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DIO, COS'E' QUELLA COLTRE SILENZIOSA |
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Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi. Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace (...) Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell'istinto del mio mestiere. Dio, cos'è quella coltre silenziosa
che fiammeggia sopra l'orizzonte... quel nevaio di muffa - rosa di sangue - qui, da sotto i monti fino alle cieche increspature del mare... quella cavalcata di fiamme sepolte nella nebbia, che fa sembrare il piano da Vetralla al Circeo, una palude africana, che esali in un mortale arancio... E' velame di sbadiglianti, sudice foschie, attorcigliate in pallide vene, divampanti righe, gangli in fiamme: là dove le valli dell'Appennino sboccano tra dighe di cielo, sull'Agro vaporoso e il mare: ma, quasi arche o spighe sul mare, sul nero mare granuloso, la Sardegna o la Catalogna, da secoli bruciate in un grandioso incendio, sull'acqua, che le sogna più che specchiarle, scivolando, sembrano giunte a rovesciare ogni loro legname ancora ardente, ogni candido bracere di città o capanna divorata dal fuoco, a smorire in queste lande di nubi sopra il Lazio. Ma tutto ormai è fumo, e stupiresti se, dentro quel rudere d'incendio, sentissi richiami di freschi bambini, tra le stalle, o stupendi colpi di campana, di fattoria in fattoria, lungo i saliscendi desolati, che già intravedi dalla Via Salaria - come sospesa in cielo - lungo quel fuoco di malinconia perduto in un gigantesco sfacelo. Ché ormai la sua furia, scolorando, come dissanguata, dà più ansia al mistero, dove, sotto quei ròsi polveroni fiammeggianti, quasi un'empirea coltre, cova Roma gli invisibili rioni.
Da "La religione del mio tempo", edizioni Garzanti, Milano 1961
size=3>IO SONO UNA FORZA DEL ASSATO
Io sono una forza del Passato Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d'altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, dove sono vissuti i fratelli. Giro per la Tuscolana come un pazzo, per l'Appia come un cane senza padrone. O guardo i crepuscoli, le mattine su Roma, sulla Ciociaria, sul mondo, come i primi atti della Dopostoria, cui io assisto, per privilegio d'anagrafe, dall'orlo estremo di qualche età sepolta. Mostruoso è chi è nato dalle viscere di una donna morta. E io, feto adulto, mi aggiro più moderno di ogni moderno a cercare fratelli che non sono più. 12 giugno 1962 Ci vediamo in proiezione, ed ecco la città, in una sua povera ora nuda, terrificante come ogni nudità. Terra incendiata il cui incendio spento stasera o da millenni, è una cerchia infinita di ruderi rosa, carboni e ossa biancheggianti, impalcature dilavate dall'acqua e poi bruciate da nuovo sole. La radiosa Appia che formicola di migliaia di insetti - gli uomini d'oggi - i neorealistici ossessi delle Cronache in volgare. Poi compare Testaccio, in quella luce di miele proiettata sulla terra dall'oltretomba. Forse è scoppiata, la Bomba, fuori dalla mia coscienza. Anzi, è così certamente. E la fine del Mondo è già accaduta: una cosa muta, calata nel controluce del crepuscolo. Ombra, chi opera in questa èra. Ah, sacro Novecento, regione dell'anima in cui l'Apocalisse è un vecchio evento! Il Pontormo con un operatore meticoloso, ha disposto cantoni di case giallastre, a tagliare questa luce friabile e molle, che dal cielo giallo si fa marrone impolverato d'oro sul mondo cittadino... e come piante senza radice, case e uomini, creano solo muti monumenti di luce e d'ombra, in movimento: perché la loro morte è nel loro moto. Vanno, come senza alcuna colonna sonora, automobili e camion, sotto gli archi, sull'asfalto, contro il gasometro, nell'ora, d'oro, di Hiroscima, dopo vent'anni, sempre più dentro in quella loro morte gesticolante: e io ritardatario sulla morte, in anticipo sulla vita vera, bevo l'incubo della luce come un vino smagliante. Nazione senza speranze! L'Apocalisse esploso fuori dalle coscienze nella malinconia dell'Italia dei Manieristi, ha ucciso tutti: guardateli - ombre grondanti d'oro nell'oro dell'agonia. 21 giugno 1962 Lavoro tutto il giorno come un monaco e la notte in giro, come un gattaccio in cerca d'amore... Farò proposta alla Curia d'esser fatto santo. Rispondo infatti alla mistificazione con la mitezza. Guardo con l'occhio d'un'immagine gli addetti al linciaggio
Da "Poesia in forma di rosa", ed. Garzanti, Milano 1964
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