiuti, e l’impronta idrica, attraverso lo studio della presenza di oltre 2500 specie di vertebrati alla base delle risorse naturali da cui dipendiamo. -C’è un crollo del 30% di salute delle specie, quindi stiamo perdendo biodiversità - afferma Eva Alessi responsabile programma sostenibilità WWF Italia - e questo ha delle conseguenze gravissime non solo per il pianeta ma anche per noi-. E’ infatti da sottolienare che per capire quanto grave può essere questo fattore, circa il 75% delle 100 principali colture a livello mondiale fa affidamento sugli impollinatori naturali ovvero insetti e mammiferi che con la loro presenza garantiscono la riproduzione delle specie arboree. -Questo problema riguarda anche i medicinali - ricorda Alessi - infatti almeno la metà dei composti medici di sintesi derivano da precursori naturali-. Non ultimo il problema del carbonio, gli ecosistemi terrestri infatti, secondo il report, -sono in grado di immagazzianre ben 2.000 miliardi di tonnellate di carbonio, dando un contributo preziosissimo anche alla lotto contro il cambiamento climatico-. Secondo il WWF -Dal 1996 l’impronta ecologica globale è raddoppiata, l’impronta di carbonio è aumentata addirittura di 11 volte, e l’impronta idrica è in costante aumento-. Da qui una classifica dei paesi più esosi, Emirati Arabi in testa seguiti da Quatar, Danimarca, Belgio, Stati Uniti ecc. -Se tutti vivessimo come negli Emirati Arabi ci vorrebbero 6 pianeti terra, 4,5 se vivessimo come i nord americani, e così via». In questa classifica l’Italia, pur essendo al 29 posto, non brilla. Per ogni cittadino infatti servono ben 5 ettari globali per soddisfare le necessità del suo stile di vita -un valore pari alla capacità di 2,8 pianeti terra. Complessivamente -sottoliena il report - i 31 paesi Ocse sono responsabili di circa 40% dell’impronta ecologica globale-. Per fare un calcolo della impronta ecologica che ciascuno di noi impone al pianeta il WWF ha aperto una apposita pagina web dove, con un breve test si può capire quanto virtuoso o sfacciato è il nostro comportamento quotidiano. Mentre per le imprese c’è una pagina dedicata con i progetti del WWF per un futuro sostenibile nel mondo del capitale. Per evitare che lo scenario prefigurato si realizzi e prevenire il disastro il WWF fa anche alcune proposte. Un decalogo per un futuro sostenibile che consideri -l’individuazione di un sistema di indicatori di sviluppo» in grado di quantificare i benefici che un ecosistema procura e che potrebbero servire da incentivi per la conservazione della natura «l’aumento delle zone protette e della capacità produttiva del pianeta, ma anche gli accordi internazionali per la distribuzione equa delle risorse fino alla scelta individuale nella dieta e nei consumi di energia-. Considerando infine che nel 2050 la popolazione globale supererà i 9 miliardi l’inversione di rotta è quanto mai urgente. -Dobbiamo imparare a vivere nei limiti delle risorse dell’unico pianeta che abbiamo. - conclude Alessi - Le popolazioni tradizionali riconoscevano il valore di interdipendenza dalla natura, noi l’abbiamo perso, ma anche chi vive in ambienti urbani deve imparare di nuovo questo rispetto-. sara sartori -ami |
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