CHI SI RIVEDE LA VECCHIA TBC
 







di Anna Maria Merlo




E'una malattia che sembra appartenere a dei secoli passati, legata a un mondo di bohème che non esiste più. Al punto che in quasi tutti i paesi occidentali - Francia esclusa, per il momento - ne è stata abolita la vaccinazione obbligatoria e negli anni `80, di fronte alla riduzione della malattia, sono state progressivamente smantellate le vecchie strutture. Eppure, la tubercolosi è di ritorno, da una quindicina d'anni, nelle grandi città del mondo occidentale. Nell'Unione europea «a 25» nel 2003 sono stati rilevati 64.434 casi di tubercolosi, con un tasso di incidenza globale di 13,6 casi ogni 100mila abitanti. I tassi più elevati sono nei paesi Baltici all'est, e in Spagna e Portogallo all'ovest. Oggi, dopo una ripresa all'inizio degli anni `90, l'incidenza è in diminuzione, anche se in alcuni paesi (Gran Bretagna, Italia), resta stabile. «La doppia concentrazione dei casi di tubercolosi in alcuni gruppi a rischio e nello spazio urbano - rileva Andrea Infuso, dell'Euro Tb, Istituto di sorveglianza sanitaria - rimette in questione l'eliminazione della tubercolosi dall'Europa». Medici che si occupano di questa malattia, provenienti da sei magalopoli - Parigi, Londra, Milano, Barcellona, Rotterdam e New York - si sono incontrati nella capitale francese, in vista della 36esima conferenza mondiale sulla salute del polmone (che si terrà, sempre a Parigi, dal 18 al 22 ottobre prossimi), per scambiarsi dati e pratiche in vista di una maggiore efficienza nella cura. Difatti, oggi la tubercolosi si cura (a un costo minimo, 11-15 dollari per sei mesi di trattamento, anche se ci sono casi sempre più numerosi di resistenza ai due principali medicinali, Rifampicina e Isoniazide). Come afferma Rose-Marie Van Lerberghe, direttrice generale dell'Assistenza pubblica-Ospedali di Parigi, «in questo inizio del XXI secolo, la cura della tubercolosi non è più un problema terapeutico, ma un vero e proprio problema di salute pubblica».
Serve
organizzazione
Gli stati e le grandi città - particolarmente colpite oggi - si organizzano. E questa organizzazione, come dimostrano i casi di New York (dove c'è stata un recrudescenza spettacolare nel `92, poi frenata), di Parigi (che ha registrato una punta nel 2002, ma ha potuto poi rallentare il numero di casi) o di Rotterdam (dove non si sono registrate punte, grazie a una politica più adatta) è fondamentale. Londra, al contrario, dove manca una centralizzazione delle cure e della prevenzione, è l'unica città dove i casi di turbercolosi sono ancora in crescita oggi: 42,8 casi ogni 100mila abitanti nel 2004, mentre erano 20 nell'87; e i più colpiti sono gli uomini tra i 25 e i 34 anni (60 per 100mila) e i tossicodipendenti.
L'origine della tubercolosi risale al neolitico. Nel corso del XVIII e XIX secolo la tisi, come si chiamava allora, colpiva circa il 5% della popolazione in Europa. Poi gli antibiotici e il vaccino hanno contribuito a ridurre questa epidemia, che
sembrava debellata nei paesi ricchi. Ma da una quindicina d'anni la situazione è cambiata, e in peggio. La tubercolosi, come è stato denunciato alla riunione parigina, «è ormai una malattia della povertà». Aggravata dalla difffusione dell'epidemia Hiv.
Mentre in Francia i casi di tubercolosi sono in netta regressione (11 ogni 100mila abitanti), a Parigi e nella regione parigina, malgrado un calo negli ultimi due anni, l'incidenza è tre volte superiore, 25 casi ogni 100mila abitanti nella regione Île de France e addirittura 38 nella città di Parigi. Un'identica tendenza è riscontrata in tutte le altre megalopoli. «E le caratteristiche delle persone colpite - spiega l'assessore alla sanità del comune di Parigi, Alain Lhostis - sono particolarmente vicine: persone che vivono nella precarietà, senza fissa dimora, e persone che provengono da paesi dove la malattia è presente allo stato endemico». Di conseguenza, aggiunge, «malattia della povertà che esiste allo stato endemico nei paesi
poveri, la sua persistenza in un paese come la Francia e in particolare a Parigi è il segno evidente dell'aumento della povertà, della precarietà, della persistenza di sacche di promiscuità e di insalubrità». I tuguri che sono bruciati di recente nel centro di Parigi, facendo dei morti, hanno svelato la persistenza di situazioni abitative di un'altra epoca.
Il caso francese
Nel 2003, in Francia sono stati rilevati 6.098 casi di tubercolosi, 950 dei quali a Parigi e 450 nel dipartimento limitrofo della Seine-Saint Denis. L'incidenza aumenta con l'età (20,7% dei casi per persone con più di 75 anni), il 61% delle vittime sono uomini e l'età media è di 41 anni, che scende però a 36 nella regione parigina. Anche se l'incidenza tra i bambini è bassa, è preoccupante il fatto che dal 2001 è in aumento (tra i bambini da 0 a 15 anni) nella popolazione di nazionalità francese. I più colpiti sono persone di nazionalità straniera (72% dei casi). La fascia di età più colpita
di questi immigrati è tra i 25 e i 39 anni, e i paesi d'origine, conosciuti quasi nel 90% dei casi, sono principalmente l'Africa del nord (13,4%), l'Africa sub-sahariana (18,5%), l'Asia (6,6%), l'Europa soprattutto dell'est (5,6%) e il continente americano (3,7%).
Una ricerca realizzata in Olanda rileva che l'incidenza della tubercolosi resta alta nella popolazione di origine straniera durante i primi dieci anni di residenza nei Paesi bassi. Parigi è riuscita a frenare l'epidemia, passando da 54 casi ogni 100mila abitanti nel 2002 ai 38 attuali, aumentando con la nuova giunta del 24,3% i finanziamenti destinati a questa lotta. Vengono realizzati test radiologici gratuiti nei foyer di immigrati, dopo un caso drammatico avvenuto nel 2002, di più di 100 persone infettate in un foyer per immigrati del XII arrondissement. Gli ospedali pubblici curano ogni anno a Parigi più di mille pazienti colpiti dalla tubercolosi, cioè l'80% dei casi. E' stata istituita la figura del «medico
referente» per semplificare le pratiche e rendere più efficaci e rapide le cure. Vengono realizzati dei test e un'azione di prevenzione.
I sans papiers hanno paura
Anche se non è facile: i sans papiers hanno paura (per questo gli ospedali e i centri di depistaggio non chiedono nulla, solo un nome, che può essere anche falso - e questo rende poi difficile il reperimento dell'eventuale malato, per somministrargli la cura), mentre i senza tetto sfuggono facilmente. I centri medico-sociali di lotta alla tubercolosi sono stati ridotti a 5, ma esiste dal `94 un depistaggio itinerante nei foyer di immigrati e dal `96 per i senza tetto. Esiste una struttura apposita per i bambini. «Ma sappiamo tutti - afferma Alain Lhostis - che la lotta più efficace contro la tubercolosi resta la diminuzione della precarietà e della povertà, lotta che esige in particolare di costruire in modo massiccio degli alloggi capaci di offrire alla popolazione francese e a quella che accogliamo sul nostro
territorio i mezzi per vivere dignitosamente e in condizioni di sicurezza sanitaria».
A Milano, spiega il dottor Luigi Codecasa del centro tubercolosi dell'ospedale Niguarda, «abbiamo cominciato ad osservare un aumento dei casi di tubercolosi tra gli immigrati da 12 anni a questa parte», con delle differenze: «i casi tra i filippini e i nordafricani rimangono stabili in cifre assolute ma decrescono in percentuale, mentre quelli tra gli europei dell'est e i peruviani/ecuadoriani aumentano enormemente». Le cifre italiane fotografano una situazione vecchia di 2-3 anni, dovuta alla lentezza delle regolarizzazioni: i clandestini lo sono anche per le malattie. E' difficile avere un'idea precisa della situazione italiana, perché con la devolution ogni regione fa da sé: dal `78 sono stati smantellati i centri anti-tubercolosi, ma qualcosa resta, a causa (o grazie) dell'inefficienza italiana. Per di più, si sottolinea, «la tubercolosi è un costo e l'obbligo è di tagliare le
spese».
Accesso limitato alle cure
Ma, soprattutto, quello che il dottor Codecasa denuncia - e con lui gli altri medici presenti a Parigi - è la «paura» dei malati: «studi di epidemiologia molecolare» fatti a Niguarda «hanno mostrato flussi insignificanti e bi-direzionali di contagio tra immigrati e italiani, smentendo così il timore che i primi contagino i secondi». Il problema è appunto di salute pubblica e di cure gratuite e diffuse. In Francia, la Lega dei diritti dell'uomo ha denunciato due decreti del governo Villepin che dal 29 luglio scorso limitano l'accesso alle cure delle popolazioni più fragili. «E' una vergogna umanitaria ed etica, è una nuova Luisiana che vogliono insediare qui, aiutare i bianchi e non i neri sfavoriti». I due decreti hanno difatti trasformato l'Ame - «aiuto medico di stato» istituito nel 2000 per gli stranieri con un reddito inferiore a 576 euro al mese, esclusi dalla Cmu, la «copertura medica universale», poiché non hanno un
titolo di soggiorno - in un incubo amministrativo. Per poter aver accesso all'Ame oggi è necessario presentare una serie di documenti, carta d'identità, indirizzo, reddito. Eppure l'Ame «pesa» poco sui conti della previdenza, meno dell'1%. «Quando è più complicato - spiega François Jeanson di Médecins du Monde - si aspetta di stare molto male prima di andare dal medico. Si tossisce per un mese senza fare nessuna radiografia, con il rischio di diffusione della tubercolosi, ivi compreso nelle scuole». E nel progetto di riforma delle regole di immigrazione, il ministro degli interni, Nicolas Sarkozy, vuole limitare i permessi di soggiorno per chi è in cura in Francia.da Il manifesto